Atalanta e Ippomene

L'Atalanta e Ippomene è un soggetto dipinto da Guido Reni noto in due redazioni, olio su tela, una (206×279 cm, allungata nel margine sinistro e inferiore con pezzi di tela aggiunti successivamente la morte del Reni) databile tra il 1618 e il 1619 e conservata nel Museo del Prado a Madrid,[1] un'altra (192×264 cm) che parte della critica data tra il 1615-1618[2] e un'altra tra il 1620-1625, custodita nel Museo di Capodimonte a Napoli.[3]

Atalanta e Ippomene
AutoreGuido Reni
Data1618-1619 ca.
Tecnicaolio su tela
Dimensioni206×279 cm
UbicazioneMuseo del Prado, Madrid
Atalanta e Ippomene
AutoreGuido Reni
Data1615-1618 o 1620-1625 ca.
Tecnicaolio su tela
Dimensioni192×264 cm
UbicazioneMuseo nazionale di Capodimonte, Napoli

Non si dispongono informazioni puntuali circa le vicende che hanno portato alla committenza delle due tele oggi note, né si conosce in che occasione queste siano avvenute e quali siano stati i contatti con Guido Reni. Parte della critica ritiene la tela oggi a Madrid, che rispetto a quella napoletana è più grande di qualche centimetro quale opera "originale" del maestro bolognese, da cui poi si sono succedute diverse repliche, tra cui certamente autentica è quella di Napoli.[4][5]

Seconda un'altra parte della critica più recente, invece, la versione napoletana rappresenta l'idea originaria del pittore bolognese, risalente ai primi anni romani dell'artista, da anteporre cronologicamente di qualche anno a quella spagnola.[2]

Storia modifica

La versione di Madrid modifica

La tela di Madrid proviene dalla collezione del marchese genovese Giovan Francesco Serra (Genova, 1609 - Majorca, 1656), militare al servizio della corona di Spagna cresciuto con suo zio in terra iberica, un ambasciatore di Genova in Spagna, molto attivo sia a Napoli che nel ducato di Milano, in quest'ultima città dove allestì in una sua villa la sua quadreria d'arte.[1][6] Tuttavia non si sa se il Serra sia stato il reale committente o se abbia acquistato l'opera da qualche altro mecenate, né tanto meno in che occasione sia entrato in contatto col Reni.

A sinistra è la versione madrilena prima del restauro del 2023, con le aggiunte seicentesche postume a Guido Reni (che poi saranno coperte mediante la nuova cornice applicata). A destra sono evidenziate con una linea rossa le suddette aggiunte, mentre con linea verde è demarcato il punto di congiunzione dei due distinti pezzi di tela orizzontali che compongono il quadro originario.

Alla morte del marchese la sua collezione (composta da circa quaranta dipinti) fu portata a Napoli, città nella quale si stabilirono i figli, che intanto videro il loro titolo elevato a duchi di Serra di Cassano da Carlo II, e quindi messa all'asta dagli stessi nel 1664.[4] Furono diciotto le tele che vennero acquistate dal viceré di Napoli Gaspar Bracamonte y Guzmán (dal 1658 al 1664), conte di Peñaranda, il quale funse da intermediario per il trasferimento successivo entro le raccolte di re Filippo IV di Spagna, per il quale il marchese Serra era al servizio con importanti cariche militari in Italia.[1]

Nell'inventario lasciato al re spagnolo, che da lì a breve sarebbe morto, erano registrate due tele di Guido Reni, un'Atalanta e Ippomene e un Cristo con la croce sulle spalle, oggi alla Real Academia de Bellas Artes de San Fernando a Madrid.[4] Ritenuta già sin dal Seicento opera autografa, nel corso del Settecento la tela fu "declassata" a opera di bottega e quindi passò da museo a museo nella città madrilena (Galleria dell'Alcazàr, Palazzo Reale, Accademia), fin quando nell'Ottocento, causa anche il cattivo stato di conservazione in cui versava e alcune ridipinture che ne hanno deteriorato la leggibilità originaria, cadde definitivamente nell'oblio, venendo confinata nei depositi del Prado senza trovare mai la giusta considerazione nello scenario museale.[4][7]

Il dipinto fu riscoperto e rivalutato nella seconda metà del Novecento grazie anche ad un lungo lavoro di pulitura, avvenuto intorno agli anni '70, che ha ripristinato in gran parte il livello qualitativo della pittura, portando una parte della critica a ritenerlo anche superiore in alcuni passaggi alla tela napoletana (tra cui Federico Zeri, che riscontra i pregi nei particolari delle mani di Ippomene).[8] Il dipinto madrileno, vista anche la certezza delle sue fonti storiche che lo interessano, fu quindi considerato da quel momento in poi come "capo fila" originale e autografo delle rappresentazioni di tale soggetto da parte del Reni.[1] Come era solito fare per il pittore, infatti, secondo la critica anche per il mito di Atalanta sono state effettuate repliche dall'artista o dalla sua bottega mediante cartoni preparatori,[4] e tra queste quella che più trova il consenso sarebbe proprio quella del Museo di Capodimonte a Napoli, la quale, considerate le notevoli qualità stilistiche rilevate in occasione delle indagini degli anni '70, viene ritenuta certamente autografa e non una replica antica.[4]

Studi datati 2022 tuttavia hanno evidenziato come alcune parti del dipinto spagnolo siano sostanzialmente delle aggiunte seicentesche successive a Guido Reni, che ne hanno ampliato le originali dimensioni di qualche centimetro sul margine inferiore e su quello sinistro. Inoltre alcune ridipinture effettuate nel corso del tempo hanno considerevolmente alterato gli originali pigmenti cromatici della tela, come nelle parti occupate dal cielo e dalle nubi, nonché qualche altro particolare dei corpi dei due protagonisti, in particolare lungo la linea di demarcazione delle due tele orizzontali unite in un unico panno.[5] L'intervento di restauro effettuato sulla tela nel 2022 ha portato l'opera a possedere una cornice che occupa lo spazio rappresentato proprio da queste aggiunte, riducendo quindi la tela all'idea originaria di Guido Reni, ossia alle dimensioni più simili alla versione napoletana.[5]

La versione di Napoli modifica

La tela napoletana paga il prezzo di una provenienza ignota e poco documentata: viene infatti registrata per la prima volta solo nel 1802, quale acquisto eseguito dall'emissario Domenico Venuti che, per conto di Ferdinando IV di Borbone, fu incaricato di reperire nel mercato d'arte dipinti da destinare alle collezioni borboniche, nonché di ritrovare quelle opere che erano state trafugate dalle truppe francesi con l'avvento della Repubblica napoletana del 1799.[3]

Le informazioni storiche precedenti l'Ottocento sono quindi frutto prettamente di documenti di provenienza archivistica, ma nulla si sa sui passaggi puntuali e sulla effettiva committenza della tela napoletana. Di certo si sa che il dipinto era già nella milanese (anch'essa) collezione Pertusati,[9] ma non si sa se la famiglia sia stata o meno la reale committente, per poi passare dapprima alla raccolta romana Capperoni, dov'era registrato sempre come opera autografa del Reni, e quindi all'acquisto effettuato dal Venuti.[3]

Ritenuta dalla critica antica databile tra il 1615 e il 1620, con la riscoperta della tela di Madrid, la datazione di quella di Capodimonte è stata spostata più in avanti di qualche anno, quindi tra il 1620 e il 1625. Tuttavia questo assunto, dopo alcuni studi del 2022, non trova unanime accordo nella critica: una parte degli studiosi ritiene infatti quella di Napoli antecedente, databile dal 1615 al 1618, appartenente ai primi anni romani del Reni,[2] ciò anche grazie al livello qualitativo della pittura che non ha risentito di alcune criticità che invece hanno interessato la versione spagnola.[5]

Descrizione modifica

 
Dettaglio dell'Atalanta di Napoli

«Nudi da Erebo, fantasmi di un imbrunire perpetuo, Atalanta e Ippomene sono colpiti da una luce spettrale: evocati, richiamati dal nulla....le carni s'imbevono di una luce astratta, lunare. Una diagonale di rossori, in quel pallore livido, d'incarnati più rosei, un soffio appena vitale attraversa le mani dei due adolescenti, scalando dal volto del giovane fino alla mano della fanciulla che interrompe la corsa e si distrae a raccogliere il pomo gettato dal rivale: un gesto - lapsus, che nel suo curvo ritmo di danza scopre una nudità di membra molli, lievemente deteriorate... Atalanta assorta in un'ermetica indifferenza, Ippomene che si ritrae spaventato dalla magia fascinatrice del pomo, divergono in un rapporto di fraterna, incomunicabile solitudine»

La tela (sia la versione a Madrid che a Napoli) rappresenta il mito di Atalanta, da Le Metamorfosi di Ovidio, ninfa la cui imbattibile capacità nella corsa fu sconfitta solo da Ippomene tramite uno stratagemma ordito da Afrodite.[10] Atalanta è infatti una donna avversa al matrimonio, pronta a sposarsi solo con colui che l'avrebbe battuta in una gara di corsa.[10] I suoi spasimanti che vengono di volta in volta sconfitti pagheranno la posta in gioco con la morte, così Ippomene, con l'aiuto di Afrodite, che gli ha fornito i pomi d'oro, durante la corsa getta gli stessi nel giardino delle Esperidi, allorché Atalanta una volta che si china per raccoglierli, viene così sorpassata perdendo la gara.[10]

Guido Reni ritrae esattamente quest'ultimo momento culminante del mito, raffigurando le due figure in un paesaggio notturno, in cui i colori del cielo si uniscono idealmente alle tinte del terreno facendo risaltare prepotentemente i due personaggi.[10] Atalanta e Ippomene hanno corpi dall'incarnato rosa pallido, ornati da pochi veli che ne coprono gli organi genitali; le loro figure sono tese in movimenti al limite della danza, con un solo piede d'appoggio e le braccia sinistre ripiegate verso il corpo, scelta che permette di creare una composizione geometrica particolare, simbolo della pittura classicista del tempo seppur già tesa al barocco.

La versione spagnola, di qualche centimetro più grande di quella napoletana, sia in altezza (14 cm circa) che in lunghezza (15 cm circa), non è tuttavia un ingrandimento in scala di quest'ultima, bensì contiene sui margini qualche centimetro in più di tela: a destra consente così di avere due piccole figure in più che decorano il paesaggio sullo sfondo, mentre sul margine inferiore e di sinistra vi è una vera e propria aggiunta di tessuto posteriore che risale al Seicento, in anni successivi alla morte di Guido Reni, applicato con molta probabilità per allungare il terreno e il paesaggio così da dare più profondità e centralità alle due figure in primo piano.[5] Il dipinto spagnolo, giunto a oggi privo di cornice originale, si sviluppa inoltre su due distinte fasce di tela a taglio orizzontale unite tra loro (si vede la linea di separazione pressoché sul livello del naso e bocca di Atalanta, che scorre poi lungo le zone pubiche dei due protagonisti per tutta la lunghezza dei quadro), mentre quello napoletano, con cornice antica, è su un unico supporto.

Un'altra versione ritenuta più scadente e non autografa era anch'essa a Madrid, nel Museo del Prado, proveniente dalla collezione dell'allora direttore Josè Madrazo, che probabilmente confinò a suo tempo nei depositi l'altra attualmente nota proprio per sponsorizzare quella in suo possesso, poi venduta a Salamanca e ancora nel mercato di Parigi nel 1867.[7] Alla Galleria degli Uffizi di Firenze è conservato un piccolo olio su rame, 23×23 cm, attribuito al Reni e databile sempre al terzo decennio del Seicento,[11] che forse dà l'idea di quelli che dovevano essere i colori originali del cielo, fatti di un tono acceso e non scuro come invece appaiono oggi le due versioni del Prado e di Capodimonte, i cui esiti secondo parte della critica derivano da un impoverimento cromatico dovuto a un'imperfezione del colore blu utilizzato dai pittori bolognesi del tempo, che si attenuerebbe dopo circa ottant'anni dalla loro stesura.[5]

Note modifica

  1. ^ a b c d Scheda, su museodelprado.es, sito ufficiale del Museo del Prado. URL consultato il 13 novembre 2012.
  2. ^ a b c Guido Reni - Atalanta e Ippomene, su Galleria Borghese, 16 marzo 2022. URL consultato il 2 maggio 2022.
  3. ^ a b c Museo nazionale di Capodimonte, pp. 105 e 112.
  4. ^ a b c d e f Cañal.
  5. ^ a b c d e f Guido Reni a Roma. Il sacro e la natura, Marsilio Arte, Venezia, 2022, ISBN 979-12-5463-029-7.
  6. ^ SERRA, Giovan Francesco in "Dizionario Biografico", su treccani.it. URL consultato il 5 maggio 2021.
  7. ^ a b Guido Reni, L'opera completa, pp. 97-98.
  8. ^ Guido Reni spiegato da Federico Zeri - YouTube, su youtube.com. URL consultato il 16 maggio 2022.
  9. ^ Un'opera per questi giorni: Guido Reni, Atalanta e Ippomene, su AgoraVox Italia. URL consultato il 4 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2020).
  10. ^ a b c d Il Museo di Capodimonte, p. 120.
  11. ^ (EN) Atalanta ed Ippomene dipinto, ca 1620 - ca 1630, su catalogo.beniculturali.it. URL consultato il 16 maggio 2022.

Bibliografia modifica

  • Guida breve - Il Museo di Capodimonte, Napoli, Arte'm, 2008.
  • Guido Reni, L'opera completa, Milano, Rizzoli, 1971.
  • Museo nazionale di Capodimonte, Guide Artistiche Electa Napoli, 1994.
  • (ES) Vicente Lleó Cañal, Atalanta e Hipomenes de Guido Reni, in Atrio, vol. 10/11, 2005, pp. 141-146.

Voci correlate modifica

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

  • Scheda del dipinto, su cir.campania.beniculturali.it, Sovrintendeza ai Beni Culturali della Campania. URL consultato il 13 novembre 2012 (archiviato dall'url originale il 23 febbraio 2014).