La confraternita sufi della Ni'matullahiyya fu fondata nel XIV secolo da Shāh Niʿmatullāh Nūr al-Dīn b. ʿAbd Allāh Walī (Aleppo, 1330-1 - Māhān, 1430-1), cui talora si aggiunge (in India specialmente) la nisba Kirmānī (del persiano Kerman).
Discendente per linea paterna del settimo Imam ismailita, Ismāʿīl b. Jaʿfar al-Ṣādiq, era figlio di una donna appartenente alla dinastia degli Shabānkāra del Fars.
Fu introdotto al Sufismo dal noto storico e muḥaddith (esperto di ḥadīth) yemenita ʿAbd Allāh al-Yāfiʿī, col quale rimase fino alla morte di questi nel 1367.

Shāh Niʿmatullāh Nūr al-Dīn, nelle sue predicazioni itineranti in Transoxiana, Iran e Afghanistan, raccomandava di praticare la "vera alchimia", ossia l'agricoltura. Affermava anche di essere ispirato dal Profeta Maometto e scrisse numerosi trattati di interpretazione del pensiero del mistico andaluso Muḥyi al-Dīn Ibn ʿArabī.

La sua grande capacità di attirare fedeli e di edificare khanaqāh per i suoi devoti a Shahrisabz e in Transoxiana tra l'elemento turco in via d'islamizzazione, suscitò le sospettose preoccupazioni di Tamerlano, che ne decretò l'espulsione dai suoi domini[1] alla volta del confinante Khorasan.

Nata come ordine sunnita, la Ni'matullahiyya abbracciò lo sciismo con l'avvento dei Safavidi in Iran. Con la nuova dinastia iranica le relazioni furono inizialmente buone, grazie anche a numerose alleanze matrimoniali, ma con Shah 'Abbas I le cose mutarono rapidamente e l'ordine subì una dura repressione. Il centro della confraternita si era comunque stabilito da tempo in India e ritornò in Iran solo sul finire del XVIII secolo, per diventare la corrente sufi tuttora di maggior consenso in Iran].[2]

Tra i maggiori esponenti della Ni'matullahiyya va ricordato Maʿṣūm ʿAlī Shāh Dakkanī (m. 1799), secondo il quale l'autentico delegato (wali) dell'Imam nascosto sarebbe il maestro sufi e non il mujtahid, ossia il giurista esperto nel fornire l'interpretazione autentica del Corano secondo l'orientamento sciita, come sosteneva la corrente cosiddetta uṣūlī.

Note modifica

  1. ^ Jean Aubin, Materiaux pour la biographie de Shâh Niʿmatullâh Wali Kermani, Téhéran, Département d'iranologie de l'Institut franco-iranien, Parigi Adrien-Maisonneuve, 1956, pp. 22-345, Bibliothèque iranien 7, recensione di M. Molè consultabile su Persée ([1]), ipotizza invece che alla base del decreto di espulsione vi fosse la gelosia nei suoi confronti di Amīr Kulāl (m. 1370), il Maestro spirituale di Bahāʾ al-Dīn Naqshband, fondatore della Naqshbandiyya.
  2. ^ Lemma «NIʿMAT-ALLĀHIYYA» (Hamid Algar), su: The Encyclopaedia of Islam.

Bibliografia modifica

Oltre a quanto citato nel testo, si veda anche

  • [2] Archiviato il 9 dicembre 2008 in Internet Archive. "La confrérie Nimatullahiyya en Iran" di Chamia Ganjaoui (Kervan, nn. 4/5, luglio 2006–gennaio 2007, rivista online creata nell'Università di Torino dall'arabista prof. Michele Vallaro).
  • Said Amir Arjomand, "Religious extremism (ghuluww), Sufism and Sunnism in Safavid Iran 1501-1722", in Journal of Asian History, XV (1981), pp. 17-20.

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