Benedetto Varchi

umanista, scrittore e storico italiano
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Benedetto Varchi (Firenze, 19 marzo 1503Firenze, 18 dicembre 1565) è stato un umanista, scrittore e storico italiano.

Benedetto Varchi

Biografia modifica

Nato a Firenze da famiglia originaria di Montevarchi nel 1503, Benedetto Varchi studiò all'Università di Pisa per diventare notaio. Laureatosi in legge, esercitò per un breve tempo la professione, ma ben presto si dedicò agli studi umanistici. Era repubblicano e dopo il ritorno dei Medici lasciò Firenze. Viaggiò molto, fra Roma, Venezia, Padova e Bologna; offrì suoi servigi alla famiglia Strozzi. Stabilitosi a Padova, frequentò i corsi di filosofia allo Studio patavino e dal 1540 al 1541 partecipò alle attività dell'Accademia degli Infiammati, tenendo lezioni su poeti volgari e sulla logica e sull'Etica di Aristotele.

Si dedicò alle traduzioni dei testi aristotelici dal greco in volgare. Passò a Bologna nel 1542, dove frequentò lezioni universitarie di Boccadiferro. Chiamato da Cosimo I per scrivere Storia fiorentina, ritornò nel 1543 nella città natale e cominciò a tenere lezioni su Dante all'Accademia Fiorentina. Fu autore di sonetti e canzoni, ma anche di poesie latine; tradusse il De consolatione philosophiae di Boezio e De beneficiis di Seneca. A lui si deve uno dei più importanti trattati di linguistica del XVI secolo, l'Ercolano, uscito postumo nel 1570. Varchi morì nel 1565, lasciando numerosi autografi e una biblioteca di manoscritti, incunaboli e volumi a stampa.

L'Accademia fiorentina modifica

Rientrato a Firenze, dunque, Varchi fece parte dell'Accademia fiorentina e si occupò di linguistica, di critica letteraria (fu un grande studioso di Dante), di estetica, di filosofia ma anche di alchimia e di botanica. Scrisse, tra le altre cose, un trattato, L'Hercolano (pubblicato postumo nel 1570), una commedia, La Suocera, e moltissimi sonetti.

La Storia fiorentina modifica

Ricevette l'incarico da Cosimo di redigere una storia contemporanea di Firenze che scrisse, impegnando circa vent'anni, in uno stile innovativo che potremmo definire giornalistico perché molto attento alla ricerca delle fonti. La Storia fiorentina abbraccia il periodo fra il 1527 e il 1538, in 16 libri. L'opera risalta per il suo rigore documentario; tuttavia proprio per il fatto che non ometteva avvenimenti politicamente "imbarazzanti", sarebbe stata pubblicata solo nel 1721.

Varchi è fautore del tacitismo: se da una parte nega la distinzione machiavelliana tra politica e morale, dall'altra giustifica sul piano morale la tirannide in nome delle esigenze generali dello Stato e della comunità.[1]

L'Hercolano modifica

Antefatti modifica

Lo spunto per l’elaborazione dell'Hercolano era partito dalla richiesta dell’amico Annibale Caro che, criticato per la lingua troppo vicina al fiorentino moderno adoperata nella sua canzone Venite all’ombra dei gran gigli d’oro (dedicata al re di Francia, 1553), voleva rispondere agli attacchi dei detrattori, in particolare di Lodovico Castelvetro. Varchi promise a Caro la compilazione di un trattato in cui si sarebbe occupato specificamente della questione; la stesura dell’opera si rivelò tuttavia più lunga del previsto, poiché l’intenzione dell’autore era l’esposizione organica delle riflessioni maturate in ambito linguistico, supportate dal materiale raccolto e schedato nei precedenti anni di ricerca. Intanto la diatriba fra Caro e Castelvetro era diventata molto violenta, essendo sfociata nell’omicidio di un amico di Caro e in accuse d’eresia da ambo le parti. Con il timore di aver dato poco spazio alla difesa di Caro, e d’altra parte di aggravare la condizione di Castelvetro, condannato nel 1560 per eresia, Benedetto Varchi aveva temporeggiato nella pubblicazione della sua opera, che alla fine fu data alle stampe dopo la morte dell’autore, nel 1570.[2]

Contenuti modifica

L'Hercolano è un dialogo tra Varchi e il conte Ercolano sulla natura del volgare toscano (anche se il primo dimostra che andrebbe piuttosto chiamato fiorentino). Le tesi di Varchi prendono le mosse da quelle di Pietro Bembo, con cui era entrato in contatto negli anni trascorsi a Padova. Al suo ideale di lingua cristallizzato sull'esempio dei classici del Trecento (Petrarca, Boccaccio e, in misura minore, Dante), tuttavia, Varchi oppone una sua propria teoria in cui, accanto ai classici, potevano trovare asilo nella lingua letteraria anche forme più popolari in uso tra i fiorentini. I due interlocutori del dialogo, inoltre, discutono se la lingua greca sia più o meno ricca del nostro volgare e il Varchi coglie l'occasione per elencare centinaia di espressioni fiorentine, tutte relative al favellare, nessuna delle quali ha un corrispondente greco: questo rende l'opera gratissima agli amanti delle toscane eleganze. L'amore di Varchi per le locuzioni del parlato lo spinse anche, saggiamente, a consigliare a Benvenuto Cellini, che l'aveva interpellato, di non modificare lo stile della sua autobiografia, conservandone la vivace e schietta autenticità.

Se le lingue fanno gli scrittori o gli scrittori le lingue modifica

Al quarto quesito contenuto nell'Hercolano, se le lingue fanno gli scrittori o gli scrittori le lingue, Varchi afferma che le lingue, per essere considerate tali, non hanno bisogno di una tradizione scritta: «Il fine di chi favella è aprir l’animo suo a colui che l’ascolta, e questo non ha bisogno nè dall’una parte nè dall’altra di scrittura, la qual è artifiziale»; dunque non le lingue “semplici”, ma le lingue “nobili” hanno bisogno di scrittori: «e così gli scrittori sono quegli che fanno non le lingue semplicemente, ma le lingue nobili». Tale affermazione, come fa notare il conte Ercolano, entra in contrasto con quella di Bembo, che invece scriveva che «non si può dire che sia veramente lingua alcuna favella che non ha scrittori». Un idioma che non ha scrittori, ribadisce Varchi, «si può, anzi si dee, solo che sia in uso, chiamar lingua, ma non già lingua nobile».[2]

Varchi afferma inoltre che sono i poeti, più che gli scrittori di prosa, a conferire nobiltà alla lingua, «perché, oltra che furon prima i poeti che gli oratori, il modo di scrivere in versi è il più bello, il più artifizioso e il più dilettevole di tutti gli altri».[2]

Se la lingua volgare è una nuova lingua da sé, o pure l’antica latina guasta e corrotta modifica

Il sesto quesito consiste nel capire se la lingua volgare è una nuova lingua da sé, o pure l’antica latina guasta e corrotta.

Secondo Varchi la lingua latina e la lingua volgare sono due idiomi distinti: «la latina antica fu e la volgare moderna è una lingua da sé». Chi afferma il contrario, cioè che latino e volgare sono una sola lingua e che quest’ultimo sia il latino “guasto e corrotto”, contraddice se stesso. Come afferma Aristotele infatti «la corruzione […] altro non è che uno trapasso o vero passaggio dall’essere al non essere»: se il latino si è corrotto, allora non esiste più, e al suo posto è subentrato il volgare.

«Di che segue che la [lingua] volgare, la quale è viva, non sia una medesima colla latina, la qual è spenta, ma una da sé. […] Le mutazioni e differenze sostanziali fanno le cose non diverse o alterate, ma altre, perché mutano la spezie». Inoltre il latino, a differenza del volgare, non si può ormai apprendere e parlare “naturalmente”, senza studio e fatica, e ciò lo rende una lingua «altra, non diversa o alterata».

La metafora è quella di un boccale di vino, nel quale se si versassero «un fiasco o due d’acqua» allora rimarrebbe vino e la sua mutazione sarebbe “accidentale”, ovvero resterebbe uguale nella sostanza, non sarebbe "altro", ma soltanto "alterato"; se invece vi si versasse dentro un barile di acqua, la mutazione sarebbe “sostanziale”, ovvero cambierebbe nella sostanza «sarebbe altro e non alterato […] perché non sarebbe più vino, ma acqua».

Contro le tesi dei sostenitori del latino, Varchi afferma infine — citando sempre Aristotele — che il volgare non è nato da una “corruzione” del latino, ma esso è una “generazione” dal latino: «La natura non intende e non vuole mai corruzione alcuna per sé, ma solamente per accidente, volendo ella solamente e intendendo per sé le generazioni. Dunque la mutazione della lingua latina nella volgare non si dee chiamare corruzione, ma generazione. […] Il medesimo della latina dire si potrebbe, percioché ancora essa fu quasi una medesima corruzione, anzi generazione dalla greca e da altre lingue».[2]

La conversione religiosa modifica

Un'altra sua caratteristica costante fu l'attenzione ai temi religiosi, che visse con inquietudine e che lo condusse a una crisi spirituale dalla quale emerse con il desiderio di farsi prete (anche se alla tardiva conversione non fu certo del tutto estraneo il bisogno di ricostruire una reputazione sociale compromessa dagli scandali di costume). Divenuto sacerdote cattolico, il duca, che non aveva mai cessato di manifestargli il suo favore, gli aveva ottenuto un incarico in una chiesa di Montevarchi ma non lo poté mai svolgere perché morì nella sua Villa medicea della Topaia a Castello, dove abitava da dieci anni.

Onorificenze modifica

Gli è stata intitolata la scuola superiore Isis Benedetto Varchi a Montevarchi in provincia di Arezzo.

Opere modifica

Note modifica

  1. ^ Alberto Casadei e Marco Santagata, Manuale di letteratura italiana medievale e moderna, Laterza, 2014, ISBN 9788858117286.
  2. ^ a b c d Raffaella Scarpa, La questione della lingua. Antologia di testi da Dante a oggi, Roma, Carocci editore, 2012, ISBN 978-88-430-6361-1.

Bibliografia modifica

  • Salvatore Lo Re, «Quel rognir bestiale che spaventa il mondo». Caccia alle streghe nella Firenze del Doni, in «Quaderni Veneti». Schede per Gino Belloni, 3, 2014, pp. 9–18.
  • Marco Sgarbi, The Italian Mind. Vernacular Logic in Renaissance Italy (1540–1551), Leiden - Boston, Brill, 2014.
  • Anna Siekiera, L'identità linguistica del Vasari «artefice». I. «Due lezzioni» di Benedetto Varchi alla vigilia della prima edizione delle «Vite», in Architettura e identità locali, I parte, a cura di Lucia Corrain e Francesco Paolo Di Teodoro, Firenze, Olschki, 2013, pp. 113–123.
  • Anna Siekiera, I lettori di Aristotele nel Cinquecento: i libri e le carte di Benedetto Varchi, in «Studi Linguistici Italiani», 39, 2013, pp. 198–218.
  • Varchi e altro Rinascimento. Studi offerti a Vanni Bramanti, a cura di S. Lo Re e F. Tomasi, Manziana, Vecchiarelli, 2013 (contributi su Benedetto Varchi di: A. Andreoni, D. Brancato, G. Ferroni, S. Lo Re, F. Pignatti, P. Procaccioli, D. Romei, P. Scapecchi, A. Siekiera, F. Tomasi).
  • Annalisa Andreoni, La via della dottrina. Le lezioni accademiche di Benedetto Varchi, Pisa, Edizioni ETS, 2012.
  • Annalisa Andreoni, Benedetto Varchi's Lezioni on Poetry, in Renaissance Studies in Honor of Joseph Connors, ed. by M. Israels, L.A. Waldman with G. Beltramini, et alii, Florence, Villa I Tatti, The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, 2012, pp. 473–481.
  • Salvatore Lo Re, Piccolomini tra Varchi e Speroni, in Alessandro Piccolomini (1508-1579). Un siennois à la croisée des genres et des savoirs (Actes du Colloque International, Paris, 23-25 septembre 2010), réunis et présentés par Marie-Françoise Piéjus, Michel Plaisance, Matteo Residori, Paris, CIRRI - Université Sorbonne Nouvelle Pari, 3, 2011, pp. 39–51.
  • Floriana Conte, schede IV. 14 - IV. 18, in Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi, 24 settembre – gennaio 2010), a cura di Carlo Falciani, Antonio Natali, Firenze, Mandragora, 2010, pp. 230–239.
  • Anna Siekiera, Benedetto Varchi, in Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, to. I, a c. di M. Motolese, P. Procaccioli, E. Russo, Roma, Salerno editrice, 2009, pp. 337–357.
  • Salvatore Lo Re, Ludovico Castelvetro e Annibal Caro: storia di una controversia tra letteratura ed eresia, in Ludovico Castelvetro. Letterati e grammatici nella crisi religiosa del '500, a cura di M. Firpo e G. Mongini, Firenze, Olschki, 2008, pp. 91–112.
  • Anna Siekiera, Aspetti linguistici e stilistici della prosa scientifica di Benedetto Varchi, in «Studi linguistici italiani», 33, 2007, pp. 3–50.
  • Salvatore Lo Re, Politica e cultura nella Firenze cosimiana.Studi su Benedetto Varchi, Manziana, Vecchiarelli, 2008.
  • Cesare Vasoli, Benedetto Varchi e i filosofi, in Benedetto Varchi (1503-1656). Atti del convegno, Firenze, 16-17 dicembre 2003, pp. 403–434.
  • Benedetto Varchi 1503-1565. Atti del convegno, Firenze, 16-17 dicembre 2003, a cura di V. Bramanti, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2007.
  • Antonio Sorella, Gli scritti grammaticali di Benedetto Varchi, Pescara, Libreria dell'Università Editrice, 2007.
  • Salvatore Lo Re, La crisi della libertà fiorentina. Alle origini della formazione politica e intellettuale di Benedetto Varchi e Piero Vettori, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006.
  • Antonio Sorella, "Borghini, Bembo e Varchi", in Fra lo «Spedale» e il principe. Vincenzio Borghini: filologia e invenzione nella Firenze di Cosimo I, Atti del Convegno, Firenze, 21-22 marzo 2002, a cura di Gustavo Bertoli e Riccardo Drusi, Padova, Il Poligrafo, 2005, pp. 149–57.
  • Antonio Sorella, L'autore sotto il torchio. Saggi di tipofilologia, Pescara, Libreria dell'Università Editrice, Collana “Biblioteca Linguistica” diretta da Pietro Trifone, 2004.
  • Giuliano Tanturli, Una gestazione e un parto gemellare: la prima e la seconda parte dei Sonetti di Benedetto Varchi, in «Italique», 7, 2004, pp. 43–100.
  • Vanni Bramanti, Benedetto Varchi tra Caro e Castelvetro, in Miscellanea di studi in onore di Giovanni da Pozzo, a cura di D. Rasi, Roma-Padova, Antenore, 2004, pp. 243–254.
  • Annalisa Andreoni, La «Lezzione seconda» sulla grammatica di Benedetto Varchi, in «Nuova Rivista di Letteratura Italiana», 2003, 6, pp. 137–68.
  • Dario Brancato, «O facitor de gli stellanti chiostri»: un'inedita traduzione di Benedetto Varchi di «De consol. philosophiae», Lib. I M. 5, in «Lettere italiane», 55, 2003, pp. 257–66.
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  • Annalisa Andreoni, Benedetto Varchi all'Accademia degli Infiammati. Frammenti inediti e appunti sui manoscritti, in «Studi rinascimentali», 2005, 3, pp. 29–44.
  • Benedetto Varchi, in "L'Omnibus Pittoresco", a.III (1840), luglio, n.16, pp. 121–122.
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  • Vanni Bramanti, Viatico per la «Storia fiorentina» di Benedetto Varchi, in «Rivista Storica Italiana», 114, 2002, pp. 808–928.
  • Antonio Sorella, Benedetto Varchi e l'edizione torrentiniana delle «Prose», in «Prose della volgar lingua» di Pietro Bembo, a cura di Silvia Morgana, Mario Piotti, Massimo Prada (Atti del Convegno di Gargnano del Garda, 4-7 ottobre 2000), Milano, Cisalpino, 2001, pp. 493–508.
  • Massimo Firpo, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997.
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  • Simone Albonico, Benedetto Varchi, “Storia fiorentina”. Nota ai testi, in Storici e politici fiorentini del Cinquecento, to. I, a cura di A. Baiocchi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1994, pp. 1073–90.
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  • Alessandro Cecchi, «Famose frondi de cui santi honori...», un sonetto del Varchi e il ritratto di Lorenzo Lenzi dipinto dal Bronzino, in «Artista», 2, 1990, pp. 8–19.
  • Maria Prunai Falciani, Manoscritti e libri appartenuti al Varchi nella Biblioteca Riccardiana di Firenze, «Accademie e Biblioteche d'Italia», 53, 1985, pp. 14–29.
  • Valerio Vianello, Fuoriuscitismo politico fiorentino e produzione letteraria nel Cinquecento, in T. Agostini Nordio e V. Vianello, Contributi rinascimentali: Venezia e Firenze, Abano Terme, Francisci, 1982, pp. 133–63.
  • Michel Plaisance, Une première affirmation de la politique culturelle de Côme Ier: la transformation de l'Académie des «Humidi» en Académie Florentine (1540-1542), in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l'époque de la Renaissance (première série). Études réunies par André Rochon, Université de la Sorbonne Nouvelle («Centre de recherche sur la Renaissance italienne»), 1973, pp. 361–438.
  • Giovanni Papuli, Benedetto Varchi: logica e poesia, in Studi in onore di Antonio Corsano, Manduria, Lacaita, 1970, pp. 527–552
  • Ettore Bonora,l'Accademia fiorentina. Il Gelli e il Varchi. Storia della Letteratura Italiana, IV, Milano Garzanti,1966,pag.528-32
  • F.G., Benedetto Varchi, in "Poliorama Pittoresco", n. 45 del 20 giugno 1840, pp. 363–364;
  • Vita di Benedetto Varchi. Sta con: Benedetto Varchi, Storie fiorentine, Le Monnier, Firenze 1857, vol. I. (è opera di un suo contemporaneo).
  • Giovanni Dall'Orto, "Socratic Love" as a Disguise for Same-sex Love in the Italian Renaissance, "Journal of homosexuality", XVI, n. 1/2 1989, pp. 33–65. Anche come: Kent Gerard e Gert Hekma (a cura di), The pursuit of sodomy: male homosexuality in Renaissance and Enlightenment, Europe Harrington Park Press, New York 1989, pp. 33–65.
  • Antonfrancesco Grazzini, Le rime burlesche edite e inedite, Sansoni, Firenze 1882, passim.
  • Guido Manacorda, Benedetto Varchi. L'uomo, il poeta, il critico, "Annali della R. Scuola normale di Pisa", XVII, 1903, part. II, pp. 1–161. Ristampa anastatica: Polla, Cerchio (L'Aquila) 1987.
  • Giorgio Pedrotti, Alfonso de' Pazzi, accademico e poeta, Tipografia Cipriani, Pescia 1902, passim.
  • Umberto Pirotti, Benedetto Varchi e la cultura del suo tempo, Olschki, Firenze 1971.
  • James Wilhelm (a cura di), Gay and lesbian poetry. An anthology from Sappho to Michelangelo, Garland, New York & London, 1995, pp. 313–315.
  • Alessandro Montevecchi, Storici di Firenze - studi su Nardi, Nerli e Varchi, Bologna, Pàtron, 1989

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