Anthony Asquith

regista britannico

Anthony Asquith (Londra, 9 novembre 1902Londra, 20 febbraio 1968) è stato un regista e sceneggiatore britannico.

Anthony Asquith (secondo da sinistra) con Walter J. Turner, Charles Percy Sanger e Mark Gertler.

Biografia modifica

Esordi modifica

Figlio del Primo Ministro del Regno Unito Herbert Henry Asquith, studiò all'Università di Winchester e successivamente tra il 1921 e il 1925 ad Oxford.

Divenne membro della London Film Society: sorto nel 1925, per iniziativa dello scrittore Ivor Montagu e dell'attore Hugh Miller, questo club privato si proponeva di far conoscere importanti opere cinematografiche, cui, per motivi di ordine commerciale o politico, era stata negata la circolazione nei circuiti normali. Fu qui, ad esempio, che si proiettarono le opere di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn e di Vsevolod Illarionovič Pudovkin, la cui circolazione era stata vietata dal British Board of Film Censors, per il loro contenuto propagandistico. In questo ambiente, frequentato da eminenti personalità dell'epoca - quali Virginia Woolf, George Bernard Shaw, Maynard Keynes e il regista Victor Saville - Anthony Asquith sviluppò una profonda conoscenza delle avanguardie cinematografiche sovietiche e tedesche[1]. In una postilla ai corsi di regia tenuti tra il 1933 e il 1934, Ėjzenštejn scriveva: "...solo un giovane regista (al tempo anche critico), Anthony Asquith, ha indicato che il finale di Potëmkin è stato costruito secondo il principio dell'ultimo atto dei film western"[2].

Tali influenze possono essere individuate già in alcune fresche e originali scelte stilistiche del suo primo film, Shooting Stars (1928), sul quale, per quanto accreditato solo come aiuto regista di H.V. Bramble, Asquith assunse il pieno controllo produttivo[3]. I successivi film muti Underground (1928) e A Cottage on Dartmoor (1930) sono ricchi di omaggi all'espressionismo tedesco. Nel frattempo, nel 1926, si era recato a Hollywood, stringendo una stretta amicizia con gli attori Douglas Fairbanks e Mary Pickford.

Anni trenta modifica

Anche con l'avvento del sonoro, Asquith confermò il suo talento "nell'uso contrappuntistico del rapporto tra sonoro e visivo"[4] con Tell England (1931), film sulla tragica spedizione inglese di Gallipoli del 1915. Dopo alcune produzioni per la British International Pictures, passò alla neonata Rank Corporation, per cui, nel 1938, diresse insieme con Leslie Howard Pigmalione, tratto dalla commedia di George Bernard Shaw, con la collaborazione al montaggio di David Lean; "...uno dei migliori e più prestigiosi film inglesi prima della guerra"[5]. Seguì un'altra commedia, Il francese senza lacrime, che avviò il sodalizio con lo scrittore Terence Rattigan. Negli anni successivi, il regista contribuì allo sforzo bellico britannico con alcuni film di intento propagandistico: Cottage to Let, Uncensored, The Demi-Paradise e il documentario Welcome to Britain.

Questa eccentrica figura di origini aristocratiche, che sul " set vestiva come un elettricista e, se è possibile, anche peggio"[6], era stato il primo regista britannico ad iscriversi a un sindacato industriale. Durante la seconda guerra mondiale, nella qualità di presidente della Association of Cinematograph and Television Technicians (ACTT), carica che avrebbe rivestito per 30 anni, condusse una determinata ed incisiva battaglia contro la smobilitazione degli studi cinematografici[7].

Dopoguerra modifica

Mentre conduceva un'altra dura lotta personale contro l'alcolismo, che "già all'inizio del decennio aveva cominciato a costituire una seria preoccupazione per amici e collaboratori"[8], diresse alcune tra le sue più raffinate e popolari opere, anch'esse tratte da drammi di Rattigan: in particolare Tutto mi accusa (1948) e Addio Mr. Harris (1951). Prima di "iniziare una fase sostanzialmente declinante"[9], Asquith adatto' per lo schermo L'importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde, opera di "confezione squisita, recitato con eleganza infallibile"[10]. Merita ancora di essere segnalato il film "più noto del decennio sul tema dello spionaggio a sfondo bellico"[11], Ordine di uccidere (1958).

Il suo ruolo di primo piano nell'establishment cinematografico britannico e la classica eleganza formale dei suoi film lo resero il bersaglio ideale, insieme al francese Claude Autant-Lara, degli attacchi portati dai giovani cineasti dei Cahiers du cinéma (François Truffaut, Éric Rohmer) al "cinema di papà"[12]. Negli anni sessanta concluse la sua attività dirigendo alcune produzioni internazionali ad elevato budget, popolate di grosse star, come Shirley MacLaine, Ingrid Bergman, Richard Burton, Omar Sharif, Elizabeth Taylor, Jeanne Moreau, Alain Delon, Orson Welles, quali International Hotel (1963) e Una Rolls-Royce gialla (1965).

Asquith, fu un alcolizzato. Elegante e riservato omosessuale, non si sposò mai. Alla sua morte, nel 1968, il Primo Ministro britannico Harold Wilson ebbe a definirlo "una figura unica ed insostituibile per tutto il cinema britannico"[13].

Filmografia modifica

Regista modifica

Sceneggiatore modifica

  • Boadicea, regia di Sinclair Hill (1927)
  • Shooting Stars, regia di Anthony Asquith e A. V. Bramble (1928)
  • Underground, regia di Anthony Asquith (1928)
  • A Cottage on Dartmoor, regia di Anthony Asquith (1930)
  • Tell England, regia di Anthony Asquith e Geoffrey Barkas (1931)
  • Dance Pretty Lady, regia di Anthony Asquith (1932)
  • Marry Me, regia di Wilhelm Thiele (1932)
  • The Lucky Number, regia di Anthony Asquith (1933)
  • Letting in the Sunshine, regia di Lupino Lane (1933)
  • Moskow Nights, regia di Anthony Asquith (1935)
  • Two Fathers, regia di Anthony Asquith (1944) – Non accreditato
  • L'importanza di chiamarsi Ernesto (The Importance of Being Earnest), regia di Anthony Asquith (1952) – Non accreditato
  • Two Living, One Dead, regia di Anthony Asquith (1961)

Riconoscimenti modifica

Note modifica

  1. ^ Luke McKernan, "Bambini nella nursery. Il cinema muto inglese", in "Storia del cinema mondiale" vol.III*, Giulio Einaudi editore, Torino, 2000
  2. ^ Sergej M. Ėjzenštejn, "Stili di regia", a cura di Pietro Montani e Alberto Cioni, Marsilio editori, Venezia, 1993
  3. ^ Luke McKernan, cit., pag. 145
  4. ^ Marco Pistoia, "Anthony Asquith", in "Enciclopedia del cinema", Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Milano, 2003
  5. ^ David Robinson, "Cinema inglese: gli anni trenta", in Storia del cinema mondiale, cit.;
  6. ^ Geoffrey Macnab, "The Asquith Version", "The Guardian", 6 febbraio, 2003
  7. ^ Geoffrey Macnab, cit.;
  8. ^ circolavano storielle su di lui che stramazzava al suolo per strada, o cadeva addormentato sulla zuppa. "Geoffrey Macnab, cit.;
  9. ^ Marco Pistoia, cit.;
  10. ^ "Il Morandini", Zanichelli, 2006
  11. ^ Stefano Della Casa, Cinema inglese del dopoguerra in Storia del cinema mondiale, cit.;
  12. ^ Stefano Della Casa, cit.;
  13. ^ Geoffrey Macnab, cit.

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Collegamenti esterni modifica

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