Lee Byung-chul

fondatore della compagnia Samsung

Lee Byung-chul[4] (Uiryeong, 12 febbraio 1910Seul, 19 novembre 1987) è stato un imprenditore sudcoreano, fondatore di Samsung Group[1][2][3] e miliardario.

Lee Byung-chul negli anni 60 del XX secolo

Secondo Forbes, la sua famiglia era nel 2017 tra le più ricche dell'Asia con un patrimonio di 40,8 miliardi di dollari.[5]

Biografia modifica

Nato nel febbraio 1910 nella contea di Uiryeong, provincia del Gyeongsang Meridionale, Impero coreano, aveva quattro fratelli ed era il figlio più giovane di Lee Chan-woo e Kwon Jae-lim.[6] Nacque in una famiglia di ricchi yangban proprietari terrieri (un ramo del clan Gyeongju Lee),[7] frequentò il liceo alla Joongdong High School di Seul e poi l'università alla Waseda University di Tokyo, ma non completò mai gli studi.[8] Usò l'eredità per aprire una pileria di riso. Non avendo avuto molto successo, fondò un'attività di autotrasporti a Taegu, che il 1º marzo del 1938 chiamò Samsung Trading Co, precursore della Samsung.[8] Samsung significa "Tre Stelle", ("grandezza, forza ed eternità"), il che spiega i loghi aziendali iniziali.

Carriera modifica

 
Lee Byung-chul (a sinistra) e suo figlio Lee Kun-hee (a destra) nel 1950

Nel 1945 la società trasportava merci in tutta la Corea e in altri paesi. L'azienda aveva sede a Seul nel 1947. All'inizio della guerra di Corea nel 1950, era una delle dieci più grandi "società commerciali".[9] Con la conquista di Seul da parte dell'esercito nordcoreano, Lee fu costretto a trasferire la sua attività a Pusan. Il massiccio afflusso di truppe ed equipaggiamenti statunitensi a Busan nel corso del successivo anno e mezzo di guerra si rivelò estremamente vantaggioso per la società commerciale di Lee.[9]

Nel 1961, quando Park Chung Hee prese il potere con il colpo di stato del 16 maggio, Lee era in Giappone e per qualche tempo non fece ritorno in Corea del Sud. Alla fine fu raggiunto un accordo e Lee ritornò, ma la società dovette seguire le direttive economiche del governo di Park.[9] Gli affari crebbero comunque molto rapidamente, tanto che Byung-chul divenne l'uomo più ricco della Corea. Dichiarò sui sindacati: “Finché vivrò, non saranno mai autorizzati".[10]

Si dimise nel 1966. Suo figlio maggiore, Lee Maeng-hee, guidò il gruppo dal 1966 al 1968, poi il suo terzo figlio, Lee Kun-hee, gli subentrò come capo del gruppo dopo la sua morte nel 1987.[11]

Nel 1969, Samsung Electronics Manufacturing (ribattezzata Samsung Electronics) si fuse successivamente con Samsung-Sanyo Electric.[12] Samsung Electronics Manufacturing aveva 45 dipendenti e un fatturato di circa 250.000 dollari nel 1970 e produceva esclusivamente elettronica domestica.[12] Dopo la morte di Lee Kun-hee nel 2020 a 78 anni (aveva avuto un infarto nel 2014 e da allora era in coma),[13] leader divenne il nipote, Lee Jae-yong. In totale, Lee Kun-hee e la sua famiglia possiedono partecipazioni in 18 filiali del gruppo Samsung, di cui il 9,51% in Samsung Life, il 54,39% in Samsung Everland e il 12,97% in Samsung SDS.

Lee Byung-chul morì all'età di 77 anni per un cancro ai polmoni.[14] La sua tomba si trova a Yongin Everland.

Altre iniziative modifica

Federazione delle industrie coreane modifica

Il primo passo della Federazione delle industrie coreane fu istituito nell'agosto del 1961. L'associazione fu fondata Lee Byung-chul. Più tardi Byung-chul fu presidente della Federazione delle industrie coreane.

La Fondazione Samsung modifica

Nel 1965 fondò la Samsung Culture Foundation[15] per promuovere un'ampia gamma di programmi volti ad arricchire la vita culturale coreana.[16]

Collezione d'arte coreana modifica

Dopo la sua morte, la tenuta di Byung-chul (Ho-Am), fu aperta al pubblico per le visite guidate. La sua collezione di arte coreana è considerata una delle più grandi collezioni private del paese e comprende numerosi oggetti d'arte che sono stati designati "Tesori nazionali" dal governo coreano.[17]

Riconoscimenti modifica

Nel 1982 gli fu conferito un dottorato onorario dal Boston College.[18]

Note modifica

  1. ^ (EN) Bang Jung-hyun, Hail the Father of Business, Lee Byung-chul, in The Korea Times, 11 febbraio 2010. URL consultato il 5 maggio 2016 (archiviato dall'url originale il 15 maggio 2016).
  2. ^ (EN) Kun-hee Lee, Business Philosophy of Lee Byung-chull, in The Korea Times, 10 febbraio 2010 (archiviato dall'url originale il 6 luglio 2021).
  3. ^ Andrei Lankov, Lee Byung-chull: founder of Samsung Group, in The Korea Times, 12 ottobre 2011. URL consultato l'11 aprile 2019.
  4. ^ Nell'onomastica coreana il cognome precede il nome. "Lee" è il cognome.
  5. ^ (EN) Family Lee (Byung-chul), in Forbes, 14 novembre 2017. URL consultato il 28 gennaio 2024.
  6. ^ (EN) Samsung founder Hoam risked it all to succeed, su koreajoongangdaily.joins.com, 27 marzo 2016. URL consultato il 30 giugno 2021.
  7. ^ (KO) 이병철씨도 「경이」 [Lee Byung-chul viene anche da Gyeongju Lee], su 중앙일보, 25 settembre 1982. URL consultato il 24 marzo 2023.
  8. ^ a b (EN) Jaeyeon Woo, Memorializing the Company Founder, With Ads, 3-D and Holograms, su WSJ, 22 luglio 2011 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  9. ^ a b c (EN) Watkins, Thaer, The Chaebol of South Korea, su sjsu.edu, 22 luglio 2011 (archiviato dall'url originale il 27 agosto 2011).
  10. ^ (FR) Corée du sud. L’autoritarisme de Samsung condamné, in L'Humanité, 20 dicembre 2019.
  11. ^ (FR) L'empire Samsung à l'heure de la relève, in Le Monde, 19 marzo 2013.
  12. ^ a b (EN) Dongyoup Lee, Samsung Electronics: The Global Inc, LEE Dongyoup, 2006, ISBN 978-89-89664-03-1.
  13. ^ (EN) Lee Kun-hee, in Forbes.
  14. ^ (EN) Lee Byung-chul 77 industrialist of Korea, in New York Times, 20 novembre 1987. URL consultato il 28 gennaio 2024.
  15. ^ (EN) SAMSUNG FOUNDATION OF CULTURE, su samsungfoundation.org. URL consultato il 30 giugno 2021.
  16. ^ (EN) Ho-Am Byung-chull Lee, su hoamfoundation.org. URL consultato il 30 giugno 2021.
  17. ^ (EN) Ho Am Art Museum, su /hoam.samsungfoundation.org (archiviato dall'url originale il 21 agosto 2011).
  18. ^ (KO) Hail the Father of Business, Lee Byung-chul, su Korea IT Times, 8 febbraio 2010. URL consultato il 30 giugno 2021.

Voci correlate modifica

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

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