Lo Ius osculi era un antico istituto del diritto romano che consisteva nella facoltà dell'uomo di baciare una propria congiunta, per acclarare se essa avesse bevuto o meno del vino.

Origini e applicazione modifica

Alle donne era interdetto, da una legge regia che lo storico Dionigi di Alicarnasso faceva risalire a Romolo, il consumo del vino. Chi contravveniva a questa regola poteva essere tranquillamente uccisa da un proprio congiunto, senza processo pubblico ma ricorrendo a forme di giustizia sommaria. Vi furono donne che vennero soppresse per inedia, o a bastonate. Si narra che un tale Egnazio Mecennio, con il consenso di Romolo, avesse percosso a morte sua moglie, rea di aver bevuto del vino.

Stabilire se la donna avesse bevuto oppure no non era però facile. I mores romani prevedevano che si potesse condannare a morte anche una donna trovata semplicemente con le chiavi della cantina[1]. Per tutti gli altri casi, però, si doveva far riferimento allo ius osculi, che si concretizzava nell'attribuzione al pater familias e ai parenti e congiunti prossimi della facoltà di saggiare l'alito di una donna per capire se avesse consumato vino.

L'esercizio dello ius osculi è attestato da storici come Plinio,[2] Valerio Massimo, Tertulliano,[2] Arnobio, Aulo Gellio.[2]

Lo ius osculi poneva la donna in una condizione di sottomissione ed inferiorità. Si narra, però, che Agrippina fosse solita invocare questo privilegio maschile, allo scopo di farsi baciare dall'imperatore Claudio.[3]

Secondo altre tesi, risalenti soprattutto al XIX secolo e rappresentate autorevolmente da Johann Jakob Bachofen nel libro Das Mutterrecht (1861), lo ius osculi non sarebbe stato altro che l'ultimo residuo di un'antica società matriarcale esistita a Roma, prima della sua sostituzione con il modello patriarcale che storicamente conosciamo.

Note modifica

  1. ^ Francesca Di Mattia, Federico Zucchelli, Magna Roma. Cibi e bevande di Roma antica, Viterbo, Scipioni Editore, 2003
  2. ^ a b c Eva Cantarella: I supplizi capitali in Grecia e a Roma.Bur. 2000
  3. ^ Svetonio, Claudio, 26, 3

Bibliografia modifica