Famiglio

persona compresa nel seguito di un feudatario
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Il famiglio (dal latino famulus) era, nel Medioevo feudale, una persona compresa nel seguito del feudatario, che veniva "adottata" nella sua famiglia e che viveva presso la sua corte. Dei famigli potevano far parte cugini trasferitisi, quindi familiari effettivi, oppure dei cavalieri o comunque persone che si erano particolarmente distinte nel servire il feudatario. Far parte della corte del feudatario era un salto di classe sociale notevole, che permetteva l'accesso ai circoli superiori. Di norma poche persone venivano aggiunte alla famiglia in questo modo, perché il legame che veniva a crearsi era di vicendevole responsabilità.

Etimologia e letteratura modifica

La parola deriva dal latino famulus, che poteva avere due significati diversi: "servo" oppure "giovane schiavo" (mai invece quello di "parente"). Nella letteratura latina si ricorda in particolare un episodio del nono libro dell'Eneide, relativo a tre famuli uccisi nel sonno da Niso durante la strage da lui compiuta nell'accampamento dei Rutuli: la spada nemica li colpisce mentre dormono ammucchiati sull'erba, verosimilmente ubriachi, in mezzo alle armi. I traduttori non sono concordi su quale delle due accezioni sia quella che Virgilio ha dato al loro status: Annibal Caro, probabilmente indeciso, preferisce rendere in italiano proprio con "famigli".

 " Ciò cheto disse. Indi Rannete assalse,
il superbo Rannete, che per sorte
entro una sua trabacca avanti a lui
in su' tappeti a grand'agio dormia
e russava altamente. Era costui
al re Turno gratissimo, ed anch'egli
rege e 'ndovino; ma non seppe il folle
indovinar quel ch'a lui stesso avvenne.
Tre suoi famigli, che dormendo appresso
Giacean fra l'armi rovesciati a caso,
Tutti in un mucchio uccise, e un valletto
Ch'era di Remo, e sotto i suoi cavalli
Lo stesso auriga. A costui trasse un colpo
Che gli mandò giù ciondoloni il collo;
Indi al padron di netto lo recise
Sì, che spicciando 'l sangue d'ogni vena,
La terra, lo stramazzo e 'l desco intrise "

(Virgilio, Eneide, libro IX, traduzione di Annibal Caro)

 " Così dice
a bassa voce, e intanto con la spada
sgozza il tronfio Ramnete che spirava
dal profondo del petto un quieto sonno,
disteso sopra un mucchio di tappeti.
Anch'egli re, era fra tutti gli auguri
il più gradito a Turno; ma purtroppo
la sua arte profetica non valse
a salvargli la vita. Uccide pure
tre servi suoi sdraiati accanto a lui
alla rinfusa in mezzo alle armature,
lo scudiero di Remo, ed all'auriga
che stava steso sotto i suoi cavalli,
squarcia col ferro il collo ciondolante,
poi spicca il capo al suo stesso padrone
abbandondando il tronco in un convulso
palpitare di sangue: il caldo e nero
fiotto inzuppa il terreno ed i giacigli. "

(Virgilio, Eneide, IX, traduzione di Mario Scaffidi Abate)

 " Così aveva detto e più non gli parla; subito con la spada assale
l'orgoglioso Ramnete, che su folti tappeti per caso
disteso, sbuffava il sonno a pieni polmoni;
era un re, al re Turno il più caro fra gli auguri,
ma con la sua arte non riuscì a stornare la morte.
Uccide vicini tre incauti schiavetti distesi in mezzo alle armi
e lo scudiero di Remo; uccide anche l'auriga, sotto i cavalli
scovatolo; con la spada gli recide la gola riversa.
Poi tronca la testa al loro signore, e lascia che il corpo
rantoli in grosso fiotto; caldo di sangue nerastro
si imbibisce a terra il giaciglio. "

(Virgilio, Eneide, IX, traduzione di Francesco Della Corte)

Epoca moderna modifica

In alcune zone d'Italia il fenomeno dei "famigli" si è protratto fino agli inizi del '900. Ad esempio con "valani" si indicavano i bambini che, sulla piazza di Benevento, venivano venduti come schiavi ai proprietari fondiari[1]. Ex valani, ancora viventi, risiedono nel paese di Castelpoto in provincia di Benevento.[2].

Note modifica

  1. ^ Antonio Bove, Il mercato dei “valani” a Benevento, su istitutostoricosanniotelesino.it, Istituto Storico Sannio Telesino, 13 giugno 2021.
  2. ^ Io, l’ultimo schiavo, in La Stampa, 11 novembre 2006.