Il Gelindo dei frati di Alessandria

Il Gelindo dei frati di Alessandria è una rappresentazione dialettale (per metà sacra e per metà comica, La Divòta Cumédia), rappresentata in periodo natalizio, che narra la "Favola del pastore Gelindo".

GELINDO
Opera teatrale Rappresentazione comico religiosa (Divòta Cumédia)

Opera in tre atti e nove quadri con prologo iniziale (Businà)

Locandina delle rappresentazioni del 1932
Lingua originale
GenereTeatro dialettale
Fonti letterarieAA.VV. Tradizione orale
AmbientazioneLa vicenda dei pastori che per primi adorarono il Bambin Gesù si svolge tra le rive del Tanaro in Alessandria e Betlemme, il luogo della Natività.
Prima assoluta25 dicembre 1924
Teatro San Francesco di Alessandria
Personaggi
  • Gelindo, il pastore padrone di casa
  • Narciso, figlio di Gelindo
  • Maffeo (Mafé) anziano garzone della casa di Gelindo
  • Tirsi, giovane garzone della casa di Gelindo
  • Medoro, parente di Gelindo
  • Maria (la Madonna)
  • San Giuseppe
  • I Magi, i Re Magi della Bibbia
  • I Paggi, dei Re Magi
  • Centurione e soldati appartenenti al re Erode
  • Angelo annunciatore e coro Angeli
 

L'origine del Gelindo è da ricercarsi nel Monferrato e gli studiosi concordano nel porre la sua prima scrittura nel XVII secolo.

Genesi dell'opera

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Gelindo, ovvero la Divòta Cumédia (così definita nel dialetto alessandrino) dei frati francescani di Alessandria, nasce nel dicembre del 1924.

Padre Giacinto, un frate cappuccino allora Assistente dell'Associazione San Francesco di Alessandria e convinto assertore dell'utilità della pratica teatrale nella formazione e nell'aggregazione dei gruppi giovanili, propone copioni ed organizza diversi spettacoli amatoriali.

A lui si deve la nascita di quella che diventerà una vera e propria tradizione cittadina, rigorosamente recitata in dialetto alessandrino per le parti popolari: il Gelindo dei frati, da allora rappresentato ininterrottamente fino ad oggi in periodo natalizio. L'Assistente propone nel Natale del 1924 la commedia natalizia "Il pastore Gelindo… ossia la natività di Gesù Cristo”, su copione[1] ridotto ed adattato dal teologo Canonico Carlo Testone di Casteggio per i circoli cattolici maschili.

 
Domenico Arnoldi, il primo Gelindo

Il testo viene rappresentato ininterrottamente da allora al Teatro San Francesco di Alessandria, annesso al convento, messo in scena da attori rigorosamente dilettanti appartenenti all'Associazione San Francesco.

Singolare la testimonianza di Domenico Arnoldi[2], che interpretò il ruolo del protagonista dalla prima recita e per vari decenni (sino a fine anni '70): Avevamo il salone vuoto e quasi non sapevamo più come recitare: eravamo in crisi di attori. Anno 1924: Padre Giacinto ci consigliò di rappresentare per il prossimo Natale ‘Il Gelindo’, una bella commedia natalizia che a Tortona era stata rappresentata per 16 anni consecutivi! (che record!). Abbiamo inscenato la Divòta Cumédia e siamo partiti. Subito abbiamo capito (ed il pubblico più di noi) che nel fare i ‘grippioni’ [3] eravamo proprio nei nostri panni. Come eravamo naturali e spontanei nel fare gli ignoranti e gli stupidi!

La Trama

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Il Gelindo alessandrino è un pastore/commerciante che rivende i suoi formaggi (siràs)[4] e vive insieme al figlio Narciso, e ai due garzoni il vecchio Maffeo (Mafè) ed il giovane scavezzacollo Tirsi. In realtà anche con la moglie Alinda, che, tuttavia, essendo il copione alessandrino derivato da quello per i circoli cattolici maschili, non prevede parti femminili in scena ad eccezione della Madonna.

Gelindo è un pastore dal carattere un po' testone e senza peli sulla lingua, tagliato con l'accetta e spigoloso come gli zoccoli che indossa, ma in fondo è un burbero dal cuore d'oro.

Per obbedire al censimento dell'imperatore Ottaviano Augusto, lascia la sua casa di Alessandria in riva al Tanaro e, per il mistero connaturato alle esigenze del copione, si ritrova come per incanto dalle parti di Betlemme.

Si imbatte nel percorso nei soldati di Erode il Grande che stanno per attuare la strage degli innocenti (Vangelo secondo Matteo 2,1-16). Incontra poi Giuseppe e Maria, li aiuta a trovare riparo per la notte in una grotta, e, dopo aver incontrato i Magi, è lui il primo a visitare Gesù Bambino insieme ai suoi pastori.

Il copione, o meglio il canovaccio per lo più tramandato per tradizione orale, intreccia esilaranti ed irriverenti scene di vita dei pastori con il loro rumoroso scalpitare (da cui il termine Cumédia), contrapposte a forti momenti di devozione (Divòta) come l'Adorazione dei Magi, l'accorato monologo di Maria ed il commovente saluto finale di Gelindo al Bambino, ormai certo della sua salvezza, come annunciato dagli angeli in coro.

I personaggi

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La famiglia di Gelindo

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Gelindo è un brav’uomo, ma dotato della scaltrezza indispensabile per sopravvivere a una vita grama. Vive in un’epoca sospesa tra l’oggi e il tempo in cui nacque Gesù. Fu lui il primo pastore a visitare Maria e Giuseppe quando Gesù era il re della stalla. Gelindo è il primo ponte lanciato tra il divino e l’uomo qualunque, il primo ginocchio piegato al cospetto dell’ineffabile; è sua la prima, goffa esplosione di meraviglia. Non è andato solo, Gelindo, alla mangiatoia celeste. C’era il suo vispo figliolo Narciso. Non una cima a scuola, ma, come tutti i bimbi, con il cuore aperto. È stato lui a capire il messaggio degli angeli quando cantarono che era nato il Messia. E poi c’era il braccio destro di Gelindo, il fido Medoro. Un mezzo parente, c’è chi dice il cognato, ma in fondo non importa. Medoro è un uomo dal cuore d’oro, ma in tanti lo dicono un po’ tonto. Ma uno di quei tonti che arrivano sempre dove vogliono, meglio ancora se a farsi offrire del buon vino e una fetta di polenta. Infine, con Gelindo, Narciso e Medoro, c’era anche Tirsi. Tirsi è un garzone giovane, un ragazzotto scapestrato e fannullone, perso in quell’età dove la spontaneità del bambino non vuole ancora cedere all’ottusità dell’adulto. Tirsi intuisce al volo che non può perdersi l’evento per eccellenza e, ordinato di stare a casa, rischia da solo la notte del bosco e le bastonate di Gelindo pur di seguirli da Gesù. E sarà l’ultimo ad uscire, a malincuore, dalla grotta santa. Solo Mafé, il vecchio garzone, in pratica un Tirsi avanti negli anni, non ha potuto andare alla santa grotta. Devoto a Gelindo, è rimasto a vivere con lui perché non ha più nessuno. Un brontolone un po’ gobbo, con lampi di furbizia e realismo sotto la lunga barba che sa sempre un po’ di vino. Sornione, il buon Mafé non si rammarica di non essere andato a Betlemme: certe cose i saggi non hanno bisogno di vederle con gli occhi.[5]

 
Saluto finale al pubblico, recita dell'11 gennaio 2020

I personaggi storici

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La storia ci insegna che il Centurione e i Soldati non siano persone di cuore, ma sicuramente per quanto riguarda la Divòta Cumédia, dotate di grande spirito… nella scena della piazza infatti sono “spalla” inconsapevole di un arguto e scaltro Gelindo. Ecco poi Giuseppe e Maria, impauriti, infreddoliti e con poco tempo a disposizione, incontrare chi li indirizza verso un posto sicuro, per passare la notte della Natività. E chi sono tutti questi bambini? Ma sono gli Angeli! Quanta emozione quando è ora di entrare in scena; solamente tenere su le manine "come se fossero ali" fa battere il cuore all'impazzata. Provano la parte con la serietà degna di un grande attore e, più sono piccoli, più sollevano vociare di stupore e ammirazione tra il pubblico. I Re Magi sono solenni, eleganti, recano i loro doni guidati da una stella… voi non li sentite, ma sul palco, quando incontrano Mafé, borbottano tra loro e con i Paggi e ripassano la parte per la scena successiva, quando finalmente raggiungono Lui: Gesù, nella scena dell'Adorazione. Come curiosità, ancora nelle rappresentazioni dei giorni nostri, i pastori portano in dono al Bambino una pecorella viva (la bécia)[6] che scorrazza per il palco mettendo a repentaglio gli scenari e che viene scherzosamente ed unanimemente riconosciuta come la migliore interprete della compagnia.[7]

Note sugli altri personaggi

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Fino agli anni del primo dopoguerra, nel copione del Gelindo dei frati, comparivano anche i personaggi del Re Erode ed i figli Aristobulo e Alessandro, in un ampolloso e ponderoso secondo atto, ambientato nella sala del trono, dove avveniva l'incontro con i Magi, guidati da una stella che illuminava il loro cammino. Erode, informato da essi della nascita di Gesù, ordina un massacro di tutti i bambini allo scopo di uccidere il neonato "re dei giudei", per evitare di vedere la sua fama oscurata. Per la drammaticità dei dialoghi e la necessaria interpretazione attoriale, la parte risultava spesso stridente con il resto del testo, prolungandone oltretutto la durata ben oltre le tre ore. Talvolta la scarsa preparazione degli interpreti, talvolta il mancato tentativo di rendere "aulico" e drammatico il momento, ottenendo involontariamente effetti "comici" completamente opposti, clamorosamente sottolineati dal pubblico, consigliarono l'eliminazione della scena. In proposito, esiste consolidata e comprovata aneddotica.

La businà

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Non esiste una corrispondente parola italiana per definirla compiutamente. Per assonanza si può ricondurre al termine dialettale lombardo "bosinada" una composizione poetica popolare di contenuto quasi sempre satirico, scritta in dialetto milanese su fogli volanti, recitata dai cantastorie a partire dal 1650 circa.

In linea generale le "businà" erano in voga in Alessandria e nei paesi del Monferrato per poter irridere i "potenti" durante le sagre paesane senza subire gravi conseguenze. Erano quindi filastrocche, a volte in rima, recitate nel dialetto locale per una più pronta e popolaresca espressività, immediatamente compresa dalla gente del luogo. Di tanto in tanto sono ancora ripetute in qualche paese, specie durante il carnevale, ma costituiscono episodi sporadici. La "businà" di Gelindo, del Gelindo dei Frati per la precisione, trae le sue origini da questa usanza ma, nel corso delle rappresentazioni, ha acquistato una sua specificità perché legata indissolubilmente alla "Divòta Cumédia”. Essa è infatti diventata una sorta di preambolo che, tra il serio ed il faceto, rilegge le principali vicende, locali e non, dell'anno appena trascorso, senza dimenticare l'invito al pubblico di prestare attenzione alla rappresentazione che seguirà, ossia, come si usava nei ridondanti titoli ottocenteschi, "a ciò che successe nella notte del S. Natale". Scorrendo i testi delle "businà" si rivive la storia degli ultimi decenni. Storia interpretata così come avrebbe potuto comprenderla un pastore od un contadino delle nostre terre, un operaio alle soglie del pensionamento (sempre rinviato per colpa della "finanziaria") o un pensionato della fabbrica cappelli Borsalino. Le businà degli ultimi anni sono state raccolte in varie pubblicazioni[8]. Quelle degli albori e delle rappresentazioni sino agli anni '60, non erano scritte, ma l'allora interprete di Gelindo, il citato Domenico Arnoldi, appuntava gli aspetti salienti su alcuni foglietti e poi recitava il monologo iniziale "a braccio", spesso dialogando col pubblico, secondo i canoni della Commedia dell'Arte.

Gli interpreti

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Un secolo di rappresentazioni. Con circa dieci spettacoli all’anno in periodo natalizio (dove dieci rappresenta la media tra i dodici-tredici spettacoli del dopoguerra sino agli anni '90 ed i sette-otto dell’ultimo periodo) fanno circa mille repliche. Che moltiplicate per la decina di interpreti principali[9] arrivano a diecimila nomi. Molti di questi ovviamente si ripetono, molti si ripetono cambiando ruolo (con l'età si passa dall’interpretazione di Narciso a quella di Tirsi, da angioletto a Madonna, da Soldato a…San Giuseppe, da Medoro a Gelindo e così via). Molti di questi – quelli degli anni '30/'40 - risultano annacquati dall'oblio e si confondono nel ricordo trasmesso unicamente per tradizione orale. Per questi motivi un censimento completo risulta impossibile, come impossibile risulta elencare tutti coloro che dietro le quinte, nelle parti tecniche (luci, musiche, scene, sipario, palco, biglietteria, prevendita, etc.) e nella macchina organizzativa supportano e per un secolo hanno supportato la commedia. "Gelindo è un’opera corale che l’Associazione San Francesco porta avanti da un secolo. Chi ha preso parte a questo piccolo miracolo, ha il nome ben impresso negli immaginari titoli di coda che scorrono nella sua mente, non importa in quale posizione. Gelindo vive nelle battute degli attori, nei suggerimenti degli anziani, nell’impegno di tecnici e macchinisti, nell’entusiasmo dei giovani e nella spensieratezza dei bambini che, nei panni degli angioletti, accarezzano intimiditi la barba di quel vecchio inginocchiato, come statuette di un presepio abbagliate dalle luci della ribalta. Ciascuno, per il suo piccolo grande ruolo, contribuisce al copione ed al successo della Divòta Cumédia. È proprio così: nessuna rappresentazione inizierebbe senza il siparista.”[10]

Le origini

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Padre Giacinto

L'Assistente

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Padre Giacinto da Santa Cristina, nato il 29 agosto 1878; professò i voti religiosi nel 1894; fu consacrato sacerdote il 2 marzo 1901. Sostituì dal 1921 al 1925 Padre Daniele come Assistente alla guida dell'Associazione. Per un ventennio fu missionario in Eritrea. Rimpatriato chiuse la sua vita terrena nel Convento del Sacro Cuore in Alessandria il 20 gennaio 1952. A lui si deve l’inizio del Gelindo dei frati di Alessandria. Fu lui nel 1924 a proporre il copione di Gelindo del Canonico Carlo Testone di Casteggio, adattato per circoli cattolici maschili, ai giovanissimi dell’Associazione San Francesco.

 
Tirsi e Mafé, scena nella casa di Gelindo, anno 1939

Il ricordo

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"Ricordo la sera in cui, riuniti, si lesse il libretto. Vi fu chi fece balzi di gioia, perché di fronte alla prevalenza dei racconti di indole tragica di quell'epoca, trovava finalmente una rappresentazione brillante con cui sfogarsi; e le vicende dei primi spettacoli sono rimaste immemorabili. Dagli strafalcioni dialettali, ad un Erode con lo scranno-rotto, dalle giubbe dei pastori ricavate rovesciando le giacche di pelle degli autisti, al nastro di magnesio che doveva illuminare le apparizioni degli Angeli e produceva invece enormi scottature negli inesperti manovratori, fu tutto un trasporto di audacia e di tenacia che ha messo radici così profonde da doverne parlare ancora a molti anni di distanza."[11]

L'aspetto religioso

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L'aspetto religioso, la Natività, il presepe, sono sicuramente tra i significati fondanti della rappresentazione. Il giorno dell’Epifania del 1975, in occasione del cinquantenario della rapprsentazione, Padre Maurizio Roso[12], allora Padre Provinciale della Provincia Cappuccina di Alessandria, tenne una splendida omelia sul tema “Gelindo”, nel Santuario del Sacro Cuore (fino al 2022 chiesa del Convento dei Frati dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini). Di seguito alcuni passaggi particolarmente suggestivi dell'intervento.

"...Questa sera qui riuniti per un cinquantesimo. Cinquanta anni: forse pochi per la vita di un uomo, forse troppi per una istituzione-rappresentazione che si ripete ogni anno – sempre la stessa - eppure nuova perché ha il sapore delle cose nate in casa, viva nel nome di San Francesco d’Assisi e di un personaggio intriso di semplicità e letizia francescana: Gelindo!.. Tu forse non sei bello, non sei dotto, non sei intelligente… eppure, perché a te? Non so! Ma so che gli angeli una notte squarciarono il cielo e a dei pastori che pernottavano dissero loro: "Non temete: ecco vi è annunziata una lieta novella, che sarà di grande gioia per tutto il popolo: oggi vi è nato il Salvatore che è Cristo Signore"…I pastori: disponibili al prodigio e liberi nella speranza perché poveri… Si alzano, camminano nella notte per incontrare Colui che un giorno dirà beati quelli che hanno fame e sete di giustizia. Pace agli uomini di buona volontà: a quelli che non accettano un mondo e si impegnano a migliorarlo... Grazie, vecchio pastore: tu non sei evasione, ma serena eppure pensosa immersione nella realtà della vita che ci fa comprendere che le piccole cose ci rendono contenti e danno il gusto di vivere; ci fai tendere verso un mondo più giusto e ci fai sentire la gioia dei puri di cuore – di coloro che vedranno Dio... Gelindo, Maffeo, Medoro, Tirsi, Narciso: nomi non della domenica; ma cavalieri di una nuova tavola rotonda francescana… Personaggi di un quotidiano che, pur a volte amaro, sa di serenità. Nuovo cantico di creature cresciuto nel silenzio di un chiostro, all’ombra di un campanile su un palcoscenico, a cui hanno collaborato: frati con presenza silenziosa e discreta – frati assistenti, ognuno uno stile denso di umanità, così da creare un’amicizia duratura e fragrante – una famiglia dove si conosce l’arte di una “vita giovanile”... Una capanna: e il tempo si è fermato alle soglie della tua anima, o vecchio pastore. Tu sai che il cielo è sceso sulla terra e della terra ha i colori e la gioia. E la terra è avvolta e protetta dal cielo e del cielo ha il sapore e la beltà. Gli anni ti hanno dischiuso il segreto della felicità. Vorremmo - noi uomini angosciati – essere come te… E andare come vai tu… dove vai tu… E sapremmo allora – come tu sai – che non v’è tramonto e non v’è sera quando lo sguardo vede insieme la terra e il cielo, quando il tempo s’è fermato alle soglie dell’anima. Sapremo allora che questo è il sapore del mattino, perché i tuoi occhi hanno visto il ˝Bambino˝ adagiato in una mangiatoia.

Testimonianze, curiosità ed aneddoti

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Calendario spettacoli - Dicembre 1945

La longevità

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Il Gelindo dei frati, è rappresentato in periodo natalizio al Teatro San Francesco di Alessandria ininterrottamente dal 1924 fino ad oggi. Neppure al tempo della seconda guerra mondiale le rappresentazioni sono state interrotte.

 
Calendario spettacoli - Dicembre 1943 "... di sera si recita solo se lo consente il coprifuoco..."

L'interprete di Gelindo (all'epoca Domenico Arnoldi) nella businà iniziale, il prologo semiserio che apre ogni spettacolo, avvertiva gli spettatori che, in caso di sirene ed allarmi, la recita sarebbe stata interrotta ed ovviamente evacuato il teatro, eventualità peraltro mai accaduta - secondo le testimonianze tramandate dall'epoca. Erano invece sospesi gli spettacoli serali causa coprifuoco (vedi immagine a lato tratta da Vita Giovanile[13] del dicembre 1943).

Il 1 maggio del 1944, in piena seconda guerra mondiale, nel corso di un bombardamento sul centro di Alessandria, uno spezzone incendiario fa crollare il plafone del teatro, ma, grazie all'intervento dei soci della San Francesco, a Natale il locale è ristrutturato e “Gelindo” può andare regolarmente in scena. Forse a causa di un mozzicone di sigaretta incautamente trascurato, un incendio rovina, per fortuna solo parzialmente, il teatro verso la fine del 1957. Anche questa volta, grazie allo straordinario impegno volontario dei soci dell'Associazione, viene rimesso prontamente in sesto, e neppure quell'anno, l’appuntamento natalizio col “Gelindo” salta.

Anche durante la triste parentesi della recente pandemia, lo continuità dello spettacolo non ha subito interruzioni.

La 96ª edizione della rappresentazione, quella del dicembre 2020-gennaio 2021, per le inevitabili restrizioni di utilizzo degli spazi pubblici in genere e delle strutture teatrali in particolare dovute all'emergenza mondiale del COVID-19, è stata comunque realizzata "on-line" con le moderne tecniche di comunicazione "social" sulle varie piattaforme.

Grazie a testate giornalistiche locali dotate di piattaforma web, sono state pubblicate in streaming diverse "pillole telematiche" che hanno riproposto la businà in originale, oltre a parecchi contributi filmati inediti, un po’ di storia e il dietro le quinte, permettendo al pubblico di vivere e assaporare in modo coinvolgente anche i vari aspetti poco conosciuti della “Divòta Cumédia” sulle varie piattaforme (Facebook, Instagram, YouTube). Tutto il materiale prodotto è stato poi raccolto e pubblicato in un DVD.

L'omaggio del pittore Morando

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Locandina del 50° anniversario - "Presepe" di Pietro Morando

In occasione del cinquantesimo anniversario della rappresentazione, ovvero nel Natale del 1974, il pittore alessandrino Pietro Morando dedicò all'evento il suo dipinto "Presepe" con tecnica mista su cartoncino, di cui vennero riprodotte stampe a tiratura limitata. L'opera del pittore venne utilizzata per la locandina degli spettacoli.

Il binomio Gelindo-Eco e la questione del dialetto

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Nel teatro San Francesco fece le sue prime prove di autore, dopo essersi sperimentato come attore nella filodrammatica del Circolo, un giovane e brillante studente liceale alessandrino, Umberto Eco, all'epoca appartenente all'Associazione San Francesco. Il famoso scrittore e professore rimase anche in futuro molto legato ai ricordi delle sue partecipazioni giovanili alla Divòta Cumédia, ed in generale al mondo dei frati cappuccini. Al ritorno nella sua città natale, non mancava di assistere alle rappresentazioni di Gelindo e di fermarsi in convento per scambiare ricordi con i frati. Resta proverbiale la vicenda secondo la quale, in epoca giovanile - quando il palcoscenico del San Francesco era interdetto alle donne - avesse interpretato la Madonna, all'epoca priva di battute e col volto quasi completamente coperto dal velo durante la scena. Di seguito stralci della sua simpatica testimonianza tratta dalla prefazione al libro "Gelindo 75 la Divòta Cumédia", edito da Ugo Boccassi a cura dell'Associazione San Francesco d'Assisi di Alessandria.

"...cresciuto in una di quelle famiglie che per la prima generazione erano piccola borghesia (padre con cravatta e madre col cappellino), dove pertanto i genitori parlavano in italiano ai figli (e dialetto solo tra loro), io il dialetto lo capisco a meraviglia, e volendo lo mastico, ma non l'ho mai parlato con tale fluidità da poter recitare nel Gelindo. Volendo partecipare alla devota commedia restavano le poche parti in italiano: quella di San Giuseppe, feudo inalienabile di Luigi Visconti, quella del solo Re Magio dotato di parola o dei suoi due confratelli muti, quella dei due centurioni (di cui uno aveva almeno qualche battuta) e (esclusi gli angioletti cantanti, che potevano essere solo piccolissimi) quella della Madonna, che appariva solo di profilo, col velo che le cadeva a picco sulle spalle, non mostrando neppure la punta del naso, e seguiva muta San Giuseppe o se ne stava buona in adorazione del figlioletto suo senza dir motto o muovere muscolo (… ) Ora, fare il Re Magio dava il piacere di vestirsi in modo sontuoso e fare il centurione voleva dire indossare elmo e corazza e agitare la spada con altera prepotenza, che è sempre una bella soddisfazione. Ma fare la Madonna era uno strazio. Nessuno voleva fare la Madonna perché era ruolo filodrammaticamente nullo, e oltretutto se lo andavi a raccontare in giro poi ti ridevano dietro (… ) Non credo si sia mai deciso chi dovesse fare la Madonna sino a un minuto prima che essa facesse la sua prima apparizione in scena: a quel punto si scatenava la caccia all'attore e (come nelle pratiche di reclutamento della marina inglese dei tempi andati) chi non si era dileguato in tempo veniva afferrato, messo nell'impossibilità di difendersi, e dovutamente addobbato. (…) Tanti anni dopo, dopo la cinquantina, mi sono preso la rivincita e una sera, insieme a Gianni Coscia, siamo entrati manu militari nei sotterranei del palcoscenico, abbiamo cacciato in malo modo due ragazzotti che stavano per celebrare il loro sogno (vestirsi da centurioni), abbiamo indossato elmo, corazza e gonnellino romano, e siamo entrati in palcoscenico cercando di tener la scena il più a lungo possibile (…) Registrano le cronache che quella sera le due apparizioni dei centurioni sono durate almeno dieci minuti ciascuna, mentre gli altri tra le quinte ci gridavano di piantarla di fare i disgraziati. Ma sapevo che era l'ultima occasione della mia vita…"[14]

il 21 febbraio 2011, al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si è svolto l'incontro su "La lingua italiana fattore portante dell'identità nazionale", nell'ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. All'evento, promosso dalla Presidenza della Repubblica con la collaborazione dell'Accademia dei Lincei, dell'Accademia della Crusca, dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e della Società Dante Alighieri, tra i vari interventi illustri ci fu quello[15] del professor Eco, da cui lo stralcio seguente:"...Nella mia città, Alessandria, tutti gli anni a Natale si rappresenta il Gelindo, commedia sacro-profana dove si immagina una terra che è per metà terrasanta e per metà l’alessandrino, con Betlemme che sorge poco lontano dal Tanaro, e tutti i pastori parlano il vecchio dialetto locale, con effetti comici travolgenti specie quando, senza pudore (ma con l’approvazione divertita del vescovo) trattano in dialetto e i fatti della storia sacra e i problemi cristologici, mescolandoli a osservazioni sulla realtà attuale (tanto per capirci, nell’ultima edizione già si diceva che nella reggia di Erode avvenivano strani festini con la nipote del faraone d’Egitto). Ma il problema del Gelindo è che da un lato diminuisce il pubblico capace di capirlo, e dall’altro diventa sempre più difficile reclutare nuovi attori che parlino il dialetto con disinvoltura. La scomparsa di questa tradizione folkloristica sarebbe gravissima e lo sanno i linguisti che, dopo essersi battuti perché l’italiano l’avesse vinta sui dialetti, ora auspicano che i dialetti siano in qualche modo ricuperati come seconda lingua degli affetti e dell’identità ancestrale...".

Gelindo è bello per chi lo recita e per chi lo vede

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Tutto lo spirito che nel passato più o meno recente ha animato i soci della San Francesco, può essere condensato in questa testimonianza rilasciata da Ezio Cavalli[16] in occasione del settantennio della rappresentazione (anno 1994):

"Gelindo è bello per chi lo recita e per chi lo vede da settanta anni. Ma sapete qual è la chiave di queste tre serrature? Il binomio sacrificio ed umiltà. Settanta anni fa gli scenari sono stati combinati con tronchi di pino; la luce per l'apparizione degli Angeli era prodotta con i nastri di magnesio che finivano sempre per scottare le dita; per i cambiamenti di scena erano tutti pronti con il pezzo da sostituire e nessuno stava con le mani... in tasca; per mutar gli indumenti si doveva stare sotto il palcoscenico ove battevano i denti persino le putrelle del soffitto; i turaccioli affumicati servivano per il trucco e... il ringraziamento sommo era dato da un certo Fra Anacleto che, con il bianco d'uovo montato ci preparava qualche dolce! E così... via... di seguito! Oggi le cose sono cambiate. E va bene! Ma tutto questo non esclude che possiate ancora fare sacrifici anche voi. E siamo così arrivati all'altra parte della chiave: l'umiltà! Tutti utili, nessuno indispensabile. Sempre puntuali e niente scuse. Ogni cosa a suo posto e un posto per ogni cosa. Un bel tacer non fu mai scritto. E potrei andare avanti nella filastrocca, ma mi basta concludere che, consapevoli come siete che state progredendo in tutto, nel fisico e nello spirito, comprendiate che avete bisogno di tutti, nel presentarvi non sulla scena ma nella vita, portatori di gioia, nell'incontro dei cuori, pronti al sacrificio come i Pastori di Betlem!"

Ti accompagna negli anni

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Con gli anni questa storia di Gelindo ti accompagna, con le sue parti che anno dopo anno, crescono con te e segnano il tuo diventare prima ragazzo, poi uomo e così la dimestichezza con il dialetto e con quelle battute sempre uguali, eppure mai stancanti che tanto ti avevano affascinato quando eri angioletto di belle speranze, diventano le tue.”[17]

La tradizione popolare

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La Divòta Cumédia del Gelindo, sebbene non nata ad Alessandria ma nell’alto Monferrato nel lontano Seicento, qui da noi ben presto mise radici profonde. Infatti, prima ancora che sulle tavole del “Teatro dei frati” dove si recita annualmente dal 1924, il Gelindo è stato per secoli usato nelle stalle, cioè, letto, agito, rappresentato alla buona durante le veglie invernali nelle cascine a corte della pianura come nei cascinali della collina. Nelle vicende di Gelindo, pastore del contado di un’esotica Betlemme, i contadini nostri scorgevano riflesso tutto il loro mondo, con la parlata di tutti i giorni, la paura e il timore mascherati di rispetto per i potenti, ma anche le piccole felicità e il patrimonio di affetti e consuetudini che rendeva unita la classe dei dominati nella lotta per l’esistenza. Così in quelle stalle si rideva e ci si commuoveva pure, benché i pastori del dramma parlassero non solo del Bambino e degli Angeli, ma anche di freddo e di fame, di soprusi e di angherie.[18]

 
De.Co. Gelindo 25.12.2014

Ottant’anni di palcoscenico

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Se Domenico Arnoldi ha incarnato l’anima della commedia dagli albori sino agli anni 80, fondatore e interprete del personaggio principale, e se Aldo Moraschi ne può essere considerato il cantore – memorabile il suo libro Il mio amico Gelindo (Alessandria, Tipografia Viscardi, 1974) - oltre che “l’arrangiatore” del primo copione ai dettami del dialetto alessandrino, Luigi Visconti può essere considerato la spina dorsale della rappresentazione degli ultimi cinquant’anni, come interprete, scenografo ed organizzatore. Salito a dieci anni sul palco il Natale del 1938, nelle vesti di angioletto, ha poi via via interpretato dapprima Narciso, poi per diversi anni San Giuseppe ed infine si è calato nel ruolo di Mafé, per oltre quarant’anni. Nel Natale del 2018, a novant’anni e cinque mesi, staccandosi per l’ultima volta la barba di scena aveva sentenziato: “Devo smetterla… non è tanto per i 90 anni… sono gli ultimi 5 mesi che mi pesano…” [19]

La De.Co.

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Con deliberazione del Consiglio Comunale di Alessandria del 23 dicembre 2014, in occasione del novantesimo anniversario della rappresentazione, la Città di Alessandria ha conferito allo spettacolo del Gelindo la Denominazione di Origine Comunale (DeCo), per i meriti nella valorizzazione della cultura e della tradizione alessandrina.

Scenari

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Scena casa di Gelindo

Sino agli anni ’60 gli scenari – andati ormai perduti - furono quelli realizzati tra il 1924 e il ’27 dal pittore Felice Atzori, socio dell’Associazione San Francesco, forse con la collaborazione del pittore Rodolfo Gambini e del figlio Luigi Gambini, anch’essi soci del circolo. Lo stesso Atzori modella, inoltre, un bambino di gesso attorno ad una vecchia scarpa, che fungerà per molti anni da Gesù Bambino nella scena della Natività. A partire dal 1962, vengono rifatti tutti gli scenari, magistralmente dipinti dal pittore Giulio Cesare Mussi di Novara e tuttora utilizzati. Questi contribuiscono a ricreare un’atmosfera particolare nel piccolo palco del teatro San Francesco, trasportando di volta in volta lo spettatore dalla casa di Gelindo al bosco, dalla piazza del mercato, alla Capanna di Gesù.

 
Scena dell'Adorazione dei Magi

Costumi

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Grazie al vigoroso impulso di Padre Agostino da Costanzana che negli anni ’60 era Assistente dell’Associazione San Francesco, fra il 1964 e il ’66 vennero rifatti tutti i costumi di scena. Fra’ Siro, il cuciniere del Convento, realizza con incredibile perizia ed inventiva tutti i costumi che fino ad allora erano stati affittati dalla Ditta Giachino di Torino, e che vengono utilizzati tuttora nelle attuali rappresentazioni. La stoffa utilizzata dal frate erano scampoli donati della Ditta Forno di Alessandria, oppure da reimpiego di vecchi paramenti sacri in disuso reperibili in convento, e, curiosità, le scatole dei panettoni, abilmente rivestite di stoffe e fettucce dorate si trasformavano nei cappelli dei Re Magi, di incredibile impatto scenico. Essendo fra Siro cuciniere del Convento, i frati dell’epoca saltarono più di un pasto, ma tutto venne più o meno accettato con francescana letizia…

 
Cappello dei Pastori

Gelindo… col Borsalino

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I cappelli dei pastori utilizzati ancora oggi, sono donati dalla fabbrica Borsalino Giuseppe e Fratello, la celebre azienda manifatturiera alessandrina fondata nel 1857 divenuta in seguito “Antica casa Borsalino Giuseppe e fratello Fabbrica di Cappelli in Alessandria fondata nel 1857”. Si tratta di manufatti in feltro di prima pressatura che vengono donati al Convento, e che vengono decorati ed arricchiti con fettucce colorate dall’abilità di Fra’ Siro. Il marchio Borsalino diffuso ovunque, conquista all’epoca i mercati più importanti come quello britannico, con le caratteristiche bombette, e quello statunitense, dove i cappelli prodotti ad Alessandria sono adottati persino nella cinematografia americana e resi ancor più famosi dall’iconico film “Borsalino” del 1970, interpretato da Alain Delon e Jean Paul Belmondo. Ma Gelindo, dei gangster, porta solo il cappello!

Miracolo, ha parlato la Madonna!

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Essendo il salone teatro della filodrammatica dell’Associazione San Francesco annesso al convento dei frati cappuccini dagli anni ‘20, a tale spazio era interdetto l’accesso alle donne. Per di più, il copione del Gelindo, ereditato dal Canonico Testone nel 1924, era specifico per Circoli Maschili, depurato quindi dai ruoli di Aurelia, figlia di Gelindo e di Alinda, moglie di Gelindo. Non essendo tuttavia possibile rinunciare anche al ruolo della Madonna nella scena della Natività, sin dagli albori della commedia, la parte, priva di battute, veniva interpretata da un ragazzo, opportunamente sbarbato, che appariva solo di profilo per di più col viso quasi completamente nascosto dal velo cadente a picco sulle spalle (di qui la famosa leggenda di U. Eco… "ho fatto la Madonna").

Nel 1952 si decise coraggiosamente e finalmente di introdurre una ragazza nella parte, che in scena non parlava, ma cantava solamente la ninna nanna. Secondo alcune fonti nel 1962, secondo altre nel 1964, la Madonna finalmente parlò: un breve ma intenso e toccante monologo nella scena del bosco.

Narciso o Narcisa?

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Talvolta è il caso ad aiutare svolte epocali e sacrosante: nell’edizione Gelindo 99, causa defezioni e vari impedimenti dei piccoli destinati a ricoprire il ruolo di Narciso (il figlio di Gelindo) per la prima volta in un secolo il ruolo è toccato anche ad una bimba[20] di sei anni e mezzo. Con buona pace del copione, ma si immagina anche del Canonico Testone…

Il saluto finale

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Giunto nella Capanna a Betlemme ed avvisato dal coro d'Angeli della salvezza del Divin Bambino, Gelindo conclude la recita con un toccante saluto finale in dialetto alessandrino, a metà tra commozione e preghiera: "Ciau, ciau o bel Bambèn, nasì ant la frigg per purtèm a noi tüt u calur du to amur… Ciau o bel Bambèn, nasì ‘nt la puvertà e ’nt la miseria per purtèm tüta la richëssa del tò grassii! Noi u to ricord as la stampùma chì ‘nt  el cor, e as na smentiarrùma mai pü… Ciau, ciau o bel Bambèèèn… e buna sira, buna sira me cari siùri!"

Il Centenario

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Nel Natale del 2024 Gelindo si appresta a festeggiare il Centenario, con in cantiere una serie di manifestazioni celebrative. Prima di queste, la creazione di un sito web attualmente "in progress", www.gelindoalessandria.it.

Finalità e significato

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La beneficenza

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La principale finalità del Gelindo dei frati di Alessandria è la beneficenza. Tutti i proventi degli spettacoli - messi in scena da attori rigorosamente dilettanti - sono infatti destinati al sostentamento della mensa dei poveri presente nell'annesso convento di "Casa San Francesco" gestita dai frati, che giornalmente assicura un pasto caldo a oltre centocinquanta persone bisognose (dato gennaio 2024).

Quali altri significati possiamo dare oggi al Gelindo per gli alessandrini? In breve: tradizione, senso di appartenenza, Natale.

In una città in cui sempre più spesso le testimonianze del recente passato tendono a scomparire definitivamente, si dissolvono i simboli o si spengono le luci di vetrine storiche, una rappresentazione teatrale che da quasi un secolo riesca a riproporsi e ad incontrare il gradimento del pubblico, è indubbio che concorra ad assicurare nel tempo la trasmissione di un seppur piccolo patrimonio culturale. Assistendo al Gelindo dei Frati, nel dialetto dei pastori, riconosci la parlata ascoltata dai nonni, quella delle raccomandazioni paterne, l’imprecazione della pensionata in coda alle poste e il commento del vecchio tifoso alla partita dei Grigi[21] al "Moccagatta": riascoltando il dialetto ti senti insomma Alessandrino, conservi un'identità.

Sul Natale è come per il presepio che Gelindo stesso, in parte, rappresenta. Ogni anno, nel rifarlo, si ritrova quella semplicità e quell'emozione provata dal bimbo in attesa di ricevere i doni. E forse chi torna a vedere Gelindo ogni anno, ricerca e ritrova nelle due ore di spettacolo, proprio quei sentimenti genuini e quegli stati d’animo. In sostanza Gelindo è far del bene. Sia chi lo mette in scena, sia il pubblico che si appresta a rivederlo, sa di contribuire alle opere di beneficenza e di divertirsi nel farlo e nell'applaudirlo.

L'essenza

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L'essenza della Divòta Cumédia, perfetta per gli ideali titoli di coda di ogni rappresentazione, è mirabilmente sintetizzata nella testimonianza di Aldo Moraschi[22]:

Gelindo, con i suoi pastori tutti d’un pezzo, ripete ancora oggi, come allora, una realtà sempre vera: la pochezza di noi uomini di fronte al Divino, ripete che le parole grosse che usiamo per apparire - mentre la realtà è ben diversa - sono sovente ridicole, mentre la semplicità e la bellezza degli affetti sono l’unico vettovagliamento della nostra fame quotidiana.

Bibliografia essenziale

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Nota: Le prime scritture della favola di Gelindo risalgono probabilmente al XVII secolo. Sono nel seguito riportate le versioni che sono temporalmente più vicine al Gelindo alessandrino e che lo riguardano direttamente. La presente bibliografia non vuole essere esaustiva e rimane aperta ai graditi contributi e alle correzioni di studiosi e appassionati. In grassetto è indicato il testo da cui i Frati trassero spunto per l’adattamento fatto recitare dai ragazzi dell’oratorio nel 1924, giunto fino ai nostri giorni con qualche alleggerimento e lievi modifiche. Il copione del Gelindo “dei frati di Alessandria”, grazie alla sua marcata vena comica oltre che sacra, è a tutt’oggi usato e riproposto da diverse compagnie di teatro popolare piemontese e non solo.

  • Giacomo Arneodo, Gelindo alla capanna di Betlemme, Giacomo Arneodo, Torino, seconda metà del sec. XIX
  • "Il Pastore Gelindo ossia la natività di Gesù Cristo e la strage degl'innocenti". Rappresentazione sacra, Giovanni Battista Binelli, Torino, 1877
  • Giuseppe Arneodo, "Il pastore Gelindo, ossia la Natività di Gesù Cristo". Rappresentazione sacra, Giacomo Arneodo di Giuseppe Arneodo, Torino 1878
  • Rodolfo Renier, "Il Gelindo – Dramma sacro piemontese della Natività di Cristo", Carlo Clausen, Torino, 1896
  • "Gelindo in Betlemme. Operetta Comica del Santo Natale (in cui ci viene insegnata la vita che fecero San Giuseppe e Maria Vergine quando si partirono da Nazaret per andare a Betlemme, Patria di Davide nella quale ambedue ebbero origine, e ciò che successe nella notte del Santo Natale)", Bietti, Milano, 1909 (riedizione di un’opera precedente – vedi oltre)
  • Canonico Carlo Testone, "Gelindo, ossia la Natività di n. S. Gesù Cristo" Dramma in 4 atti per Circoli Maschili, 2° Edizione, Tipografia G. B. Pria e C., Casteggio, 1922.
  • Aldo Moraschi, "Il mio amico Gelindo", Alessandria, 1974.
  • Vittorio Ziliani, "Alessandria in rima", raccolta di poesie popolari, Supplemento al n. 79 del bisettimanale “Il Piccolo” del 22-10-1983, Alessandria (alle pagg. 51, 54, 117)
  • A cura di Renato Lanzavecchia, "Il Gelindo", supplemento edizione speciale della rivista “La Provincia di Alessandria” n. 10/1984, dicembre.
  • A cura di Giovanni Moraschi, Lorenzo Panizza, Lorenzo Pittaluga, Luigi Visconti, per l’Associazione ‘San Francesco’ di Alessandria, "Buna sira, buna sira me cari siuri!", Alessandria, 1994
  • Umberto Eco, "Il miracolo di San Baudolino", Bompiani, Milano, 1995 (a pag. 35)
  • A cura di Luigi Visconti per l’Associazione ‘San Francesco’ di Alessandria, "Gelindo 75, la Divòta Cumédia”. Con prefazione di Umberto Eco, Ugo Boccassi, Alessandria, 1999
  • Roberto Leydi, "Gelindo ritorna: il Natale in Piemonte". Documenti e ricerche di etnologia europea. Con una nota di Umberto Eco, Omega, Torino, 2001
  • A cura dell’Associazione San Francesco” di Alessandria, "Gelindo 80, oggi 80 anni fa". 1924-2004, Alessandria, 2004
  • A cura di Michele Filippo Fontefrancesco, "Gelindo, Una tradizione natalizia tra Alessandria e Monferrato", Associazione Culturale San Giacomo, Lu Monferrato, 2013
  • A cura dell’Associazione San Francesco” di Alessandria, "Gelindo 90", in occasione del novantennio della recita, Alessandria, 2014
  • Vita Giovanile, organo ufficiale dell'Associazione San Francesco (AA.VV)
  1. ^ Canonico Carlo Testone di Casteggio, Il pastore Gelindo… ossia la natività di Gesù Cristo, in tipografia Pria di Casteggio (1922)
  2. ^ Domenico Arnoldi, Vita Giovanile numero speciale per il 50ennio di Gelindo, in Associazione San Francesco di Alessandria, 1970.
  3. ^ In dialetto alessandrino può significare mangione, ovvero con la testa nella greppia, la rastrelliera per il foraggio sopra la mangiatoia (anche in senso figurato), sia stupido, sempliciotto.
  4. ^ siràs in alessandrino o seiràss in dialetto piemontese (da “siero”) significa “ricotta”, formaggio realizzato con siero di latte ovino e vaccino con aggiunta di panna e messo in commercio in sacchetti di garza di forma conica, dei quali assume la forma.
  5. ^ con il contributo di Luca Visconti
  6. ^ la pecora, in dialetto alessandrino
  7. ^ con il contributo di Luisa Visconti
  8. ^ Buna sira Buna sira, me cari siuri! 70° di Gelindo. Le businà. Moraschi G., Panizza L., Pittaluga L., Visconti L. (1994), Associazione San Francesco, Alessandria.
  9. ^ A puro titolo rappresentativo si citano gli interpreti che si sono succeduti dalla nascita sino ad oggi nei panni di Gelindo: Domenico Arnoldi, Pietra Pietro, Eugenio Cellerino, Lorenzo Pittaluga, Lorenzo Panizza, Fabio Bellinaso, Gigi Raiteri e Mauro Caselli.
  10. ^ Mauro Caselli, Libro Gelindo 90, retrocopertina
  11. ^ Aldo Moraschi, Vita Giovanile, numero speciale dedicato al trentennio di Gelindo, Natale 1954
  12. ^ Padre Maurizio Roso (Cartosio, 1927 - Genova 2021), per molti anni fu professore di Storia della Chiesa in diversi noviziati e Seminari diocesani del nord Italia. Studiò anche a Roma, alla Pontificia Università Gregoriana, e fu per dodici anni Ministro Provinciale dei Cappuccini di Alessandria, nonché frate Guardiano in varie comunità.
  13. ^ Organo ufficiale dell'Associazione San Francesco di Alessandria
  14. ^ "La Stampa" del 16 gennaio 2000, articolo Emma Camagna
  15. ^ Palazzo del Quirinale, 21 febbraio 2011- La lingua italiana fattore portante dell’identità nazionale, nell'ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia - Intervento "L’italiano di domani", di Umberto Eco
  16. ^ Ezio Cavalli, storico interprete di Tirsi
  17. ^ Testimonianza di Fabio Bellinaso, storico interprete di Gelindo, nato e cresciuto nell'Associazione San Francesco
  18. ^ Testimonianza di Franco Castelli da “Gelindo, una tradizione natalizia tra Alessandria e Monferrato” - di Michele Filippo Fontefrancesco - novembre 2013
  19. ^ Testimonianza raccolta da Mauro Caselli, al termine dello spettacolo del 25.12.2018
  20. ^ La piccola Anna Visconti
  21. ^ termine con cui vengono definiti i calciatori e la squadra dell'Alessandria calcio, derivante dal colore grigio della storica divisa sociale
  22. ^ Aldo Moraschi, tratto da Vita Giovanile del 1954, in occasione del trentennio di Gelindo