Discussione:Guerre longobardo-bizantine

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Bisanzio
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CONTRAPPUNTO-CORREZIONE modifica

Mi si consenta di fare da contrappunto alle informazioni contenute in questa voce di Wikipedia, innanzitutto con una precisazione linguistica che è anche una correzione a un errore commesso da chi ha scritto tale voce, quindi con alcune delucidazioni dal valore anticonvenzionale che fanno emergere le vere cronache storiche, di una vicenda tanto importante per comprendere la formazione della nazione italiana:

Romeo è diverso che romano. Il potere romano a Bisanzio finì per volere di Giuliano detto l'Apostata. Furono in sèguito detti romani i bizantini che esercitavano il potere a Roma, non romani di appartenenza ma per competenza. Tale anche Giustiniano, lui latino di appartenenza. I romei erano gli affini ai romani, questi ultimi successori dei cosiddetti romi, i romei invece in varii modi discendenti di tali romi. Vi fu anche un potere romanico in Italia, affine a quello italico o a questo appartenente, dal quale si era riformata una milizia romana, dagli italici ritenuta anti-italiana ed ex-italica, poi sconfitta dall'esercito longobardo dopo il periodo dell'interregno, durante il quale i longobardi agivano senza un proprio re ed in presenza, tra essi stessi, dell'impero dei bizantini, da prima che il loro regno si era ritenuto amico di Bisanzio e senza esserne stato rifiutato. Durante queste vicende gli esarchi, comunicando anche tramite scambi economici, pure con relative monete a fare da garanzia scritta, gestivano le relazioni tra romani e longobardi. I bizantini garantivano i romani, i longobardi gli altri abitanti dell'Italia. Di questo equilibrio i longobardi furono insoddisfatti una sola volta, rendendosi ostili agli esarchi bizantini e paralizzandone le attività per un periodo; i bizantini invece ne furono insoddisfatti spesso, pretendendo maggiori o diversi poteri in Italia. L'equilibrio non era avverso a Roma purché essa non manifestasse eccessive o insufficienti pretese. Le ambizioni di rinascita imperiale dei romani oltre che poste a termine militarmente dai longobardi subirono il veto dell'Impero di Bisanzio, per questo scopo assunto con la forza da chi ne era già a parte. I bizantini sin dal principio avevano sovente moderato le azioni longobarde, in sèguito esse furono guidate da una diversa etica di guerra, assunta spontaneamente dagli stessi autori delle azioni, simboleggiata dall'onore religioso per il nome cristiano di Giovanni, mai offeso dal vero potere longobardo neppure in sèguito. Quando i franchi, che prima avevano avuto rapporti coi romani e coi longobardi e coi bizantini per tramite di un proprio re di coappartenenza longobarda, scesero in Italia, lo fecero tramite un esercito di medesima coappartenenza. Il franco Carlo Magno confermò i longobardi (durante la guerra franco-longobarda in realtà furono definitivamente sconfitti o esclusi solo i traditori di entrambe le parti) e fattosi riconoscere Signore anche da Bisanzio sciolse i longobardi dal compito di affrontare i nemici tra i romani, assumendosene lui l'impegno e arrogandosi il ruolo di imperatore romano per poi distruggere le restanti pretese imperiali romane tramutandone l'officio in un semplice titolo onorifico e dunque confermando per i bizantini l'effettiva eredità politica romana, di cui il papato restò comunque orfano. Il conflitto tra bizantini e longobardi dunque non fu deciso dai franchi, fu solo parte non maggiore delle relazioni bizantino-longobarde, che all'epoca dell'interregno quindi annoverarono un potere singolo longobardo-bizantino, determinante per lo stesso futuro politico di Bisanzio. Durante le relazioni bizantino-longobarde Bisanzio non mancò di trattare Roma più severamente di quanto non facevano gli stessi longobardi, ma fu solo un'episodica riprovazione, per la quale gli esarchi longobardi, detti a volte anche "castaldi", non mancarono di ricevere stima maggiore da parte di quella gente romana che non voleva più alcun impero romano e che preferiva l'eredità romana di Bisanzio al patriziato romano, quest'ultimo legato da interessi inutili o fuorvianti per l'Italia comuni con poteri religiosi antieuropei o filoasiatici. Tali poteri erano entrati nelle mire degli àvari, che li avevano presentati ma non rappresentati e consegnati a bizantini, longobardi, romani, per farli da costoro destituire ma secondo le norme àvare. Ma dato che codeste norme erano per lo più disattese da molti dei destinatari, gli àvari stessi difendevano a più riprese gli antieuropei ed i filoasiatici, fino ad accogliere nel proprio regno alcune delle loro regole politiche (tra le quali anche il sionismo ed il filosionismo) ma senza metterle in vigore, con lo scopo di diffidare sia la nascitura Europa carolingia e sia la restituzione definitiva di Roma all'unico proprio luogo, fino a tanto che romani ed europei non si fossero resi sufficientemente degni della giusta difesa contro le ambizioni dell'Asia sull'Europa. Tale ambizione fu rappresentata durante i contrasti longobardi-bizantini anche da Roma, tuttavia le norme degli àvari ebbero infine la meglio sulle cospirazioni dei romani orientaleggianti, costretti dagli àvari stessi ad abbandonare il filosionismo ed a ritornare al cristianesimo ariano, lo stesso che aveva sancito in Roma antica la fine della schiavitù. Perciò neppure i romani ebbero influsso sui rapporti militari tra bizantini e longobardi o dei bizantini-longobardi. L'espressione tipica dell'Italia meridionale, ora usata spesso dalle mafie o per le mafie ma decenni fa non ancora, ovvero "Cosa Nostra", era detta per umorismo e prima ancora per riconoscenza a proposito della arcana compresenza dei guerrieri bizantini e longobardi, durante l'interregno entrambi detti 'winnili'.

MAURO PASTORE

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