Palazzo delle Poste (Trento)

edificio di Trento

Il Palazzo delle Poste di Trento in piazza Alessandro Vittoria, è stato progettato da Angiolo Mazzoni nel 1929 e inaugurato nel 1934[1]. Mazzoni lo definì «non un palazzo ma un insieme di costruzioni fra loro unite»[2].

Palazzo delle Poste
Palazzo delle Poste di Trento Angolo tra Via Calepina e Via Roccabruna
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneTrentino-Alto Adige
LocalitàTrento
IndirizzoPiazza Alessandro Vittoria, 1
Coordinate46°04′01.01″N 11°07′25.45″E / 46.066947°N 11.123736°E46.066947; 11.123736
Informazioni generali
Condizioniin uso
Costruzione1929-1934
Inaugurazione1934
Stilefuturista
Usoufficio postale
Realizzazione
ArchitettoAngiolo Mazzoni

Storia modifica

L'edificio, in stile futurista, fu eretto nell'area prima occupata dal rinascimentale Palazzo a Prato, ex zuccherificio, distrutto da un incendio il 13 dicembre 1845, e sostituito poi da un palazzo postale, in stile Impero, ad opera di Friedrich Setz. Nella struttura furono inglobate alcune parti dei precedenti edifici[3], tra queste il portale del 1512, alcune arcate del portico colonnato del cortile ed una trifora con capitelli ionici. Sopravvisse inoltre il prestigioso caminetto modanato, trasferito poi presso Castel Thun, in Val di Non[1]. All'interno furono realizzate opere da Fortunato Depero, Enrico Prampolini, Tato, Luigi Bonazza, Gino Pancheri, Stefano Zuech, Alcide Ticò.

«Anche questa come le altre opere dell'architetto Mazzoni è basata su una concezione sana e attraente della modernità anche di stile, che può affermarsi italiana perché rifugge sia dalla troppa rigida linearità di forma che dal bieco eclettismo del tempo passato per portare la nota robusta e gentile assieme della rinata anima della Nazione.[4]»

Il palazzo delle Poste risultò subito estraneo alla tradizione locale ed alla situazione architettonica creata dagli edifici vicini, come ad esempio il monumentale palazzo Sardagna o da quelli che si affacciano su piazza Vittoria. Nacque la leggenda che a Roma s'erano confusi, e avevano mandato a Trento un progetto destinato a Bengasi. Un'altra fonte narra di uno scambio di cartelle negli schedari tra Trento e Tripoli, che per ordinamento alfabetico avrebbero dovuto essere affiancate[5].

 
Il palazzo delle poste (negli anni 1930-1940), come si presenta ora, dopo la demolizione del vecchio edificio in stile asburgico.

Nelle fasi di costruzione sarebbe emerso un disaccordo tra Angiolo Mazzoni e Fortunato Depero. In seguito «quella che può apparire una piena convergenza d'intenti e che l'ormai anziano architetto tenderà ad accreditare come tale, è in realtà il frutto delle pressioni di Depero, il quale – originariamente escluso – ottiene l'incarico dopo aver interpellato Maraini e fatto intervenire in suo favore Marinetti presso il ministro Ciano»[6].

 
Il palazzo postale, in stile asburgico, com'era prima della sua ricostruzione durante l'epoca fascista.

Descrizione modifica

Per la costruzione furono utilizzati materiali di provenienza locale quali il porfido ocra di Predazzo (cassetta da lettere), il marmo giallo di Mori (gradini dello scalone) e il calcare bianco di Pila (lesene diamantate esterne). La facciata esterna, inoltre, era originariamente trattata con intonaco blu cobalto: «nella Trento redenta dal primo conflitto mondiale, gli intonaci esterni color azzurro sabaudo risultarono più forti di ogni tricolore»[7].

L'edificio è strutturato su due piani. Al piano terra vi sono i servizi in denaro, quelli postali, le corrispondenze, la sala scrittura e la sala del dopolavoro. Al secondo piano il caveau, il servizio telegrafi e gli uffici amministrativi. Pare che il Mazzoni si preoccupasse molto dei dettagli, tanto da disegnare lui stesso l'arredo e la disposizione degli oggetti (layouting) negli ambienti dei primi progetti come ad es. i tavoli e gli espositori[8].

 
Il portale di Palazzo a Prato, del XVI secolo, unica parte rimasta dell'edificio, visibile sul retro del Palazzo delle Poste.

Luigi Bonazza dipinse l'affresco «Il ricevimento dei tre cardinali nel Palazzo a Prato ai tempi del Concilio»[9]; Gino Pancheri[10] ha realizzato "I boscaioli e i vignaioli" al secondo piano sopra lo scalone. Fortunato Depero e Tato realizzarono, a separazione della sala del dopolavoro con il cortile, le sei vetrate policrome (“Le macchine”, “Le arti” ed “Il tempo fascista” di Depero, “La marcia della gioventù”, “Le comunicazioni aeree” e “La rivoluzione” di Tato) andate poi perdute[11]; non è chiara la causa della rimozione: secondo Bocchi e Oradini è da rinvenire nei bombardamenti anglosassoni del 1943[12]; secondo, invece, il Passamani sarebbero state danneggiate dall'alluvione del 1966 e «finite a colpi di piccone»[13], ad avvalorare questa ultima ipotesi c'è una comunicazione del 19 gennaio 1968 dal sovrintendente Rasmo a proposito dei lavori in corso che prescrive che "le vetrate che chiudono le arcate dello stesso cortile siano sostituite con vetri incolori, senza disegno"[14]. Tato dipinse, inoltre, un quadro, raffigurante un treno in movimento. Enrico Prampolini realizzò tre piccole vetrate policrome (“Il risparmio”, “Il telegrafo” e “Le comunicazioni”), tuttora visibili lungo il corridoio che conduce ai locali del secondo piano «dando ad ognuno delle composizioni un’assoluta modernità di pensiero, una veloce immediatezza di linea ed una sinfonia di colori, così concordanti, da forme vivissime, personali e suggestive creazioni»[11]. Lo scultore Stefano Zuech creò un San Cristoforo visibile in una nicchia nel lato sud del palazzo e un San Vigilio, ora in p.zza D'Arogno nei pressi del Duomo (Drio del Dom).[3] Alcide Ticò ha eseguito lo stemma della famiglia a Prato nel cortile, tuttora visibile nei pressi della copisteria[15]. A Trento Angiolo Mazzoni in seguito progettò anche la stazione ferroviaria[16].

Nel 2008 il Palazzo delle Poste ha ospitato la Biennale Europea di Arte Contemporanea Manifesta 7 dove l'artista Tom Holert ha realizzato una serie di soggetti scenografici che «evidenziano la relazione tra architettura, politica e interiorità»[17].

Note modifica

  1. ^ a b Renato Bocchi, Palazzo delle Poste, in Trento - Interpretazione della città, Arti Grafiche Saturnia s.a.s., 1989, pp. 197-198, ISBN 88-85013-47-3.
  2. ^ “Note al progetto per il palazzo delle poste di Trento”, Mart Rovereto 29B fascicolo 2A.
  3. ^ a b Massimo Martignoni, Palazzo delle Poste (1929-1934), in Architetture di Trento (1900-1940), Trento, Edizioni Arca, giugno 1990, pp. 103-106.
  4. ^ Brennero, 17 febbraio 1933, p. 3
  5. ^ Gian Maria Tabarelli, Appunti di storia dell'architettura trentina, Trento, Editrice Temi, dicembre 1997, p. 253.
  6. ^ A. Pasetti Medin, Il restauro e la decorazione nell'intervento di Mazzoni al palazzo delle Poste di Trento, in F. Dal Cò (a cura di), Angiolo Mazzoni (1894-1979) Architetto ingegnere del Ministero delle Comunicazioni, Rovereto, Skira, 2003, pp. 227-235.
  7. ^ manifesta7, su manifesta7.it.
  8. ^ Koenig G.K., Due note sul design di A. Mazzoni, in “Angiolo Mazzoni 1894-1979: architetto nell’Italia tra le due guerre”, Grafis, Casalecchio di Reno (BO), 1984, pp. 14-24, p. 24.
  9. ^ Caterina Vagliani, Nonsolomostre: Luigi Bonazza, su Sapere.it, De Agostini. URL consultato il 23 novembre 2008.
  10. ^ Riccardo Turrina, Pancheri: il Mart presenta il grande Catalogo ragionato dell'artista, su trentinocultura.net, l'Adige (riportato da Trentino Cultura), 6 dicembre 2005. URL consultato il 23 novembre 2008 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  11. ^ a b Stoffella C.G., Il nuovo palazzo delle Poste, in “Studi trentini”, 2, 1934, pp. 177-178.
  12. ^ Bocchi R., Oradini C., Immagine e struttura della città. Materiali per la storia urbana di Trento, Bari, Laterza, 1983, p. 80.
  13. ^ Passamani B., Fortunato Depero, Comune di Rovereto, Rovereto, 1981, pp. 165-166.
  14. ^ Archivio storico, Palazzo delle Poste, busta 241.
  15. ^ Opere d'arte, “Studi trentini”, 2, 1933, p. 181.
  16. ^ Massimo Martignoni, Stazione. 1934-1936., in Architetture di Trento. 1900-1940, Trento, Edizioni Arca, giugno 1990, p. 121.
  17. ^ Manifesta, 7. Rovereto-Trento-Bolzano-Fortezza, 2008, pp. 141-146, p. 145.

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