Maxiprocesso alla Nuova Camorra Organizzata

maxiprocesso alla camorra (1985-1987)

Il maxiprocesso alla Nuova Camorra Organizzata (o maxiprocesso di Napoli, maxiprocesso alla camorra[1], oppure "processo del secolo" o "caso Tortora") fu un processo penale che fu celebrato a Napoli contro la Nuova Camorra Organizzata (o NCO) di Raffaele Cutolo tra il 1985 e il 1987 (per il filone principale).[2]

Maxiprocesso alla Nuova Camorra Organizzata
Enzo Tortora il giorno del suo arresto, il 17 giugno 1983.
TribunaleTribunale di Napoli
Delitti

Si distinse per il maxi-blitz del 17 giugno 1983 in cui furono arrestate oltre 800 persone in tutta Italia, oltre ad alcune persone famose della politica e dello spettacolo (tra cui Enzo Tortora)[3][4].

Descrizione modifica

Antefatti modifica

All'inizio degli anni '70 fu fondata una nuova associazione camorristica di tipo verticistico da un criminale proveniente dalla provincia di Napoli, Raffaele Cutolo, ispirata a una società camorristica del XIX secolo (la Bella Società Riformata).

Pur stando già in carcere (il carcere di Poggioreale) e servendosi di sua sorella Rosetta, Cutolo riesce a far crescere la NCO attraverso investimenti oculati, a tangenti imposte e all'attrazione di sempre nuovi affiliati che avevano paura della penetrazione della mafia siciliana in Campania.[5]

A inizio anni '80 la NCO è già molto potente, ma deve scontrarsi con una crescente organizzazione rivale, la Nuova Famiglia, da cui scaturirà una violenta faida tra le due organizzazioni che vedrà la prima indebolirsi irrimediabilmente.[5]

Durante la cruenta faida, diversi criminali iniziano a dissociarsi dalla NCO e a voler collaborare con la giustizia. In particolare si distinguono tre pentiti principali (Giovanni Pandico, Pasquale Barra e Giovanni Melluso), per mezzo delle cui testimonianze si sarebbe proceduto a un grande blitz delle forze dell'ordine di lì a poco. Il Procuratore capo di Napoli, Francesco Cedrangolo, insieme agli investigatori, comunicò che le indagini avevano richiesto la redazione di un rapporto di 3.800 pagine, che la stampa riferì fu subito ribattezzato "la Treccani della camorra" e che contenevano anche riferimenti al caso Cirillo.[6]

Il maxi-blitz (17 giugno 1983) modifica

 
Raffaele Cutolo nel 1986, durante il processo.

Dopo aver raccolto molte testimonianze da parte dei pentiti e aver apparentemente riscontrato la veridicità dei fatti raccontati, gli inquirenti decisero di passare all'azione nella notte del 17 giugno 1983, facendo arrestare 856 persone in oltre 30 province italiane[2][3][6][7].

Il maxi-blitz fece scalpore sia perché si trattava del primo di tale entità (ne sarebbero seguiti altri contro le varie organizzazioni mafiose italiane nel 1984-1985), sia perché furono arrestati anche diversi personaggi pubblici molto noti, tra cui vari politici locali (il sindaco di Sant'Antonio Abate Giuseppe D'Antuono, Salvatore La Marca e altri), amministratori (il presidente dell'Avellino Calcio Antonio Sibilia), criminali (oltre a Cutolo stesso e i suoi uomini, anche Renato Vallanzasca) e uomini dello spettacolo (la cantante Alba Miglioretti, Franco Califano e soprattutto Enzo Tortora, il cui arresto farà partire sin da subito un caso mediatico di grande rilevanza nazionale)[7].

Oltre 10.000 agenti delle forze dell'ordine furono impiegati complessivamente e il paese natale di Cutolo, Ottaviano, fu letteralmente occupato militarmente.[6]

Il processo modifica

Sin da subito apparve chiaro che un processo che avrebbe avuto più di 1000 persone coinvolte (oltre ai 711 imputati, anche avvocati difensori e altre figure giudiziarie) non si sarebbe potuto svolgere in un'aula ordinaria di giustizia, per cui si ordinò di costruire un'aula bunker nel carcere di Poggioreale, simile a quella che si stava costruendo a Palermo.[2]

Dato l'ingente numero di imputati, si decise di dividere il processo in tre tronconi[8][9]: il primo - di 252 imputati - vedeva un ruolo fondamentale nella confessione dei pentiti e includeva alcuni dei personaggi di spicco (tra cui Califano)[10], il secondo troncone - di 196 imputati - pure vedeva un ruolo importante per i pentiti stessi e si riferiva al traffico di droga (Tortora fu inserito in questo gruppo)[11], mentre nel terzo i fatti processuali erano preponderanti rispetto alle testimonianze dei dissociati.[1]

Il 17 luglio 1984 Tortora e molti altri indagati vengono rinviati a giudizio.[12][13]

Primo filone modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Caso Tortora.

Il processo di 1º grado partì il 4 febbraio 1985[9] (per Tortora, messo nel secondo gruppo, il 20 febbraio[10][11]); i tre giudici erano Luigi Sansone, Gherardo Fiore e Orazio Dente Gattola, mentre l'accusa era rappresentata dai p.m. Diego Marmo (protagonista mediatico del processo[14]), Lucio Di Pietro e Felice di Persia. Il 17 settembre 1985 si chiuse il 1° grado (dopo una settimana di camera di consiglio) e Tortora ricevette una delle condanne più dure: fu condannato a dieci anni di carcere e 50 milioni di lire di multa, principalmente per le accuse di altri pentiti. A Franco Califano furono comminati 4 anni e mezzo di carcere. Vi furono 756 anni di carcere comminati a un totale di 137 imputati, più un centinaio di assoluzioni[13]. Il caso di Enzo Tortora (o "caso Tortora") fece molto discutere e aprì un ampio dibattito intellettuale e anche politico.[15]

Il 15 settembre 1986 l'appello si chiude con l'assoluzione di Tortora, di Califano e di molti altri imputati, un centinaio dei quali riconosciuti addirittura come casi di omonimia[2]. Il 5 novembre Cutolo ricevette, invece, un doppio ergastolo per l'omicidio del suo luogotenente Antonino Cuomo e consorte[16], mentre il 16 marzo 1987 viene condannato di nuovo all'ergastolo per l'omicidio di Giuseppe Salvia[17].

Il 13 giugno 1987 la Cassazione confermerà la versione dell'appello e le assoluzioni per la maggior parte degli imputati (tra cui Tortora e Califano).[2]

Altri tronconi modifica

Anche nel secondo troncone le dichiarazioni dei pentiti non furono in buona parte ritenute credibili e le accuse vennero in gran parte smontate.

Gli imputati smistati nel terzo troncone invece, poiché si vedevano messi di fronte a fatti processuali ben precisi e non alle semplici dichiarazioni di pentiti, ammisero quasi tutti le loro responsabilità e ottennero così le attenuanti generiche.[2]

Conseguenze modifica

Il "caso Tortora" dette la spinta propulsiva al referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati: l'80,2 % dei votanti si espresse per l'abrogazione "degli articoli 55, 56 e 74 del codice di procedura civile", che escludevano la responsabilità. Poco tempo dopo, il Parlamento approvò la Legge 13 aprile 1988, n. 117 sul "Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati", nota come «legge Vassalli» (votata da PCI, PSI, DC), il cui disposto faceva ricadere la responsabilità di eventuali errori non sul magistrato, ma sullo Stato, che successivamente poteva rivalersi, in ragione di un terzo di annualità dello stipendio, sullo stesso. La legge Vassalli conteneva anche il divieto di applicazione retroattiva.

Il maxiprocesso fu un colpo mortale per la NCO di Cutolo, che stava già venendo ridimensionata pure dalla faida con la Nuova Famiglia.

A partire dal 1983-1984 esplose il fenomeno del "pentitismo" che consentì di effettuare in appena 2 anni ben 6 maxi-blitz con centinaia di arrestati ciascuno. Il fenomeno del "pentitismo" divenne anch'esso oggetto di dibattito politico.[18]

Nella cultura di massa modifica

Galleria d'immagini modifica

Note modifica

  1. ^ a b "Maxiprocesso alla camorra" [Audio], su Radio Radicale, 7 febbraio 1985. URL consultato il 13 luglio 2023.
  2. ^ a b c d e f Religiosi, camorristi e imprenditori nel «maxi-processo» al mostro cutoliano, su Stylo24, 26 agosto 2018. URL consultato il 12 luglio 2023.
  3. ^ a b L'8 settembre della camorra - arrestato Tortora per droga, in La Stampa, 18 giugno 1983, p. 1.
  4. ^ EVADONO I TRE PENTITI CHE HANNO PERMESSO I BLITZ ANTICAMORRA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 24 aprile 1984. URL consultato il 12 luglio 2023.
  5. ^ a b Gigi Di Fiore e Raffaele Bertoni, Potere camorrista: quattro secoli di Malanapoli, Guida, 1993, pp. 164-174, ISBN 978-88-7188-084-6.
  6. ^ a b c Un blitz da record, 856 in carcere, in La Repubblica, 18 giugno 1983, p. 1.
  7. ^ a b Antonio Bassolino, Retata gigante di camorristi - centinaia di arresti, tra cui esponenti della DC e del PSDI (PDF), in L'Unità, 18 giugno 1983, p. 1.
  8. ^ "Signor camorrista, che processo vuole?", in La Stampa, 25 ottobre 1984, p. 1.
  9. ^ a b Tra quaranta giorni a Napoli maxi processo alla camorra, in La Stampa, 28 dicembre 1984.
  10. ^ a b Processo alla Camorra spa, in La Stampa, 2 febbraio 1985, p. 6.
  11. ^ a b Il venti febbraio precesso a Tortora, in La Stampa, 29 gennaio 1985, p. 6.
  12. ^ Tortora sarà processato insieme a 639 imputati, in La Stampa, 18 luglio 1984, p. 7.
  13. ^ a b LA SENTENZA: 'TORTORA E' UN CAMORRISTA' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 18 settembre 1985. URL consultato il 14 luglio 2023.
  14. ^ maghdi.abia, Enzo Tortora, il ricordo a 27 anni dalla morte, su Giornalettismo, 18 maggio 2015. URL consultato il 14 luglio 2023.
  15. ^ Enzo Biagi, E io difendo Enzo Tortora, in La Repubblica, 4 agosto 1983.
  16. ^ A 'DON RAFFAELE' DOPPIO ERGASTOLO PER DUE DELITTI - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 6 novembre 1986. URL consultato il 14 luglio 2023.
  17. ^ Pasquale Salemme, Giuseppe Salvia: ucciso nella piena consapevolezza di ciò che stava facendo, su Polizia Penitenziaria, 25 febbraio 2021. URL consultato il 14 luglio 2023.
  18. ^ "Questo processo si deve fare", in La Stampa, 1º marzo 1985, p. 18.
    «Perplessi di fronte all'inchiesta del Csm, preoccupati dall'esplodere del pentitismo...»

Bibliografia modifica

  • Potere camorrista (Di Fiore, Bertoni; Guida Editore; 1993)

Voci correlate modifica