Castello Malaspina (Fosdinovo)

castello di Fosdinovo

Il castello Malaspina è una dimora storica vincolata dalla Soprintendenza per i beni artistici e architettonici. Si trova nel paese di Fosdinovo in provincia di Massa Carrara. È il castello più grande e meglio conservato della Lunigiana, recentemente restaurato.

Castello Malaspina
Il Castello Malaspina di Fosdinovo
Stato attualeBandiera dell'Italia Italia
RegioneToscana
CittàFosdinovo
IndirizzoVia Papiriana 2 e Via Papiriana, 2
Coordinate44°08′08.42″N 10°01′16.26″E / 44.135673°N 10.021184°E44.135673; 10.021184
Informazioni generali
Tipocastello
Stilemedievale
Costruzionesecolo XII-secolo XVII
Materialepietra
Primo proprietarioDomini de Faucenova
Condizione attualerestaurato dopo la Seconda Guerra Mondiale
Proprietario attualeFamiglia Torrigiani-Malaspina
Visitabilesì, mediante visite guidate, eccetto il martedì
Sito webwww.castellodifosdinovo.it/
Informazioni militari
UtilizzatoreDomini de Faucenova
Repubblica di Lucca
Malaspina
Marchesi di Fosdinovo
Ducato di Modena e Reggio
Regno di Sardegna
Repubblica Cispadana
Repubblica Cisalpina
Regno d'Italia
Impero nazista
Comune di Fosdinovo
Termine funzione strategica23 aprile 1945
Comandanti storiciSpinetta Malaspina
Galeotto I Malaspina
Antonio Alberico I Malaspina
Gabriele II Malaspina
Azioni di guerraOccupato dalle truppe naziste dall'autunno 1944 al 23 aprile 1945, giorno in cui fu bombardato dagli Alleati ed evacuato dai tedeschi
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Storia modifica

 
Lo "spuntone" e la porta d'ingresso al borgo
 
La porta d'ingresso al borgo
 
Il loggiato

Il castello di Fosdinovo è stato residenza principale del marchese, reggitore dell'omonimo feudo, appartenente ad uno dei rami dei Malaspina dello Spino Fiorito, dal XIV al XVIII secolo.

La costruzione dell'imponente fortezza, che si fonde perfettamente con la roccia arenaria, ebbe inizio nella seconda metà del XII secolo, anche se si parla del Castrum Fosdinovense già in un documento di Lucca del 1084.
Innalzata a dominio e difesa del primitivo Castro di Fosdinovo, nel 1340 venne ufficialmente ceduta dai Nobili di Fosdinovo a Spinetta Malaspina, morto nel 1352.[1] Egli creò così il marchesato di Fosdinovo risiedendo nel castello che il nipote Galeotto I, scomparso nel 1367,[2] in seguito ingrandirà e abbellirà.
Sul finire del Quattrocento il castello fu restaurato razionalmente da Gabriele II Malaspina. Nel Cinquecento, grazie all'opera del suddetto regnante e del suo successore Lorenzo Malaspina, il castello acquistò l'aspetto di dimora gentilizia e la dimensione di corte rinascimentale, mentre nel Seicento, durante il marchesato di Giacomo (Jacopo) II Malaspina, il borgo si ingrandì ulteriormente fino a contare, nel 1636, ben ottocento “fuochi”.

Architettura modifica

Il castello di Fosdinovo si compone di una pianta quadrangolare con quattro torri rotonde orientate, un bastione semicircolare, due cortili interni (uno centrale), camminamenti di ronda sopra i tetti, giardini pensili, loggiati ed un avamposto verso il paese, detto anticamente lo “spuntone”, formidabile strumento difensivo (una sorta di rivellino).
Protetta in origine da un ponte levatoio, la porta d'ingresso duecentesca introduce in un piccolo cortile in stile romanico dove una colonna marmorea, anch'essa del Duecento, ne sostiene i loggiati superiori.
Dal cortile, dove in epoca rinascimentale erano posti i cannoni, partono le larghe rampe di scale, percorribili anche a cavallo, che conducono a quello più grande e centrale. Questo presenta un elegante porticato rinascimentale con colonne in pietra, un pozzo ed un bel portale cinquecentesco in marmo da cui inizia il percorso per raggiungere le sale del castello, arredate ed affrescate alla fine del XIX secolo.
La Sala d'ingresso, la Sala da pranzo col grande camino settecentesco e le ceramiche da farmacia del Seicento, la Sala del trono, il vasto Salone con gli attigui salotti e la camera del trabocchetto con la sottostante camera delle torture.
Si racconta che proprio da questa stanza, la marchesa Cristina Pallavicini, donna malvagia e lussuriosa, eliminasse i suoi amanti facendoli cadere nella botola situata ai piedi del letto. E proprio i trabocchetti erano una caratteristica del castello. Ne esistevano tre, due nel loggiato che dava sull'orto ed uno nella torre d'angolo. Alla loro base erano infissi affilati coltelli con la punta rivolta verso l'alto, di modo che lo sventurato, una volta caduto dalla botola attivata con una molla, veniva colto immediatamente dalla morte.
Oltre a questi tremendi strumenti di tortura, ne esisteva un altro ancor più terribile. Si trattava di un braccio di ferro che sporgeva dal muro della torre, ad esso era applicata una carrucola ed un anello murato in terra, collegati da una corda. Il torturato veniva appeso e lasciato penzoloni sotto gli occhi di tutti, finché non fosse morto.[3]

Nella più antica torre di levante, si trova la cosiddetta “camera di Dante”, dove, secondo la tradizione, dormì il Sommo Poeta quando fu ospitato nel castello durante il periodo di esilio. Gli affreschi presenti nel grande salone centrale raffigurano proprio l'antica amicizia di Dante con i Malaspina, ricordata da Giovanni Boccaccio.[4]

I piani superiori sono contraddistinti da altre sale arredate. Il castello, di proprietà degli eredi Torrigiani-Malaspina, è visitabile ed è completamente ammobiliato.

I Malaspina dello Spino Fiorito modifica

Il primo a chiamarsi Malaspina fu Alberto, discendente diretto di Oberto, capostipite della nobile ed illustre famiglia degli Obertenghi (945 d.C.). Sull'origine di questo nome vi sono varie teorie e leggende. Una di queste, fatta illustrare da un dipinto conservato in una sala del castello, ne fa risalire l'origine all'anno 540 d.C. quando il giovane nobile Accino Marzio vendicò la morte del padre sorprendendo il re dei Franchi Teodeberto II nel sonno e trafiggendolo alla gola con una spina. Il grido disperato del re “Ah ! mala spina !” dette origine al cognome e, in seguito, al motto di famiglia “SUM MALA SPINA MALIS, SUM BONA SPINA BONIS” “Sono una spina pungente per i cattivi, e una spina che non punge per i buoni”.
Il figlio di Alberto, il marchese Obizzo, fu uno dei personaggi più celebri ai tempi di Federico Barbarossa, in un primo tempo affrontandolo insieme ai Comuni ribelli, poi, quando l'imperatore ebbe preso il sopravvento, sostenendolo e combattendo contro Milano (1157).

 
Lo stemma dei Malaspina nel castello di Fosdinovo

Nel 1221 la famiglia si divise in due rami, i Malaspina dello Spino Secco e quelli dello Spino Fiorito. A questi ultimi fu assegnato, fra gli altri, il feudo di Fosdinovo.[5]

L'atto formale di cessione di tutte le terre, distretti e giurisdizioni da parte dei Nobili di Fosdinovo a Spinetta Malaspina avvenne, tuttavia, soltanto nel 1340. Nel dominio di Fosdinovo gli successe il nipote Galeotto I, figlio del fratello Azzolino. Sposò Argentina Grimaldi e fu un famoso giureconsulto. Il suo monumento funebre è senza dubbio l'opera d'arte più significativa conservata all'interno della chiesa di San Remigio in Fosdinovo.

Da allora i Malaspina dello Spino Fiorito governarono sul prestigioso feudo di Fosdinovo ininterrottamente per quasi cinque secoli. Solo l'avvento della rivoluzione francese, ed i suoi echi, posero termine al loro dominio, con l'annessione dello stesso alla Repubblica Cisalpina.

Si trattò tuttavia di una breve parentesi. Per effetto del Congresso di Vienna del 1815, infatti, gli ex feudi dei Malaspina furono incorporati nel ducato di Modena e Reggio. Dopo la rivoluzione del 1848 a Fosdinovo si costituì un primo governo provvisorio. Ma l'anno successivo di nuovo gli austriaci restaurarono il governo estense che durò fino al 1859. Si formò allora a Fosdinovo il secondo governo provvisorio durato fino alla proclamazione del Regno d'Italia.

Le vicende del castello modifica

Il castello nel frattempo, con la morte di Carlo Emanuele Malaspina, era passato in proprietà al marchese Giuseppe Azzolino che aveva cercato di venderlo ad un notaio. Questi l'avrebbe sicuramente demolito, se non fosse stato per l'intervento della casa ducale di Modena la quale, sostituendosi all'acquirente, impedì la distruzione di uno dei più bei castelli della Lunigiana. Fu quindi acquistato dall'amministrazione dell'Ospedale di Fosdinovo.

Nel 1866 il castello fu finalmente, e definitivamente, riacquistato dal marchese Carlo, figlio di Torquato, che così restituiva alla famiglia quello che era stato da essa custodito per quasi un millennio.
Alla sua morte passò in eredità al fratello Alfonso il quale, non avendo avuto figli, lo lasciò al nipote Alessandro, figlio della sorella Cristina e del marchese Filippo Torrigiani, senatore del regno. Insieme ai beni Alessandro acquisì anche il cognome di Malaspina.
Gli successe il figlio Carlo Filippo Torrigiani Malaspina. A lui si devono tutti quei lavori di restauro che, durati dal 1960 al 1965, riportarono il castello al suo antico splendore dopo i devastanti bombardamenti della seconda guerra mondiale.[6]

Leggende modifica

Sul castello aleggiano alcune leggende. La più celebre è quella di Bianca Malaspina, figlia del marchese che sarebbe stata murata viva nel castello dal suo stesso padre, a causa di una relazione con uno stalliere[7].

Un'altra leggenda è quella della marchesa Cristina Pallavicini, che avrebbe ucciso i suoi numerosi amanti facendoli precipitare in una botola posta ai piedi del letto, dopo essersi intrattenuta con loro[7].

Diversi testimoni raccontano di aver assistito a fenomeni paranormali nel castello e di aver visto il fantasma di Bianca.[8]

Note modifica

  1. ^ Dadà, p. 36
  2. ^ Dadà, p. 37
  3. ^ Dadà, p. 64
  4. ^ Palandrani, p. 75
  5. ^ Dadà, p. 65
  6. ^ Dadà, p. 70
  7. ^ a b Davide & Rachele, Il castello Malaspina e la leggenda del fantasma che respira, su Destinazione Terra - il blog di Davide & Rachele, 2 dicembre 2019. URL consultato il 9 marzo 2024.
  8. ^ Tra storie e leggende, su Castello di Fosdinovo Malaspina. URL consultato il 9 marzo 2024.

Bibliografia modifica

 
Il castello in una cartolina d'epoca
  • Massimo Dadà (a cura di), Guida di Fosdinovo, ed. Giacché, La Spezia 2010.
  • Claudio Palandrani, Dante, i Malaspina e la Lunigiana, A. Ricciardi, Massa 2005.

Voci correlate modifica

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