Aratea di Leida

codice miniato carolingio contenente gli Aratea (traduzione latina di Germanico dei Phaenomena di Arato)

Gli Aratea di Leida (classificazione Voss. lat. Q 79) sono un codice miniato carolingio datato al primo terzo del IX secolo, redatto presumibilmente su commissione di Ludovico il Pio.[1] Il manoscritto contiene il testo dei Phaenomena di Arato di Soli, nella traduzione latina di Germanico.[2]

Voss. lat. Q 79
manoscritto
Aratea di Leida, fol. 3v e fol. 4r
EpocaIX secolo
Lingualatino
Supportopergamena
Scritturacapitale libraria
Dimensioni22,5 × 20 cm
Fogli99
UbicazioneBiblioteca dell'Università di Leida
La rappresentazione della costellazione di Cefeo del codice Aratea

Storia modifica

Il testo dei Phaenomena di Arato modifica

I Phaenomena sono un poema didascalico che descrive nomi e posizioni dei corpi celesti e miti ad essi associati. Il trattato ebbe grande diffusione nel mondo antico, e fu oggetto di numerose traduzioni a opera di autori latini.[3] La prima versione fu redatta da Cicerone intorno all'80 a.C., una seconda traduzione fu realizzata da Germanico, una terza, più estesa delle precedenti, è attribuita a Rufio Festo Avieno. È principalmente la traduzione di Germanico ad essere utilizzata per gli Aratea di Leida, ma sono presenti brevi interpolazioni e frammenti provenienti dalla traduzione di Avieno.[4] Gli Aratea furono inoltre copiati, intorno all'anno 1000, in altri due manoscritti, probabilmente entrambi realizzati presso l'abbazia di San Bertino.[5]

La storia del codice di Leida modifica

La copia di età carolingia riproduce fedelmente, tanto nello stile delle illustrazioni quanto nella scrittura, oltre che nella forma stessa del codice, il manoscritto originale del tardo impero romano, di cui si è perduta ogni traccia. D'altro canto la biblioteca di corte carolingia non sopravvisse oltre il IX secolo, e molti dei suoi preziosi manoscritti giunsero in Inghilterra e in altre zone d'Europa. Gli stessi Aratea di Leida passarono di proprietà, ed erano probabilmente giunti nella bottega di qualche artista o artigiano quando, nel 1573, furono acquistati, a Gand, da Jacob Susius, umanista e filologo. Il testo fu poi posseduto da Ugo Grozio, che ne pubblicò un'edizione intitolata Syntagma Arateorum, Opus poeticae et astronomiae utilissimun nel 1600, a Leida. Dopo la morte di Grozio, la vedova vendette in blocco l'eccezionale biblioteca del marito a Cristina di Svezia. Dopo essere entrati a far parte della biblioteca della regina, gli Aratea passarono ancora di proprietà, acquisiti da Isaak Vossius, accademico e collezionista, per alcuni anni bibliotecario di corte di Cristina di Svezia. Alla sua morte, nel 1690, il manoscritto fu infine venduto all'Università di Leida, assieme agli altri volumi della sua collezione.[6]

Descrizione modifica

Il codice è composto da 99 fogli di pergamena di 225 per 200 mm. Il testo degli Aratea, scritto in capitale rustica, è accompagnato da 39 miniature a tutta pagina, tutte sul verso dei fogli.[7] Le illustrazioni che compongono l'opera sono di grande importanza per la comprensione delle conoscenze astronomiche dell'alto Medioevo. A tal proposito è utile esaminare la particolare miniatura del folio 93v, nella quale il sistema planetario viene rappresentato nella concezione tolemaica della volta celeste: al centro si trova la Terra, attorno a questa orbitano il Sole, la Luna e gli altri pianeti, nel cerchio più esterno sono raffigurate le stelle fisse.

Lungo le orbite dei pianeti sono riportati, in minuscola carolingia, versi tratti dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Particolare è la descrizione delle orbite di Mercurio e di Venere che girano eccezionalmente per le concezioni astronomiche del tempo attorno al Sole, concetto che trovava riscontro nell'opera di Marziano Capella. Il calcolo della proiezione della volta celeste rappresentata fa risalire la data di quel cielo al 18 marzo 816.[8]

Note modifica

  1. ^ De Hamel, pp. 174-175.
  2. ^ Ulrike Bauer-Eberhardt, Aratea, in Enciclopedia dell'arte medievale, vol. 1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1991.
  3. ^ Arato di Soli in Enciclopedia Treccani, su treccani.it.
  4. ^ De Hamel, pp. 167-169.
  5. ^ De Hamel, p. 178.
  6. ^ De Hamel, pp. 181-185.
  7. ^ De Hamel, pp. 151-152.
  8. ^ Richard Mostert e Marco Mostert, Using astronomy as an aid to dating manuscripts: The example of the Leiden Aratea, in Quaerendo, XX, 1999.

Bibliografia modifica

  • Aratea, Faksimileband, Luzern, Faksimile Verlag, 1978
  • Aratea, Kommentar zum Aratus des Germanicus, MS. Voss. Lat. Q. 79, Bibliotheek der Rijksuniversiteit Leiden, Luzern, Faksimile Verlag, 1989
  • Christopher de Hamel, Storia di dodici manoscritti (Meetings with Remarkable Manuscripts), traduzione di Massimo Parizzi e Chiara Rizzo, Milano, Mondadori, 2017 [2016], ISBN 978-88-04-68180-9.
  • Ranee Katzenstein, Emilie Savage-Smith, The Leiden Aratea: Ancient Constellations in a Medieval Manuscript, Getty Publications, 1988
  • Richard Mostert, Marco Mostert, "Using astronomy as an aid to dating manuscripts. The example of the Leiden Aratea planetarium", Quaerendo, XX (1999)
  • Ingo F. Walther et Wolfgang Norbert, Codices Illustres: The World's Most Famous Illuminated Manuscripts 400 to 1600, Cologne, Taschen, 2005

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