Lex Caecilia Didia

legge romana del 98 a.C.

La lex Caecilia Didia, o lex Caecilia Didia de modo legum promulgandarum, era una legge fatta dai consoli Quinto Cecilio Metello Nepote e Tito Didio nell'anno 98 a.C.[1] Questa legge aveva due disposizioni: la prima implicava la necessità di un periodo minimo (trinundinum) tra l'approvazione in Senato di una legge e il voto su essa ai comitia; e la seconda prescriveva il divieto di comprendere disposizioni eterogenee (rogatio per saturam) in un'unica proposta di legge. Questa legge fu poi rafforzata dalla lex Iunia Licinia del 62 a.C., una legge ombrello proposta da Lucio Licinio Murena e Decimo Giunio Silano.[2][3][4][5][6][7]

Legge Cecilia Didia
Senato di Roma
TipoLex comitialis
Nome latinoLex Caecilia Didia de modo legum promulgandarum
AutoreQuinto Cecilio Metello Nepote e Tito Didio
Anno98 a.C.
Leggi romane

Disposizioni modifica

La lex Caecilia Didia stabilì come prima disposizione che tra la promulgatio (l'annuncio pubblico della proposta) di una legge e il suo voto nei comitia doveva passare un periodo di tre giorni di mercato (nundinae), altresì chiamato trinundinum:[8] dato che veniva considerato una nundina ogni ottavo giorno, il trinundinum era un periodo che poteva variare da 17 a 24 giorni.[9]

Gli Scholia Bobiensia riassumono così tale disposizione:[10]

(LA)

«Caecilia est autem et Didia, quae iubebant in promulgandis legibus trinundinum tempus observari.»

(IT)

«Fu la legge Cecilia Didia quella che decretò che fosse osservato il periodo di tre giorni di mercato per la promulgazione delle leggi.»

La seconda disposizione della lex Caecilia Didia vietava le leges saturae, leggi "variegate", cioè legislazioni singole che trattavano materie eterogenee, disposizione già presente all'epoca dei Gracchi.[11] Ciò significava che in un unico disegno di legge romano non poteva esserci una raccolta di misure non correlate, quelle che in termini moderni potrebbero essere chiamate "leggi omnibus".[10] Cicerone diede un'interpretazione della legge nella sua Oratio de domo sua ("Discorso riguardante la sua casa") dopo il suo ritorno dall'esilio:

(LA)

«quae est, quaeso, alia vis, quae sententia Caeciliae legis et Didiae nisi haec, ne populo necesse sit in coniunctis rebus compluribus aut id quod nolit accipere aut id quod velit repudiare?»

(IT)

«Quale altra forza, quale altro significato, vorrei sapere, ha la legge Cecilia Didia, se non questo, cioè che il popolo non è obbligato ad accettare ciò che non vuole e lasciare ciò che non vuole, perché svariate cose vengono mescolate l'una con l'altra?»

Non ci volle molto perché la lex Caecilia Didia entrasse in funzione. Più significativamente, nel 91 a.C. il console Lucio Marzio Filippo, in qualità di augure, riuscì a far abrogare le leggi del tribuno Marco Livio Druso il Giovane in quanto contravvenivano alla seconda disposizione della lex Cecilia Didia.[12] Questo atto è spesso visto come uno dei principali fattori che contribuirono allo scoppio della guerra sociale (91-88 a.C.).[13][14][15]

Sfondo politico modifica

La lex Caecilia Didia fu una risposta diretta agli eventi del 100 a.C. e un tentativo di ridurre la frettolosa legislazione approvata nei comitia. In quell'anno, Gaio Mario ottenne il suo sesto mandato come console. Sotto Mario, il tribuno populista Saturnino e il pretore Gaio Servilio Glaucia proposero e approvarono leggi agrarie di chiaro stampo riformista assegnando la terra nella provincia dell'Africa ai veterani di Mario. Tuttavia, la natura radicale di questi progetti di legge e i metodi forzati utilizzati da Saturnino e Glaucia per assicurare il loro passaggio alla fine alienarono loro la fiducia di gran parte del popolo romano e alla fine anche di Mario. Di conseguenza le leggi di Saturnino furono abrogate e fu introdotta la lex Caecilia Didia, il cui obiettivo era frenare l'approvazione di proposte di legge radicali, partendo dal presupposto che il periodo del trinundinum avrebbe dato ai cittadini il tempo di comprendere la proposta di legge o di essere persuasi a votare contro.[16]

Note modifica

  1. ^ (EN) T. Robert S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, a cura di Phillip H. De Lacy, collana Philological Monographs, II, 4ª ed., New York, American Philological Association, 1952.
  2. ^ Marco Tullio Cicerone, Filippiche, V, 8.
  3. ^ Marco Tullio Cicerone, Pro Sextio, 64.
  4. ^ Marco Tullio Cicerone, In Vatinium Testem, 14.
  5. ^ Marco Tullio Cicerone, Epistulae ad Atticum, II, 9, 1.
  6. ^ Marco Tullio Cicerone, Epistulae ad Atticum, IV, 16, 5.
  7. ^ Scholia Bobiensia, 140.
  8. ^ (EN) Adolf Berger, Encyclopedic Dictionary of Roman Law, in Transactions of the American Philosophical Society, vol. 43, n. 2, 1953, p. 333, DOI:10.2307/1005773. URL consultato il 12 giugno 2021.
  9. ^ A. W. Lintott, Trinundinum, in The Classical Quarterly, vol. 15, n. 2, 1965-12, pp. 281-285, DOI:10.1017/s0009838800008958. URL consultato il 12 giugno 2021.
  10. ^ a b (DE) P. Hildebrandt, Scholia In Ciceronis Orationes Bobiensia, Stoccarda, B. G. Teubner, 1971, p. 106.
  11. ^ Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull'attività legislativa dei comizi romani, 1ª ed., Società editrice libraria, 1952, p. 335. URL consultato il 7 mar 2021.
  12. ^ Marco Tullio Cicerone, Oratio de Domo Sua, 41.
  13. ^ Appiano di Alessandria, Storia Romana, Guerre Civili, I, 35-37.
  14. ^ Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo, II, 13-15.
  15. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, 71.
  16. ^ (EN) Frank Frost Abbot, A History and Description of Roman Political Institutions, Boston, Ginn, 1901, p. 100.

Voci correlate modifica