Organizzazione militare dei Britanni

Per organizzazione militare dei Britanni si intendono le armi, le tattiche ed i soldati impiegati dai Britanni durante le loro guerre, dal I secolo a.C. al V secolo d.C.

Organizzazione militare dei Britanni
Ricostruzione di un carro da guerra celtico.
Descrizione generale
AttivaI secolo a.C. - V secolo d.C.
NazioneBritanni
Tipoforze armate di fanteria, cavalleria e navali
Comandanti
Degni di notaCassivellauno
Budicca
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Contesto storico modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Celti e Organizzazione militare dei Celti.

Origini: VIII-I secolo a.C. modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Cultura di La Tène.

A partire dall'VIII-VI secolo a.C., gruppi di Celti invasero a più riprese le Isole britanniche, sovrapponendosi ai precedenti abitanti. Tali gruppi provenivano, attraverso La Manica, dalle coste continentali dell'Europa, che i Celti avevano raggiunto dopo aver avviato la loro espansione dall'area della cultura di La Tène discendendo il corso del Reno.[1] A partire dall'odierna Inghilterra meridionale, si espansero rapidamente in tutta la Gran Bretagna e l'Irlanda, anche se nell'attuale Scozia il popolo pre-indoeuropeo dei Pitti conservò la propria individualità.

Britanni e Romani (I secolo a.C. - V secolo d.C.) modifica

 
La conquista romana della Britannia (I secolo d.C.).
  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre romano-celtiche.

Nell'ambito delle guerre per la conquista della Gallia, Gaio Giulio Cesare condusse due rapide incursioni in Britannia, nel 55 e nel 54 a.C., delle quali diede una descrizione nel De bello Gallico[2]

La conquista dell'isola era stata inizialmente nei propositi di Augusto, che fu però distolto da rivolte scoppiate altrove.[3] Emerse allora la figura di Cunobelino dei Catuvellauni il quale, in un quadro di buoni rapporti commerciali con Roma,[4] riuscì a estendere la propria sfera di influenza sulla Britannia sud-orientale fino al Kent, muovendo la residenza da Verulamium (St Albans) a Camulodunum (Colchester), tanto da essere indicato da Svetonio[5] come Britannorum rex.[3][6]

Nonostante i rapporti commerciali, nell'atteggiamento espansivo di Cunobelino poteva essere individuata una componente anti-romana, di cui furono eredi e continuatori due dei suoi tre figli, Carataco e Togodumno. Questa politica non tardò a produrre i suoi effetti: il quadro cambiò infatti quando il re entrò in dissidio con l'altro figlio Adminio che, con la sua inclinazione filo-romana, supplicò Caligola e lo sollecitò a tentare un'invasione della Britannia. Ma l'imponente manovra si perse in un nulla di fatto; anzi, stando a Svetonio e Dione Cassio, l'iniziativa ebbe un epilogo farsesco: i soldati del corpo di spedizione, obbedendo agli ordini dell'imperatore, invece di combattere, dovettero immergersi in mare per raccogliere conchiglie, per costituire il bottino da ricondurre a Roma per gli ornamenta triumphalia.[3][7][8]

I Britanni rimasero indipendenti sino al 43 d.C., quando l'imperatore Claudio organizzò l'invasione dell'isola, affidandola ad Aulo Plauzio. A fornirgli il pretesto, dopo la morte di Cunobelino, fu la pressione politica esercitata dal figlio Carataco sul popolo degli Atrebati britannici, il cui re, il filoromano Verica, fu esautorato da Carataco ed esiliato dal regno, tanto da doversi recare a Roma per chiedere l'intervento di Claudio. Profittando di questa occasione, Roma sbarcò in forze in Britannia e, negli anni dal 43 al 46, le legioni romane ebbero ragione della resistenza dei due figli di Cunobelino, Carataco e Togodumno: il sud-est dell'isola fu conquistato, la capitale della nuova provincia fu stabilita a Camulodunum e Togodumno fu ucciso. A Carataco toccò una sorte più favorevole: rifugiatosi presso il popolo dei Briganti, fu consegnato a Roma dalla regina Cartimandua; ricevuta la grazia dall'imperatore, trascorse il resto dei suoi giorni a Roma.[9]

La legio II Augusta, guidata dal futuro imperatore Vespasiano, fu dispiegata a sud-ovest, impegnata nella conquista di oltre una trentina di hillforts e nella sottomissione di varie tribù della Cornovaglia. L'archeologia della Britannia meridionale ha evidenziato una fase di ripresa, dal precedente declino edilizio, della manutenzione di queste fortezze d'altura, in coincidenza con l'invasione romana intorno alla metà del I secolo. L'evidenza è particolarmente marcata nei siti sud-occidentali (come Maiden Castle, con la sua necropoli di guerra, o South Cadbury), proprio nell'area in cui Vespasiano e la sua Seconda legione dispiegarono la loro metodica conquista.[10] In seguito, nuove spedizioni furono condotte da Publio Ostorio Scapula (47-51) e da Svetonio Paolino (60-61) (che affrontò e vinse la regina degli Iceni, Boudicca).

 
La Rivolta di Budicca, nel 61.

Sappiamo infatti che le nuove acquisizioni della provincia di Britannia furono minacciate nel 61, sotto Nerone, dalla rivolta di Boudicca (o Boadicea), regina degli Iceni: da poco divenuta vedova di Prasutago, già re britannico cliente di Roma, la regina ispirò una vasta sollevazione di tribù britanniche grazie alla quale furono sottratte al controllo di Roma le città di Camulodunum, Verulamium e Londinium (rispettivamente le odierne Colchester, St Albans e Londra). La reazione romana riuscì a soffocare la ribellione nella battaglia della Watling street, dopo la quale Boudica si diede la morte con il veleno.[11]

Roma continuò a premere ad ovest fino al Galles ed a nord fino alla Scozia centrale: nell'80, sotto Domiziano, Agricola conquistò le terre dei Briganti, circumnavigò l'isola e sconfisse i Caledoni di Calgaco nella battaglia del monte Graupius (83 o 84). La necessità di proteggere a nord la provincia fu resa evidente da frequenti ribellioni di tribù delle attuali Scozia e Inghilterra settentrionale: la situazione indusse Adriano, a realizzare due basi militari, a partire dalle quali le truppe romane costruirono e presidiarono il Vallo di Adriano, tra i l'estuario del fiume Tyne e il Solway Firth (122-125).[12]

Un avanzamento del confine di 160 km più a nord, si ebbe sotto Antonino Pio (negli anni 141-144 ca.),[13] con l'erezione di una seconda struttura difensiva, il Vallo Antonino,[12] lungo l'istmo tra il Firth of Forth e il Firth of Clyde: meno imponente ed efficace del precedente, fu mantenuto per una ventina d'anni, dopo i quali i romani si ritirarono nuovamente sul precedente limes di Adriano.

Un nuovo avanzamento vi fu sotto Settimio Severo, le cui campagne britanniche, condotte negli ultimi anni di vita, pur coronate da successi, non furono in grado di ricostituire un limes più settentrionale:[12] infatti, dopo la morte dell'imperatore a York, gli avanzamenti territoriali ottenuti furono abbandonati dal figlio Caracalla.[14] Al di là del limes, nell'attuale Scozia, rimasero sia tribù celtiche, che i Pitti.

Scarso fu invece l'interesse mostrato da Roma per l'Irlanda, una conseguenza dello scarso rilievo politico ed economico attribuito a quell'isola che i romani chiamavano Hibernia.[12] L'imperialismo romano l'aveva infatti appena sfiorata, ai tempi di Agricola, forse con l'ipotetica costituzione di una testa di ponte sulla costa orientale, un'operazione a cui, però, non fu dato mai alcun seguito.[12]

Unità ed organizzazione modifica

I Britanni vivevano in gruppi tribali altamente organizzati, governati da capitribù o capi fazione, secondo Tacito, dilaniati però dalle passioni di parte mentre, in precedenza, avevano prestato obbedienza a dei re.[15]

Erano organizzati in una classe superiore di guerrieri (che, come segno distintivo, si facevano crescere lunghi baffi) ed una classe inferiore di lavoratori, liberi, semiliberi o schiavi. Il più nobile tra i guerrieri, guidava il gruppo dei suoi clienti, che combatteva davanti a lui.[15]

Fanteria modifica

Tacito, nel descrivere la campagna militare del suocero Giulio Agricola, nel nord della Scozia, scrive che il nerbo dell'esercito dei Britanni era la fanteria.[16]

Carri da guerra modifica

E sempre Tacito racconta che, come al tempo di Gaio Giulio Cesare, i Britanni utilizzassero ancora, a differenza delle altre popolazioni celtiche continentali, i carri da guerra.[16]

Flotta modifica

Tattica ed armamento modifica

Armamento modifica

Tacito racconta che i Britanni, come buona parte dei Celti, disponevano di lunghe, anzi enormi spade (v. spade celtiche), piccoli scudi di cuoio ed armi da lancio.[17] Vero è che:

«Le spade dei Britanni erano prive di punta e [considerata la loro notevole lunghezza] non permettevano di incrociare le armi e di combattere in uno spazio ristretto (come i Romani facevano con il gladius hispaniensis).[18]»

Schieramento e combattimento modifica

Sempre Tacito ci descrive lo schieramento ed il combattimento tra 30.000 Britanni ed un numero inferiore di Romani, presso il monte Graupio:

«[...] Le schiere dei Britanni, per far mostra di sé ed incutere terrore [nei Romani], stavano ferme su posizioni più elevate, in modo che la prima schiera si trovava lungo il piano, gli altri invece, scaglionati lungo il pendio, sembrava che si sovrapponessero [dietro ai primi]. Il tratto poi di pianura compreso tra i due eserciti schierati, era pieno dello strepitio e delle corse disordinate dei combattenti [caledoni] sui carri da guerra. [...] Al primo scontro si combatté da lontano, mentre i Britanni con calma e perizia, deviavano i pila romani, grazie alle loro lunghe spade, oppure li evitavano con i loro piccoli scudi di cuoio. Essi poi replicavano ai Romani con una "pioggia di dardi, fino a quando Agricola non diede ordine a quattro coorti ausiliarie di [...] iniziare la battaglia "corpo a corpo" con le spade, [...] dove i Britanni, che avevano piccoli scudi ed enormi spade, non erano in condizione di sostenere un tale assalto[19]»

Tecniche d'assedio modifica

Le loro tecniche d'assedio non erano certo all'altezza di quelle degli invasori romani:

«Nessuna piazzaforte fra quelle costruite da Giulio Agricola, fu espugnata dagli assalti nemici [dei Britanni], o venne abbandonata per una ritirata. Infatti i soldati [romani] erano sostenuti nella loro resistenza da approvvigionamenti, che potevano durare anche un anno. Così in questi castelli l'inverno trascorse tranquillo, sebbene fossero frequenti le sortite nemiche, mentre ciascun fortino riusciva a difendersi da solo, venificando gli assalti dei nemici [...][20]»

Fortificazioni modifica

 
Veduta dell'Hillfort di Maiden Castle, Dorset. Le evidenze archeologiche del rifacimento delle sue mura e del cimitero di guerra sono considerate conseguenze dell'azione della Seconda legione di Vespasiano, durante la conquista della Britannia.

Tra i Britanni si svilupparono le fortificazioni collinari (Hillforts), poste su un terreno elevato, circondate da una profonda trincea, con la terra di riporto ammassata in banchi. L'area era circondata anche da una palizzata. Questa configurazione facilitava la difesa dagli assalti. Con il passare del tempo queste fortificazioni divennero sempre più ampie e ospitarono insediamenti permanenti e centri di commercio. Ne troviamo numerosi esempi ancora oggi dall'Inghilterra occidentale e sud-occidentale, fino alla Scozia settentrionale.

Cesare racconta che nel 54 a.C., dopo una serie di scontri non decisivi, deciso a portare a termine la guerra, venuto a sapere che poco lontano da lui si trovava una piazzaforte nemica proseguì la marcia, ed assediato l'oppidum nemico, lo conquistò trovandovi una grande quantità di bestiame e facendo strage di molti dei suoi abitanti.[21]

Imboscate modifica

Cesare racconta che, sbarcato da pochi giorni in Britannia, si era addentrato nei territori circostanti. I Britanni, che si erano nascosti, decisero di attaccare l'accampamento romano all'improvviso, gettandosi fuori dei boschi e sorprendendo i legionari intenti alla costruzione delle fortificazioni.

«[...] e quando Cesare mandò in aiuto due coorti, le prime di due legioni, e queste ebbero preso posizione in formazione serrata, mentre i nostri erano sconcertati dall'insolita tattica di combattimento, quelli, con grande audacia, sfondarono le linee passando nel mezzo e di là si ritirarono incolumi. Quel giorno cadde il Tribuno militare Quinto Laberio Duro. I nemici vennero respinti grazie all'invio di parecchie coorti. Poiché il combattimento si era svolto davanti all'accampamento, sotto gli occhi di tutti, era stato possibile rendersi conto che i nostri, appesantiti dall'armamento, erano poco adatti ad affrontare un avversario del genere, perché non potevano inseguire i nemici quando si ritiravano e non osavano allontanarsi dalle insegne; la cavalleria, poi, si trovava, negli scontri, in una posizione molto pericolosa, perché gli avversari adottavano per lo più la tattica di ritirarsi e, quando avevano attirato i nostri abbastanza lontano dalle legioni, smontavano dai carri da guerra e, a piedi, ingaggiavano una lotta impari. La tattica della battaglia equestre prevede invece per l'inseguitore e per l'inseguito un rischio pari e della stessa entità. Si aggiunga inoltre che i Britanni non combattevano mai in formazione, ma a piccoli gruppi e molto distanziati, e avevano delle postazioni distribuite in luoghi diversi dove si avvicendavano continuamente sostituendo le truppe affaticate con elementi freschi e riposati[22]»

Tacito racconta quasi 140 anni dopo Cesare, che i Britanni arrivavano ad attaccare gli accampamenti romani anche durante la notte, senza alcun timore per le tenebre:

«I nemici [i Britanni] seppero ciò [che i Romani si erano accampati la sera precedente] e subito cambiarono strategia: durante la notte si gettarono tutti insieme sulla nona legione che era la più debole; complici il sonno e lo spavento, uccisero le sentinelle e irruppero negli accampamenti[23]»

Combattimento con i carri modifica

Questa la descrizione che ne fa Cesare, nel racconto della sua spedizione in Britannia del 55 a.C.:

«I Britanni combattono in questo modo dai carri. Inizialmente corrono intorno da ogni parte e lanciano dardi. In genere scompigliano le file dei nemici solo con il terrore che incutono i loro cavalli e il rumore delle ruote. Quando si sono spinti tra gli squadroni di cavalleria, saltano giù dai carri e combattono a piedi. Intanto gli aurighi, piano piano, escono dal combattimento e sistemano i carri in posizione tale che i combattenti, se vengono sospinti dalla massa del nemico, trovino un sicuro rifugio presso di loro. Così nei combattimenti esibiscono la mobilità dei cavalieri e la stabilità della fanteria. E tutto ciò lo fanno grazie ad una pratica quotidiana ed il continuo esercizio: portano i cavalli al galoppo su terreni ripidi e scoscesi, in brevi spazi li frenano e voltano, corrono lungo il timone del carro, stanno in piedi sul giogo e da lì ritornano velocemente nel carro[24]»

Strategia modifica

Tacito informa che, al suo tempo, poiché erano governati da capi-fazione e non più da re, erano dilaniati da passioni di parte[15] e, in questo modo, diedero vantaggi insperati ai Romani invasori nella conquista dei loro territori, poiché:

«[...] non riescono mai a prendere decisioni comuni. Molto rara è la coalizione di due o più tribù al fine di affrontare un comune pericolo: combattono separatamente e tutti insieme vengono sconfitti[25]»

«Se i Britanni si fossero contati avrebbero scoperto quanto esiguo era il numero dei soldati sbarcati! Così le Germanie avevano scosso il loro giogo[26]; e a difenderle non c'era l'Oceano, ma un fiume[27]»

Dimensione dei loro eserciti modifica

Note modifica

  1. ^ Francisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa, p. 444.
  2. ^ Cesare, De bello Gallico, IV, 20-35; V, 1, 8-23. La testimonianza cesariana è inoltre integrata da quelle di Dione Cassio (Storia romana, XXXIX, 50-53) e di Floro (Epitome della Storia romana, I, 45).
  3. ^ a b c Demandt, p. 96.
  4. ^ Evidenza di questa acculturazione per contiguità commerciale si trova nell'aspetto romanizzante della monetazione catuvellauna di Cunobelin e di suo padre Tasciovano, di quella dei Trinovanti sotto il dominio di Epaticco, con assorbimento di temi iconografici spiccatamente mediterranei come il raro Apollo liricine, quasi certamente ripreso dall'analogo Mercurio con lira dei denarii della monetazione romana (cfr. Lloyd and Jennifer Laing, The Art of the Celts, p. 124-125 e J.V.S. Megaw, La musica celtica, in S. Moscati et al., I Celti, 1991).
  5. ^ Svetonio, Vite dei dodici Cesari - Caligola,IV.44.2 ((LA) su LacusCurtius).
  6. ^ Ian Mathieson Stead, I popoli belgi del Tamigi, in S. Moscati et al., I Celti, 1991.
  7. ^ Svetonio, Vite dei dodici Cesari - Caligola, IV, 46.
  8. ^ Dione Cassio, Storia romana, LIX, 25.2.
  9. ^ Tacito, Annali, XII, 33-38; Dione Cassio, Storia romana, LXI, 33, 3c.
  10. ^ Barry Cunliffe, Gli Hillforts, in S. Moscati et al., I Celti, 1991.
  11. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae 14-16, 15; Annali 14:29-39; Cassio Dione Cocceiano, Storia romana LXII, 1-12; Floro, Epitome della Storia romana 1.38; Svetonio, Vita di Nerone, 18, 39-40; Kevin K. Carroll, "The Date of Boudicca's Revolt", Britannia 10, 1979; Sheppard Frere, Britannia: A History of Roman Britain, 1987, p. 73.
  12. ^ a b c d e Demandt, p. 97.
  13. ^ Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXXI, 16; Historia Augusta, Vita di Antonino Pio, 5.4.
  14. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, III, 14.8-15.2; Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXXVII, 13.1 - 15.2; Historia Augusta, Vita di Settimio Severo, 19.1.
  15. ^ a b c Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae, 12.2.
  16. ^ a b Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae, 12.1.
  17. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae, 36.1.
  18. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae, 36.1.
  19. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae, 35.4 - 36.1.
  20. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae, 22.2-3.
  21. ^ Theodore Ayrault Dodge, Caesar, 1989-1997, p.181-189.
  22. ^ Gaio Giulio Cesare, De bello Gallico, V, 15-16.
  23. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae, 26.1.
  24. ^ Cesare, De Bello Gallico, IV, 33.
  25. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae, 12.3.
  26. ^ Allusione alla battaglia della Selva di Teutoburgo
  27. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae, 15.4.

Bibliografia modifica

Fonti primarie
Fonti storiografiche moderne
  • Alexander Demandt, I Celti, Bologna, Il Mulino, 2003, ISBN 88-15-09306-0.
  • Venceslas Kruta, La grande storia dei Celti. La nascita, l'affermazione e la decadenza, Roma, Newton & Compton, 2004, ISBN 88-8289-851-2.
  • Venceslas Kruta, Les Celtes. Histoire et dictionnaire, Éditions Robert Laffont, Parigi, 2000.
  • (EN) Allen S, Celtic warrior: 300 BC-AD 100, Osprey Publishing, 2001.
  • (EN) Wilcox P, Rome's enemies 2: Gallic and British Celts, Osprey Publishing, 1985.

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