Fortunato Caccamo

carabiniere e partigiano italiano

Fortunato Caccamo "Tito" (Gallina, 1º febbraio 1923Roma, 3 giugno 1944) è stato un militare e carabiniere italiano, decorato con la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria nel corso della seconda guerra mondiale.

Fortunato Caccamo
NascitaGallina, 1º febbraio 1923
MorteRoma, 3 giugno 1944
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Forza armataRegio Esercito
ArmaCarabinieri
Anni di servizio1942 – 1944
GradoCarabiniere
GuerreSeconda guerra mondiale
Guerra di liberazione italiana
Decorazionivedi qui
dati tratti da Combattenti Liberazione[1]
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Biografia modifica

Nacque a Gallina, quartiere di Reggio Calabria, il 1º febbraio 1923, figlio di Antonio e Maria Cuzzocrea.[2] Abitò a San Gregorio, frazione della stessa Reggio Calabria, diplomatosi alle scuole magistrali dal 1941. Venne chiamato al servizio di leva e si arruolò il 27 marzo 1942 volontario nell'arma dei Carabinieri[3], venne assegnato alla Legione di Roma prestando servizio dapprima presso la Stazione Scalo Termini e poi al posto fisso del Carabinieri di guardia al Senato.[1]

Iscrittosi all'università,[2] dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 partecipò alla difesa di Roma e dal 10 ottobre, giorno dell'evacuazione dei carabinieri dalla capitale, fuggì unendosi al generale di brigata dei carabinieri Filippo Caruso nella formazione composta nella maggior parte da carabinieri, che svolse diverse azioni nella zona tra i Monti Albani e Palestrina.[2]

La sua formazione era direttamente collegata al Fronte Militare Clandestino guidato da Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Egli, con il nome di battaglia "Tito", ebbe il compito di tenere i collegamenti tra i suoi uomini e la formazione comandata dai maggiori Lazzaro Dessy e Costanzo Ebat.[2] Durante la prima fase del suo operato clandestino si distinse per la capacità di condurre svariate azioni nella zona dei Monti Albani e di Palestrina[3].

Il 26 marzo 1944 fu catturato a Roma in Piazza Bologna, dalle SS tedesche, a seguito di una delazione. Arrestato e tradotto nel carcere di Via Tasso, fu più volte torturato e trasferito nel carcere di Regina Coeli.[2] Processato il 9 maggio 1944 dal Tribunale di guerra tedesco, condannato a morte, fu fucilato sugli spalti di Forte Bravetta da un plotone della Polizia dell'Africa Italiana all'alba del ritirata tedesca da Roma.[1]

Insieme a lui furono fucilati il tenente pilota Mario De Martis, il tenente colonnello di artiglieria Costanzo Ebat, le guardie di pubblica sicurezza Giovanni Lupis ed Emilio Scaglia, il sergente Guido Orlanducci. Gli fu conferita la medaglia d'oro al valor militare alla memoria.[1]

Riconoscimenti e dediche modifica

A Fortunato Caccamo è intitolata la caserma sede del Comando Provinciale dell'Arma dei Carabinieri di Reggio Calabria e la caserma sede della Stazione dei Carabinieri "San Giovanni" in via Britannia 37 a Roma. Inoltre gli è stato intitolato il 100º Corso Allievi Carabinieri Ausiliari di Fossano (1983), il 167º Corso Allievi Carabinieri di Torino (1992) e il 135º di Reggio Calabria, Iglesias e Campobasso (2016).

Onorificenze modifica

«Carabiniere animato da elette virtù militari, sottrattosi coraggiosamente alla cattura delle forze tedesche, entrava subito a far parte della organizzazione clandestina dei Carabinieri Reali della Capitale. Catturato su delazione, sebbene sottoposto per lunghi mesi a feroci torture, manteneva assoluto silenzio evitando così di far scoprire capi e gregari dell’organizzazione. Nessuna lusinga o allettamento dei suoi aguzzini lo faceva deflettere dal giuramento prestato. Compreso solo del bene della Patria, donava la sua giovane esistenza affrontando serenamente la morte per fucilazione. Luminoso esempio di attaccamento al dovere e all’onore militare. Roma, 7 ottobre 1943 - 3 giugno 1944.[4]»
— Regio Decreto 15 maggio 1946.[5]

Note modifica

  1. ^ a b c d Combattenti Liberazione.
  2. ^ a b c d e Storiaxxisecolo.
  3. ^ a b Ciro Niglio, Cosimo Sframeli, Fortunato Caccamo: un eroe dimenticato?, in Il Quotidiano del Sud. Edizione Calabria. Società&cultura, 29 gennaio 2023.
  4. ^ dal sito della Presidenza della Repubblica
  5. ^ Bollettino Ufficiale MDE 1946, dispensa 17ª, pag.2150.

Bibliografia modifica

Collegamenti esterni modifica