Chiesa di San Salvatore Maggiore a corte
La chiesa di San Salvatore Maggiore a corte, intitolata a Gesù Cristo, salvatore del mondo, è una chiesa longobarda di Capua.
Chiesa di San Salvatore Maggiore a corte | |
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capitello del triforium esterno | |
Stato | Italia |
Regione | Campania |
Località | Capua |
Coordinate | 41°06′35.82″N 14°12′45.8″E |
Religione | cattolica di rito romano |
Titolare | Gesù Cristo, salvatore del mondo |
Arcidiocesi | Capua |
Inizio costruzione | prima dell'889 |
Ubicazione
modificaLa chiesa sorge al centro di via principi longobardi, a poca distanza dal duomo, nella parte più antica del centro storico della città, nell'area in cui Di Resta, a ragione, ipotizzò fu il palazzo sede dei principi che regnarono nel Principato di Capua (formalmente dal 900 al 1059, ma come conti dall'856). Secondo Di Resta fu parte di una sorta di recinto sacro a protezione del palazzo con le vicine chiese di san Giovanni a corte e san Michele a corte.
Denominazione, iscrizioni antiche e ritrovamenti archeologici
modificaLa dedicazione è testimonianza della diffusione del culto che i Longobardi ebbero verso Cristo, salvatore del mondo, vero Dio e vero Uomo, della stessa natura del Padre. La grande devozione è spiegata con l'inizio della conversione al cattolicesimo dei Longobardi, in gran parte ariani fino all'età di Teodolinda. Chiese longobarde dedicate al Salvatore ed oggi parte del sito seriale UNESCO Longobardi in Italia: i luoghi del potere (568 - 774 d. C.) sono nella Langobardia Maior a Brescia e a Spoleto, costruzione in diretta connessione con le classi dominanti. Anche nella Langobardia Minor il culto fu molto diffuso come testimoniano le fondazioni volute e privilegiate dai duchi / principi, tra gli altri siti, a Benevento[1], Salerno[2] e Alife[3].
L'attributo "maggiore" deriva dalla presenza in Capua di almeno un'altra chiesa di ugual titolo, ma di minori dimensioni[4].
L'attributo "a corte" è anch'esso storicamente attestato, già in un primo documento del 1168[5]. "A corte" si riferisce alla vicinanza o alla probabile pertinenza diretta della chiesa dal palazzo dei principi longobardi[6] che sorgeva immediatamente di fronte alla facciata della chiesa[7]. Anche in questo caso l'attributo "a corte" è esemplato su chiese di costruite in precedenza nelle sedi di Benevento e Salerno[8].
Notizie storiche e documentarie
modificaLa prima notizia certa sulla chiesa risale a un documento ricordato da Monaco, relativo all'anno 961[9]: la chiesa risulta costruita in buona memoria della signora (domina) Adelgrima.
In effetti, Cielo ha ragionevolmente proposto di identificare la chiesa come quella già citata in un documento dell'889 - 890 conservato a Montecassino[10]. La chiesa di san Salvatore appare citata (direttamente o indirettamente) anche documenti del 1052 e del 1130[11], in quello già ricordato del 1168 e, per la prima volta come parrocchia, nel 1178[12]. Con l'attributo "ad curtem" risulta anche in atti del 1243, 1247, 1248[13].
Datazione e struttura
modificaLa datazione di un primo edificio è fatto risalire da Cielo alla fine del IX secolo sulla scorta del citato documento dell'889-890 e di acute riflessioni sulla formazione religiosa di santo Stefano Minicillo (nel 942), poi vescovo di Caiazzo: si trattò di una chiesa legata ad un complesso monastico benedettino. La citazione del 961 legata alla committenza di Adelgrima riporta la chiesa nell'ambito di una fondazione privata, legata ad un gruppo familiare vicino alla corte (essendo Adelgrima, moglie di un gastaldo di nome Landolfo), forse con ruolo funerario[14].
Dibattuta e ancora controversa è la datazione di molte delle strutture architettoniche attuali, specie delle quattro colonne incassate nelle pareti laterali. Secondo Cielo, la struttura attuale è quella originaria, salvo il triforium, originariamente esterno e collegato ad un portico da cui proverrebbero le colonne e i capitelli incassati nelle pareti laterali. L'ipotesi prevalente è che sin dall'origine la chiesa fu a tre navate, con monofore delle navate laterali in asse con le arcate della navata centrale e matroneo affacciato da ambo i lati sulla navata centrale[15].
Un primo rimaneggiamento sarebbe stato realizzato nello stile dell'età di Desiderio da Montecassino alla fine dell'XI secolo, destinando anche alla fruizione pubblica la chiesa inizialmente nata per l'uso familiare privato[16].
Ad una fase compiuta in età sveva risalirebbero l'allungamento della navata con l'avanzamento della facciata (che inglobò il triforium/portico originario), l'apertura dei tre oculi in facciata, l'inglobamento dei matronei, l'innalzamento della navata centrale, la realizzazione delle volte a crociera della prima campata delle navate laterali, l'ispessimento delle pareti laterali e la realizzazione del campanile[17].
Il primo restauro (1906 - dopo il 1922) ritrovò le colonne delle navate laterali con le basi poste un metro al di sotto del pavimento dell'epoca. I saggi archeologici evidenziarono anche la posizione dell'altare[18].
Un secondo restauro (1934) fu promosso da Chierici[17].
Il restauro del 1989 - 1990 (ricordato da Cielo[19]) portò anche all'abbattimento delle pareti in muratura delle arcate laterali del portico, sostituite da vetrate.
Facciata, campanile e frammenti antichi riusati
modificaLa facciata è tripartita da due alte lesene in tufo che marcano l'alzato della navata centrale. Tre finestre / oculi si aprono nelle tre parti. Tre arcate (triforium) danno accesso alla chiesa.
Sulla sinistra si eleva il campanile, a pianta quadrata. Il primo livello è in pietre calcaree (in parte di riuso) in parte in tufo. I due livelli superiori sono in tufo a vista. Una stretta monofora è sulla facciata del primo livello; una bifora con colonna in calcare che sorregge archi ghierati è al secondo livello; quattro bifore (simili alla precedente) sono sul terzo livello.
Le colonne della bifora recano capitelli scolpiti, di età longobarda.
A destra di chi guarda il campanile dalla facciata è un arco passante al di sotto di una casa addossata al campanile. Agli spigoli dell'arco e in funzione di piedritti dello stesso sono frammenti antichi, in pietra calcarea, riusati (rocco di colonna a sinistra).
Interno
modificaL'interno è a tre navate, con la centrale di larghezza quasi doppia delle laterali e di altezza doppia[20].
La navata è scandita in tre campate da due file di colonne, oggi parzialmente inglobate in pilastri quelle a destra, che sorreggono quattro archi.
Al di sopra degli archi di destra corrono le quattro monofore originarie (aperte sulle navati laterali).
In alto sulla parete sinistra della navata maggiore è una bifora, di restauro (1934). La parete destra della navata conserva una sola monofora (anch'essa originaria e oggi aperta sulla navata).
Le prime due campate della chiesa sono definite da archi acuti e, nelle navate laterali, da volte a crociera.
Opere d’arte
modificaTracce di affreschi del sono presenti negli archivolti della monofore della navata sinistra datati dopo il 960 o intorno al 1000[21].
Gli affreschi presenti negli archivolti tra navata principale e destra sono coevi agli affreschi di Sant'Angelo in Formis (1080 circa)[22].
Gli affreschi con i santi raffigurati sui pilatri tra navata maggiore e destra sono tardomedievali (forse dopo 1350).
Sono presenti due lastre rettangolari scolpite a bassorilievo, oggi montate al centro dell'abside e come lettorino, trasferite dai depositi del palazzo arcivescovile nel restauro del 1989-1990[23]. Sono datate agli ultimi anni del IX secolo[24] e raffigurano rispettivamente una coppia di grifoni aureolati, affrontati, con sullo sfondo di fiori stilizzati, e un leone in cammino, su uno sfondo di fiori stilizzati, il tutto reinterpretazione locale di influssi aulici orientali[25].
I capitelli sono tra i capolavori dell'arte longobarda e sono di due tipologie differenti; restano circoscritti tra fine IX e primi del X secolo e, secondo Cielo, testimoniano la compiuta consapevolezza artistica della dinastia longobarda capuana[26].
Il capitello della bifora (aperta durante i lavori promossi da Chierici nel 1934) è affine e coevo a quelli della navata, sebbene non dello stesso disegno.
Note
modifica- ^ Si veda | M. Rotili, Spazi monastici a Benevento, «Hortus artium medievalium», v. 23, 2017, p. 240-261, a pp. 240 - 244.
- ^ C. Currò, Vicende storiche della chiesa del Salvatore de fondaco in Salerno, | «Rassegna storica salernitana», XI, 1, giugno 1994, pp. 39 – 74.
- ^ F. Miele, Una chiesa rurale e alcuni insediamenti a carattere religioso di epoca tardoantica e altomedioevale nel territorio del Matese Casertano, in STAIM 1, Paesaggi e insediamenti rurali in Italia meridionale fra Tardoantico e altomedioevo, Atti del Primo Seminario sul Tardoantico e l'Altomedioevo in Italia meridionale (Foggia 12-14 febbraio 2004), a cura di G. Volpe - M. Turchiano, Bari, 2005, pp. 487 - 512.
- ^ F. Granata, Storia sacra della chiesa metropolitana di Capua, v. 1, Napoli, 1766, p. 200 e p. 310. Cielo (L. R. Cielo, Sulla fondazione di S. Salvatore ad curtem di Capua, in Longobardia e longobardi nell'Italia meridionale. Le istituzioni ecclesiastiche. Atti del 2. Convegno internazionale di studi promosso dal Centro di Cultura dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Benevento, 29 - 31 maggio, 1996, pp. 321 - 347, a p. 325, riferisce di una chiesa di San Salvatore minore, forse già citata in un documento del 1265, costantemente riportata nelle visite pastorali degli arcivescovi di Capua dal 1593 fino al 1604 (quando risultò profanata) e che deve ritenersi distinta dal San Salvatore piccolo già passato alla dipendenza del vicino monastero di San Giovanni delle dame monache nel 116
- ^ J. Mazzoleni, Le pergamene di Capua: 972 - 1265, v. 1, Napoli, 1957, p. 84
- ^ Sul Sacrum palatium si veda B. Visentin, La nuova Capua longobarda. Identità etnica e coscienza civica nel Mezzogiorno altomedievale, Manduria, 2012, pp. 138 - 149, che riassume anche la bibliografia precedente.
- ^ Granta, cit., p. 253. L'identificazione è stata ripresa, motivata e discussa in I. Di Resta, Capua, Bari, 1985, pp. 23 - 25.
- ^ Per una rassegna recente sul tema si veda N. Busino, Edilizia pubblica e privata nell'ager Campanus fra tarda antichità e alto medioevo, in Aristocrazie e società fra transizione romano-germanica e altomedievo, a cura di C. Ebanista - M. Rotili, Cimitile, 2015, p. 91-108, p. 92.
- ^ M. Monaco, Sanctuarium capuanum, Napoli, 1930, pp. 179 - 180.
- ^ Cielo, cit., p. 322.
- ^ Cielo, cit., p. 324 - 325
- ^ Visentin, cit., p. 143 che riporta in nota i riferimenti alle pergamene pubblicate da Mazzoleni.
- ^ Cielo, cit., p. 324.
- ^ Cielo, cit., p. 330 - 331.
- ^ Cielo, cit., p. 334.
- ^ Visentin, cit., p. 152 - 153.
- ^ a b Visentin, cit., p. 152.
- ^ Visentin, cit., p. 151, che cita un dattiloscritto di M. De Falco - A. E. Romanello - M. L. Sclavini, Le chiese longobarde "ad curtim", Istituto Storia Architettura, Università di Napoli.
- ^ Cielo, cit., p. 337, in nota 90.
- ^ Lo evidenzia il rilievo pubblicato per primo da G. Chierici, Note sull'architettura della contea longobarda di Capua, «Bollettino d’arte», 27, 1934, pp. 543 – 554, a pp. 548 - 553.
- ^ Cielo, cit., p. 335.
- ^ Visentin, cit., p. 152, con bibliografia.
- ^ Il trasferimento è riportato in Cielo, cit., p. 337, in nota 90.
- ^ Cielo, cit., p. 337
- ^ F. Santoro, Scultura di età longobarda nella 'Langobardia Minor': l'esempio di Capua, «I quaderni del MAES», 9, 2006, pp. 153 - 168, a pp. 160 - 161 e p. 169.
- ^ Cielo, cit., p. 331.
Bibliografia
modifica- F. Granata, Storia sacra della chiesa metropolitana di Capua, v. 1, Napoli, 1766.
- G. Chierici, Note sull'architettura della contea longobarda di Capua, «Bollettino d’arte», 27, 1934, pp. 543 – 554, a pp. 548 - 549.
- A. Vignali, Chiese e basiliche dedicate al Salvatore in Italia sotto i longobardi con particolare riferimento a quelle di Spoleto e Ravenna, in Atti del 1º Congresso Internazionale di Studi Longobardi, Spoleto, 1952, pp. 505 - 516.
- I. Di Resta, Capua, Bari, 1985.
- L. R. Cielo, Sulla fondazione di S. Salvatore ad curtem di Capua, in Longobardia e longobardi nell'Italia meridionale. Le istituzioni ecclesiastiche. Atti del 2. Convegno internazionale di studi promosso dal Centro di Cultura dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Benevento, 29 - 31 maggio, 1996, pp. 321 - 347.
- B. Visentin, La nuova Capua longobarda. Identità etnica e coscienza civica nel Mezzogiorno altomedievale, Manduria, 2012.
- F. Santoro, Scultura di età longobarda nella 'Langobardia Minor': l'esempio di Capua, «I quaderni del MAES», 9, 2006, pp. 153 - 168.
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