Golok (popolo)

nomadi tibetani, minoranza cinese nel Qinghai

I popoli golok o ngolok sone dei gruppi etnici di Kham e Amdo nell'oriente del Tibet, I cui territori sono definiti, dai tibetani, smar kog. Si trovano intorno ai tratti superiori del Fiume Giallo (traslitterazione Wylie: dmar chu) e della montagna sacra Amnye Machen (rma rgyal spom ra). Non sono un gruppo omogeneo ma sono composti da popoli di origini geografiche molto diverse tra la regione Kham e Amdo.[1] Il territorio dei golok era terra d'asilo per rifugiati e immigrati provenienti da tutto l'Amdo e Kham e sono una fusione di popoli di origini diverse.[2]

Campo golok (foto della spedizione tedesca in Tibet del 1938–1939
Un nomade golok a Lhasa
Donna golok, 1938

I golok erano famosi sia nel Tibet che in Cina come combattenti feroci. Il nome golok (mgo log, ’go log) a volte viene interpretato come "ribelle", ma significa letteralmente "testa girata".[3] Né il Tibet né la Cina furono in grado di sottometterli a lungo.[4] Le leggende dicono che erano governati da una regina, una dea reincarnata il cui potere veniva tramandato di madre in figlia.[4]

I confini esatti del territorio storico dei golok non corrispondono ai confini della prefettura moderna. Storicamente la regione nota come Golog includeva parti di Sichuan, Contea di Maqu nella Prefettura autonoma tibetana di Gannan nel Gansu, e in altri luoghi nelle tradizionali regioni tibetane di Amdo e Khams.

Nel 1828, quando il grande mistico e poeta amdo dell'inizio del XIX secolo, Shabkar Tsokdruk Rangdrol, stava tornando ad Amdo dal Tibet centrale, la sua carovana, portando salvacondotti del Dalai e Panchen Lama, fu brutalmente attaccata e saccheggiata dalle tribù golok.

Alcuni mesi dopo Shabkar disse ad un ambano del Qinghai, che era l'amministratore del popolo manciù dello Xining, cosa era successo. L'ambano, ammettendo che le tribù golok erano al di fuori del controllo imperiale, chiese a Shabkar di provare a predicare loro nella speranza che questo potesse domarli in qualche misura.[4]

I cinesi non erano mai stati in grado di controllare i golok, alcuni dei quali dovevano fedeltà al monastero di Labrang, ma molti altri erano completamente indipendenti. Imboscate occasionali uccisero soldati dell'esercito Ninghai, causando la perdita di dispacci e di bestiame come yak. L'armata Hui, con le sue armi moderne, si vendicò in modo draconiano e sterminò un gruppo di golok. Poi convocò le tribù per le trattative, solo per massacrarle. Un missionario cristiano, lodando lo sterminio, dei golok, da parte dell'esercito musulmano come un atto di Dio, scrisse degli eventi del 1921 nel modo seguente:

«Durante i mesi estivi Dio usò di nuovo i musulmani della provincia occidentale del Kansu per rispondere più completamente alle preghiere del suo popolo, nell'ultimo mezzo secolo, per la terra oscura del Tibet. Nel mese di aprile I musulmani lanciarono una spedizione contro i selvaggi golok, occupando un vasto territorio a cinque o sei giorni di marcia ad ovest a e sud-ovest del campo che attualmente stiamo tentando di occupare. Uno dei principali motivi dell'incursione fu l'uccisione, da parte dei golok, di diversi soldati che trasportavano messaggi ufficiali e il sequestro quattro o cinquemila yak appartenenti all'Alto Commissario. I golok erano costituiti da tre gruppi ed erano un popolo molto arrogante, ritenendosi inespugnabili, poiché non erano mai stati sottomessi dai cinesi in tutta la loro storia. Ma i musulmani con le loro armi da fuoco moderne annientarono un gruppo, e gli altri due capitolarono presto. È stato riferito, che questo primo e schiacciante colpo fu dovuto ad un tradimento. I tre gruppi vennero convocati per chiedere la loro sottomissione, ma i golok vennero improvvisamente attaccati e un gran numero di essi uccisi. Il resto riuscì a fuggire senza fare alcun tentativo, nella loro condizione di inferiorità, per vendicare i loro amici caduti. Quindi seguì una serie di terribili spargimenti di sangue e crudeltà. Uomini, donne e bambini furono spietatamente messi a ferro e fuoco e migliaia furono condotti nel Fiume Giallo a perire nelle sue acque fangose. Fu chiesta una pesante indennità; migliaia di pecore, yak e cavalli vennero portati via e furono confiscate tonnellate di lana. Così divenne sicuro, per il viaggio e il lavoro missionario, un vasto territorio abitato da migliaia di nomadi. Stiamo lodando Dio per il passo in avanti che ci ha permesso di fare.[5]»

Dopo che i tibetani attaccarono l'esercito musulmano Ninghai, nel 1922 e nel 1923, questo ritornò nel 1924 annientando i tibetani e uccidendone un grande numero.[5]

Note modifica

  1. ^ Stein (1961), pp. 44, 68.
  2. ^ Rinzin Thargyal e Toni Huber, Nomads of eastern Tibet: social organization and economy of a pastoral estate in the kingdom of Dege, BRILL, 2007, p. 185.
  3. ^ Da Jie 达杰 e Da, Golok: From my perspective 果洛:见闻, Internal Chinese Government Document, 2008.
  4. ^ a b c Baldizzoni (1994), p. 53.
  5. ^ a b Paul Kocot Nietupski, Labrang: a Tibetan Buddhist monastery at the crossroads of four civilizations, Snow Lion Publications, 1999, p. 86, ISBN 1-55939-090-5. URL consultato il 28 ottobre 2010.

Bibliografia modifica

  • Baldizzoni, Tiziana e Gianni (1994). Tibet: Journey to the Forbidden City. White Star S.r.l., Vercelli, Italy. American edition (1996) by Stewart, Tabori & Chang, New York N.Y. ISBN 1-55670-511-5.
  • Kornman, Robin. (2005) "The Influence of the Epic of King Gesar on Chogyam Trungpa," in Recalling Chogyam Trungpa, edit. Fabrice Midal. Shambhala Publications. Boston. ISBN 978-1-59030-207-1.
  • Stein, R. A. (1961): Les tribus anciennes des marches sino-tibétaines. Paris. Presses Universitaires de France.
  • Galen Rowell, Nomads of China's West, in National Geographic, vol. 161, n. 2, febbraio 1982, pp. 244–263, ISSN 0027-9358 (WC · ACNP), OCLC 643483454.

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