Anita Bryant

cantante e attivista statunitense

Anita Jane Bryant (Barnsdall, 25 marzo 1940) è una cantante e attivista statunitense, nota soprattutto per le sue prese di posizione contro l'omosessualità e protagonista negli anni 1970 di campagne politiche per impedire la parità di diritti ai gay.

Anita Bryant
Anita Bryant nel 1971
NazionalitàBandiera degli Stati Uniti Stati Uniti
GenerePop
Country
Periodo di attività musicale1959 – 1985
Strumentovoce
Album pubblicati25
Sito ufficiale

Biografia modifica

Nata in Oklahoma, viene cresciuta dai nonni insieme alla sorella Sandra, dopo il divorzio dei genitori. A soli due anni il nonno le insegna a cantare l'inno cristiano Jesus Loves Me. Intuendo il talento della nipote, la fa esibire a fiere e a manifestazioni locali dall'età di sei anni. Si esibisce poi in radio e in televisione, nonostante il parere contrario del padre, estremamente religioso.[1]

Nel 1958 all'età di 18 anni viene eletta Miss Oklahoma e l'anno successivo si classifica seconda al concorso di bellezza di Miss America.[1] Nonostante la sua affermazione, termina gli studi diplomandosi alla Will Rogers High School.

Carriera musicale modifica

Dopo l'elezione a Miss Oklahoma inizia la carriera come cantante solista, pubblicando diversi album per etichette come Carlton Records e Columbia Records. Il suo primo LP risale al 1959 e porta il suo nome, Anita Bryant; il disco contiene i brani Till There Was You e Do-Re-Mi. Tra gli altri suoi celebri brani, Paper Roses e In My Little Corner of the World. Nella sua carriera 11 suoi brani sono entrati nella Top 100.

Nel 1963 pubblica il suo primo Greatest Hits, mentre l'anno seguente pubblica The World of Lonely People, che include brani come Welcome, Welcome Home e una riedizione di Little Things Mean a Lot.

Nel 1969 diventa portavoce della Florida Citrus Commission, prestando la propria l'immagine del loro succo d'arancia, attraverso spot pubblicitari caratterizzati dal ritornello Come to the Florida Sunshine Tree. Inoltre, grazie alla sua immagine pulita e materna, è stata protagonista di numerose pubblicità per la Coca-Cola, Kraft Foods, Holiday Inn e Tupperware. Sempre nel 1969 interpreta l'inno nazionale statunitense alla terza edizione del Super Bowl. Nel corso degli anni ha pubblicato diversi album di musica cristiana, inoltre ha scritto diversi libri di cucina e sfondo religioso, elargendo consigli per essere dei buoni genitori cristiani.[1]

Campagna politica modifica

 
Tessera del movimento "Save Our Children".

Nel 1977 nella Contea di Miami-Dade, in Florida, fu approvato un decreto che proibiva ogni tipo di discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale.[1] La Bryant, di fede evangelica, guidò una campagna per l'abrogazione della legge, sostenendo che dare diritti agli omosessuali avrebbe violato i diritti dei cittadini forniti di un minimo di decenza e moralità e che gli omosessuali erano un pericolo per la società.[1] Durante la campagna parlò di "reclutamento omosessuale" che vedeva gli omosessuali nell'intento di convertire gli etero in gay (soprattutto nelle scuole); da allora il termine divenne popolare negli ambienti conservatori.[2][3]

A tale scopo, la Bryant nel giro di poche settimane creò il movimento cristiano fondamentalista chiamato "Save Our Children", con il sostegno della National Association of Evangelicals e grazie alla sua popolarità musicale raccolse oltre 75.000 firme per l'abolizione della legge.[1] La cantante trovò appoggio in varie emittenti televisive a carattere religioso, in associazioni anti-abortiste, psichiatri e vari politici. Il 7 giugno 1977 la campagna portò all'abrogazione della legge sui diritti di gay e lesbiche. Dopo la vittoria della sua campagna, la Bryant si spostò in California per appoggiare il senatore John Briggs a favore della Proposition 6, legge che avrebbe permesso di licenziare gli insegnanti dichiaratamente gay in base alla loro identità sessuale. La Bryant dichiarò: "Io non odio gli omosessuali, ma come madre, devo proteggere i miei figli dalla loro influenza negativa".[1]

Le iniziative della Bryant sollevarono vasti dissensi, movimentando l'intera comunità gay statunitense, con petizioni e picchetti guidati da Harvey Milk, che portarono nel novembre del 1978 alla non approvazione della legge.[1]

Il declino modifica

 
Anita Bryant negli anni settanta.

Il suo attivismo politico ha avuto un effetto negativo sulla sua carriera. Il suo contratto con la Florida Citrus Commission scadde nel 1979 e non le fu rinnovato a causa delle controversie e di tutta la pubblicità negativa generata dalle sue campagne politiche, con il conseguente boicottaggio del succo d'arancia a cui prestava l'immagine.[1] La sua carriera musicale subì un immediato arresto e successivamente divorziò dal marito, Bob Green, sposato nel 1960 e con il quale aveva avuto quattro figli.

Tra gli anni ottanta e gli anni novanta, la Bryant si trasferì prima in Missouri e poi in Arkansas, tentando di risollevare la propria carriera, con l'aiuto del secondo marito Charlie Hobson Dry, ma con poco successo. Si avventurò in diverse imprese commerciali, ma nel 2001 dichiarò definitivamente fallimento.[1]

Onorificenze modifica

— 27 ottobre 1986

Discografia modifica

  • 1959 – Anita Bryant
  • 1961 – In My Little Corner of the World
  • 1961 – Kisses Sweeter Than Wine
  • 1962 – Abiding Love
  • 1962 – In a Velvet Mood
  • 1962 – The ABC Stories of Jesus
  • 1963 – The Country's Best
  • 1963 – Anita Bryant's Greatest Hits
  • 1964 – The World of Lonely People
  • 1964 – The Best of Johnny Desmond & Anita Bryant at Jubilee 1964
  • 1965 – I Believe
  • 1966 – Mine Eyes Have Seen the Glory
  • 1967 – Christmas with Anita Bryant
  • 1968 – Anita Bryant
  • 1968 – How Great Thou Art
  • 1968 – In Remembrance of You
  • 1969 – Little Things Mean a Lot
  • 1970 – World Without Love
  • 1970 – Abide with Me
  • 1972 – Naturally
  • 1973 – Sweet Hour of Prayer
  • 1973 – Battle Hymn of the Republic
  • 1975 – Old Fashioned Prayin'
  • 1975 – Anita Bryant's All-Time Favorite Hymns
  • 1985 – Anita With Love

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g h i j (EN) Anita Bryant, su nndb.com. URL consultato il 14 febbraio 2016.
  2. ^ HBO eyes biopic about anti-gay activist Bryant, in Reuters, 2 febbraio 2010. URL consultato il 1º maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 1º febbraio 2013).
  3. ^ Michael Boucai, Gay Rights and Moral Panic: The Origins of America's Debate on Homosexuality (Book review), in Journal of Social History, 22 dicembre 2010. URL consultato il 30 aprile 2012 (archiviato dall'url originale l'11 giugno 2014).

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Collegamenti esterni modifica

Controllo di autoritàVIAF (EN79410587 · ISNI (EN0000 0000 8318 4976 · Europeana agent/base/63457 · LCCN (ENn50041110 · GND (DE119092948 · WorldCat Identities (ENlccn-n50041110