Jungfernstieg

via della città tedesca di Amburgo

La Jungfernstieg (lett. “salita delle zitelle”) è una celebre via della città tedesca di Amburgo, situata lungo il Binnenalster e nota soprattutto come via alla “moda” e strada per lo shopping.

Amburgo: la Jungfernstieg
Jungfernstieg: l'Hotel Vier Jahreszeiten

Si tratta della prima strada asfaltata nella storia della Germania (correva l'anno 1838).[1]
La via è anche famosa per essere stata il luogo dove trovò la morte, nel 1912, il re danese Federico VIII.[2]

Ubicazione modifica

La Jungfernstieg si trova nel centro di Amburgo, tra il Gänsemarkt e la Piazza del Municipio.

Profilo della zona modifica

La via è caratterizzata da edifici eleganti e vi si trovano alcuni Hotel ed una ottantina fra negozi (negozi d'abbigliamento, profumerie) e locali. [1]

Origini del nome modifica

Il nome della via significa “strada delle vergini” e deriva da un'usanza, ovvero quella per cui un tempo, alla domenica, le donne non sposate della borghesia venivano condotte a passeggio nella zona dalle loro famiglie.[1]

Storia modifica

 
La Jungfernstieg alla fine del XIX secolo

La storia della via inizia nel 1235 con la costruzione in loco di una diga sul fiume Alster e di un mulino ad acqua.[3]

Nel 1842, un violento incendio, passato alla storia come il "grande incendio di Amburgo", distrusse alcuni degli hotel di lusso della via. Altri furono abbattuti tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo in seno ad un'opera di ristrutturazione della zona.[4]

Tra il 2003 e il 2005, si è provveduto a ristrutturare la via, ampliando e ristrutturando la zona pedonale.[4]

Edifici e luoghi d'interesse modifica

 
Jungfernstieg: lo Hamburger-Hof

Tra gli edifici d'interesse lungo la Jungfernstieg, vi sono[5]:

Note modifica

  1. ^ a b c Hamburg.de: Jungfernstieg
  2. ^ cfr. p. es. Altrogge, Gudrun, Hamburg, ADAC Verlag, München, 2005, p. 23
  3. ^ cfr. p. es. Altrogge, Gudrun, op. cit., p. 22;
    Hamburg City Sam: Jungfernstieg
  4. ^ a b cfr. p. es. ib., p. 22
  5. ^ cfr. p. es. Altrogge, Gudrun, op. cit., pp. 22 – 23

Voci correlate modifica

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Collegamenti esterni modifica

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