Feditore

tipologia di cavaliere medievale

Il feditore (dal latino, federe, ferire) era una tipologia di cavaliere medievale degli eserciti dei Comuni italiani. I feditori venivano scelti tra i cittadini di più elevata estrazione sociale ed avevano il compito di procurar battaglia.

Ruolo in battaglia modifica

Il feditore era un cavaliere reclutato fra i migliori combattenti e talvolta volontario. Molti immaginano che il feditore sia una specie di cavalleria leggera, ma si tratta di una «fantasia del tutto fuorviante» [1]. Nello spiegamento tattico della milizia d'età comunale, veniva schierato nella prima linea dell'ordine di battaglia ed aveva, quindi, il compito di affrontare il primo urto con i nemici. Era un compito estremamente rischioso, ma arrecava grande onore e prestigio. I feditori erano generalmente i primi a spargere il sangue avversario.

Armamento modifica

Dato l'importante quanto rischioso ruolo nella battaglia, i feditori, guelfi o ghibellini che fossero, presentavano un notevole armamento: una cotta di maglia, due maniberghe (cilindri di maglia con annesso guanto a moffola, a protezione del braccio) e due pediberghe (calze di maglia aperte e allacciate sul retro, atte alla protezione dalla coscia alla caviglia), un camaglio (protezione per la testa, sempre in maglia), annesso o staccato dalla cotta di maglia con mentoliera o meno (striscia di maglia, che copriva il mento e parzialmente la bocca), nonché un elmo in ferro con nasale (cd. "cappello d'arme") o con musale.

Poteva essere indossata sopra la cotta di maglia, sia per riconoscimento che per protezione verso il caldo o gli agenti atmosferici, anche la "cotta d'arme", un drappo di tessuto con i colori della casata o della fazione di appartenenza.

L'armamento poteva includere una spada della lunghezza di circa un metro, uno scudo (rotondo o ad aquilone) e, ovviamente, una lancia dalla lunghezza variabile da 2,5 a 4 metri circa. Il feditore poteva disporre, altresì, di armi secondarie, come una daga e una mazza (in legno o ferrata), che poteva anche essere usata nella mischia al posto dell'assai costosa spada.

Dante Alighieri modifica

Anche Dante Alighieri fu feditore a cavallo, combattendo con l'esercito guelfo (composto in gran parte da fiorentini) nella battaglia di Campaldino (11 giugno 1289) contro quello ghibellino (formato per lo più da aretini). Dante stesso riferì di essersi fatto prendere dal panico e di essere fuggito dopo il primo durissimo scontro."Ebbi temenza molta", disse dopo la battaglia. [2] La sua partecipazione alla battaglia è commemorata dal monumento "Valigia di Dante", realizzato nel 1921 dall'architetto senese Agenore Socini e posto nella piana Campaldino: sull'opera è apposta una targa, con incisi i versi 4 e 5 del XXII canto dell'Inferno[3].

Note modifica

  1. ^ Alessandro Barbero, Capitolo 1 - Il giorno di San Barnaba, in Dante, Bari, Laterza, 2020, p. 8.
  2. ^ Alessandro Barbero, Dante, Roma-Bari, Laterza, 2020. capitolo 1.
  3. ^ La battaglia di Campaldino, su Toscana insolita. URL consultato il 7 aprile 2011 (archiviato dall'url originale il 16 giugno 2010).

Bibliografia modifica

  • Aldo Settia, Comuni in guerra. Armi ed eserciti nell'Italia delle città, CLUEB, 1993, ISBN 8849104413.

Voci correlate modifica