L'espressione arcana impèrii significa letteralmente i "segreti del potere" o i "principi del potere" o "dello stato".

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Essa si ritrova in due passi dell'opera di Tacito, segnatamente nelle Historiae (I, 4) e negli Annales (II, 36).

Il passo degli Annales è il seguente:

(LA)

«Et certamen Gallo adversus Caesarem exortum est. Nam censuit in quinquennium magistratuum comitia habenda, utque legionum legati, qui ante praeturam ea militia fungebantur, iam tum praetores destinarentur, princeps duodecim candidatos in annos singulos nominaret. Haud dubium erat eam sententiam altius penetrare et arcana imperii temptari. Tiberius tamen, quasi augeretur potestas eius, disseruit: grave moderationi suae tot eligere, tot differre.»

(IT)

«Si verificò poi un contrasto tra Gallo e Cesare. Gallo proponeva che si tenessero le elezioni dei magistrati per i cinque anni successivi, e che i legati delle legioni in carica prima dell'esercizio della pretura, fossero già allora designati pretori e che il principe indicasse dodici candidati per ciascuno dei cinque anni. Tale proposta penetrava senza dubbio più in profondità e mirava a sondare i segreti disegni del potere. Tiberio tuttavia ne discusse come se fosse in giuoco la crescita del suo potere. Rispose che scegliere tanti candidati e tanti differirne era gravoso alla sua modestia.»

Nelle Historiae si legge:

(LA)

«Finis Neronis ut laetus primo gaudentium impetu fuerat, ita varios motus animorum non modo in urbe apud patres aut populum aut urbanum militem, sed omnis legiones ducesque conciverat, evulgato imperii arcano posse principem alibi quam Romae fieri.»

(IT)

«Se la fine di Nerone si era risolta, sul momento, in un'esplosione di giubilo, aveva provocato reazioni diverse, non solo a Roma tra i senatori, il popolo e i soldati della guarnigione, ma in tutte le legioni e fra i loro comandanti: era adesso consapevolezza diffusa un principio del potere finora segreto, che si potesse divenire imperatori anche al di fuori di Roma.»

In quell'occasione narrata da Tacito, infatti, la morte del tiranno Nerone nel 68 (dopo la rivolta di Vindice e poi di Galba) aveva aperto una crisi generale di governabilità nell'impero romano, che in breve tempo condusse alla guerra civile.[1] Di fronte al fatto che le proclamazioni degli imperatori ormai avvenivano lontano dall'Urbs e le successioni si decidevano con gli scontri in campo aperto tra gli aspiranti al titolo, apparve evidente come il Senato fosse ormai impotente e come la forza e la scelta stessa del Principe (il principio del potere) si misurasse in base alla fedeltà dell'esercito.

Utilizzo modifica

Nel Seicento il giurista Clapmarius distingueva gli jura sive arcana imperii dagli arcana dominationis[2]: i primi sono i fondamenti universali degli Stati e ciò che ad essi garantisce la conservazione; i secondi invece sono i princìpi occulti ai quali s’ispirano i governanti per non farsi spodestare e dipendono dalla forma della res publica[3].

La Rivoluzione francese operò una rottura rivolta «non solo agli arcana imperii (l’impianto istituzionale della monarchia «assoluta»), ma anche (anzi ancor più) agli arcana juris, o meglio ancora agli arcana imperii insiti negli arcana juris» [4]. "L’idea che il potere del giudice discendesse direttamente da valori universali, immanenti all’uomo, trovava forma nell’identificazione tra arcana juris ed arcana majestatis, propria del giusnaturalismo tardo settecentesco. Una concezione che assegnava al giurista il ruolo strategico di custode ed interprete unico di quell’ordine divino, dal quale derivava il diritto"[5].

Note modifica

  1. ^ Giuseppe Zecchini, Il ruolo dei soldati nella mancata conquista della Germania (PDF), su portale.unipa.it. URL consultato il 5 febbraio 2013.
  2. ^ Arnoldus Clapmarius, De arcanis rerumpublicarum libri sex, Bremae, in officina typographica Johannes Wesselii, 1605.
  3. ^ Roberto Bordoli, Tra democrazia apparente e tirannia. Spinoza e la letteratura repubblicana, in "Intersezioni", 3/2012, pp. 331-354, DOI: 10.1404/38379.
  4. ^ Francesco Di Donato, La Costituzione fuori del suo tempo. Dottrine, testi e pratiche costituzionali nella Longue durée, in "Quaderni costituzionali", 4/2011, pp. 895-928, DOI: 10.1439/36123.
  5. ^ C. Castellano, Il mestiere di giudice. Magistrati e sistema giuridico tra i francesi e i Borboni (1799-1848), Bologna, Il Mulino, 2004, p. 67.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica