Chiesa di Sant'Agostino (Messina)

chiesa

La chiesa di Sant'Agostino con l'annesso convento dei frati dell'Ordine agostiniano, era un luogo di culto cattolico ubicato sulla strada denominata Dromo o «via dei Monasteri».[1]

Chiesa di Sant'Agostino
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneSicilia
LocalitàMessina
Religionecattolica di rito romano
DiocesiMessina
Demolizione1908

Storia modifica

Epoca bizantina modifica

Gli Eremitani di Sant'Agostino si insediarono in Sicilia nel 439 abbandonando l'Africa ove imperversavano le persecuzioni dei Vandali. Nello specifico, un gruppo di eremiti si stabilì sulle alture occidentali di Messina, dimoranti sulla collina denominata «Scirpi».[2]

Epoca islamica modifica

Le limitazioni prima e il bando di pratiche di culto cristiano in seguito, per mano delle continue ondate d'invasori saraceni a partire dall'827, costrinsero la comunità eremitica a procrastinare l'insediamento entro le mura cittadine.[2]

Dalla nascita del Regno di Sicilia al XIV Secolo modifica

Il trasferimento nel nucleo cittadino è collocabile in epoca anteriore, secondo alcuni studiosi è verosimile che le strutture cittadine fossero già utilizzate alla stregua di grancia. Solo nel 1387 sono documentati la cessione ai religiosi dell'oratorio di San Cristoforo e di un palazzo ubicati vicino alla «via dei monasteri», quest'ultimo assegnato dalla contessa Pasca Romano Colonna.[2] La chiesa fu ricostruita sotto il titolo di Sant'Agostino e amministrata dagli Agostiniani conventuali.

Epoca Rinascimentale modifica

Il 4 maggio 1593 un incendio distrusse il convento che fu ricostruito nel 1601.

Al potenziamento e all'ingrandimento della costruzione nel 1635 contribuì il Senato di Messina.[1]

In questo periodo appartenevano agli agostiniani:

  1. ) la chiesa di Santa Restituta nel «Piano di Terranova» e il convento annesso;
  2. ) la chiesa dei Santi Cosma e Damiano e il convento annesso;
  3. ) la chiesa della Santissima Annunziata alla Zaera e il convento annesso;
  4. ) la chiesa di San Giovanni Decollato nel «Piano di Terranova».

Epoca tra il XVII e il XIX secolo modifica

Dopo il terremoto della Calabria meridionale del 1783 l'Ordine era insediato:

  1. ) la chiesa di Santa Restituta presso «Rocca Guelfonia»;

Epoca contemporanea modifica

Il complesso del Dromo è distrutto col terremoto di Messina del 1908.

Interno modifica

Opere scultoree modifica

 
Madonna con Bambino, Francesco Laurana, Museo regionale di Messina.
 
Adorazione dei Pastori, Rinaldo Bonanno, Museo regionale di Messina.

Altare della Vergine con la statua raffigurante la Vergine col Bambino.[3][4][5]

Il tempio ospitava la sepoltura del pittore Antonino Alberti.

Opere pittoriche modifica

Oratorio di San Cristoforo modifica

Luogo di culto d'epoca aragonese adibito a prima sede dell'ordine agostiniano.

Convento di Sant'Agostino modifica

Il convento primo in Sicilia, soggetto solo al Generale dell'Ordine, quindi esente a qualsiasi altro Superiore Provinciale.[2]

Congregazione di Santa Maria della Consolazione modifica

Congregazione delle Sante Anime del Purgatorio modifica

Chiesa di Santa Restituta modifica

Chiesa e convento di Santa Restituta a Rocca Guelfonia modifica

Nel 1759, presso la fortezza di Matagrifone iniziarono i lavori per la costruzione della chiesa con il medesimo titolo. L'istituzione conventuale appartenente alla Congregazione degli agostiniani scalzi fu soppressa nel 1862.

Chiesa di San Giovanni Decollato modifica

Nel «Piano di Terranova» all'interno delle mura, gli Agostiniani edificarono la chiesa di San Giovanni Decollato subito destinata alla demolizione per la costruzione della Real Cittadella.[14]

Chiesa dei Santi Cosma e Damiano modifica

[15]

Convento dei Santi Cosma e Damiano modifica

Fondato prima del 1593 ad un miglio dalla città sulla «strada del Dromo», fungeva da grangia del convento di Sant'Agostino, che dava quanto necessario in natura e in denaro. Apparteneva agli Agostiniani conventuali.

Chiesa della Santissima Annunziata modifica

La chiesa della Santissima Annunziata alla Zaera[16][17] sorgeva nella contrada detta «la Carrubbara»[18] contigua alla «Porta della Zaera» inserita nella nuova cinta muraria innalzata nel 1671, altresì nota come chiesa della Madonna di Dinnammari.[19] Corrispondente verosimilmente all'attuale chiesa di San Clemente, in via Porta Imperiale, sulla sponda nord del torrente Zaera.

Convento della Santissima Annunziata modifica

Il convento era ubicato fuori le mura, nel quartiere detto della Zaera, appartenente al territorio parrocchiale della chiesa di Sant'Antonio. Con trattative già in corso nel 1611 e riprese nel 1614, con l'approvazione dell'arcivescovo Pedro Ruiz de Valdevexo, nel 1618 la chiesa fu concessa dalla confraternita omonima ed il convento dichiarato sede di noviziato e priorato.[21][18] Nello stesso anno erano documentati la chiesa con cinque altari, il convento con 22 celle e il chiostro. L'istituzione non possedeva altri immobili e la comunità insediata viveva di elemosine, di generi in natura questuati e di contributi elargiti dal Senato di Messina. Apparteneva alla Congregazione degli agostiniani scalzi.

Confraternita della Santissima Annunziata alla Zaera modifica

Confraternita scioltasi nel 1650 dopo la cessione delle strutture ai religiosi dell'Ordine di Sant'Agostino.[18]

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g h i j k Caio Domenico Gallo, pp. 103.
  2. ^ a b c d Caio Domenico Gallo, pp. 30.
  3. ^ Caio Domenico Gallo, pp. 19 e 20.
  4. ^ a b c d Giovanna Power, pag. 20.
  5. ^ a b c Giuseppe Fiumara, pag. 19.
  6. ^ Grano - Hackert, pp. 66.
  7. ^ a b c Caio Domenico Gallo, pp. 20.
  8. ^ a b c d e f Giuseppe Fiumara, pag. 20.
  9. ^ a b Caio Domenico Gallo, pp. 19.
  10. ^ Gioacchino di Marzo, pp. 776.
  11. ^ Grano - Hackert, pp. 153.
  12. ^ a b c Giovanna Power, pag. 21.
  13. ^ Grano - Hackert, pp. 86.
  14. ^ Caio Domenico Gallo, pp. 235.
  15. ^ Pagina 66, Giuseppe Martinez, "Icnografia e guida della città di Messina" [1] Archiviato il 30 ottobre 2018 in Internet Archive., Messina, Tipografia Ribera, 1882.
  16. ^ a b c Giovanna Power, pag. 9.
  17. ^ a b c d Giuseppe Fiumara, pag. 2.
  18. ^ a b c d e Caio Domenico Gallo, pag. 172.
  19. ^ Giuseppe La Farina, pag. 38 e 39.
  20. ^ a b Giuseppe La Farina, pag. 38.
  21. ^ Giuseppe La Farina, pag. 39.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica

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