Un monatto era un addetto pubblico che nei periodi di epidemia di peste era incaricato dai comuni di trasportare nei lazzaretti i malati o i cadaveri. Di solito i monatti erano persone condannate a morte, carcerati, o persone guarite dal morbo e così immuni da esso.

Il termine indicava inizialmente, nel Settentrione italiano, il becchino,[1] e ne parla diffusamente Alessandro Manzoni ne I promessi sposi (cap. XXXII e seguenti), nella descrizione della peste del 1630. Secondo Ripamonti[2] deriva dal greco monos, ma esistono varie tesi a questo proposito.

I monatti ne "I Promessi Sposi" modifica

Manzoni nel romanzo descrive anche le figure degli apparitori, muniti di campanellini alla cintola o alle caviglie che avvertivano del passaggio dei monatti, e dei commissari incaricati di vigilare su queste attività.

Manzoni sottolinea anche le accuse documentate su comportamenti discutibili o criminali dei monatti (accusati di sciacallaggio sui morti e sui malati o addirittura di diffondere la peste), e li inserisce come personaggi delle vicende di Renzo a Milano quando viene scambiato per untore (ed essi lo salvano dall'inseguimento della folla), o nel celebre episodio della madre di Cecilia. Li "mette all'opera" in particolare quando entrano in casa di don Rodrigo ormai malato, e lo aggrediscono appropriandosi con il Griso dei suoi beni (cap. XXXIII).

«... ma al primo suo grido i monatti avevano preso la rincorsa verso il letto; il più pronto gli è addosso, prima che lui possa far nulla; gli strappa la pistola di mano, la getta lontano, lo butta a giacere e lo tien lì, gridando, con un versaccio di rabbia e insieme di scherno: "ah birbone! contro i monatti! contro i ministri del tribunale! contro quelli che fanno l'opere di misericordia!"»

Il monatto dell'episodio della madre di Cecilia (cap. XXXIV), pur definito inizialmente turpe, mostra invece un atteggiamento difforme a quello dei suoi compagni descritti in precedenza; la solenne diversità dei modi della donna lo induce a un insolito rispetto e a una esitazione involontaria, fino alla finale gentilezza nei confronti del corpo morto di Cecilia.

«Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affaccendò a far un po' di posto sul carro per la morticina»

Note modifica

  1. ^ Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse, ad vocem
  2. ^ Giuseppe Ripamonti, La peste di Milano del 1630, Pirotta 1841.

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