Quando eu stava in le tu' cathene

Quando eu stava in le tu' cathene è una canzone d'amore tradizionalmente datata tra il 1180 e il 1220 composta da un autore anonimo.[1] Un'interpretazione recente di studiosi dell'Università di Pisa la ricolloca invece alla primavera del 1226, epoca in cui Federico II e la sua corte si trovarono bloccati a Ravenna mentre si dirigevano verso Cremona per tenervi una dieta.[2]

Ubicata sul verso della Pergamena 11518 ter, l'opera è considerata tra i testi poetici più antichi della letteratura italiana.[3] Scoperta nel 1938 e poi divulgata al grande pubblico dallo studioso Alfredo Stussi nel 1999, la pergamena oggi è conservata presso l'Archivio Storico Arcivescovile di Ravenna.[1]

Testo Originale modifica

      Quando eu stava in le tu’ cathene,

      oi Amore, me fisti demandare

      s’eu volesse sufirir le pene

      ou le tu’ rechiçe abandunare,

5        k’ènno grand’e de sperança plene,

      cun ver dire, sempre voln’andare.

      Non [r]espus’a vui di[ritamen]te

      k’eu fithança non avea niente

      de vinire ad unu cun la çente

10      a cui far fistinança non plasea.

      Null’om non cunsillo de penare

      contra quel ke plas’al so signore,

      ma sempre dire et atalentare,

      como fece Tulio, cun colore.

15      Fùçere firir et increvare

      quel ki l’è disgrathu, surt’enore:

      qui çò fa non pò splaser altrui,

      su’ bontathe sempre cresse plui,

      çogo, risu sempre passce lui,

20      tute l’ure serv[e] curtisia.

      Eu so quel ke multo sustenea

      fin ke deu non plaque cunsilare;

      dì né notte, crethu, non durmia,

      c’ongni tempu era ’n començare. / sì m’av[e]a p[o]sto in guattare.

25      Co’ ’n me braçe aver la crethea,

      alor era puru l’[abra]çare;

      mo son eu condutto in parathisu,

      fra [su’] braçe retignuthu presu,

      de regnare sempre su confisu

30      cun quella k’eu per la [av]er muria.

      Feceme madonna gran paura

      quando del tornar me cons[e]llava

      [dicen]te: «De ro[m]or no ve cura».

      [Se ratta] la gente aplan[ea]va

35      [..aviande que]the [s]ententi[e] l’ura,

      ka s’ella cun gran voce c[ri]thava

      quando ’lu povol multu se riavesse,

      contra ’l parlathor se rengrochiss[e]

      de[l] mal dir se [da] ella custothisse,

40      si fa[r]ò eu per la plana via.

      D[e quî tuti] k’[ài], [Amo]re, tego,

      teve prego, non me smentegare,

      [ka sol vitha vale c’]abi sego

      o ria morte [tore]e supor[t]are.

45      [.......] de av[e]r mego,

      ne cun lei fi’ s[a]ço co[n]tr’andare

      [s’a]l [messer]l[odase] non so cui.

      Fals’è l’amor ke n’eguala dui

      [et] eu [so] ko[sì servent’]a vui,

50      como fe’ Parise tuttavia.[1]

Quando eu stava in le tu' cathene
Altri titoliQuando stavo nelle tue catene
Autoresconosciuto
Periodo1180-1220
Generecanzone d'amore
Lingua originaleitaliano (volgare umbro)

Parafrasi modifica

Quando stavo nelle tue catene, o Amore, mi facesti chiedere se volessi soffrire le pene oppure rinunciare alle tue ricchezze, che sono grandi e, a dire il vero, vogliono essere (sono) sempre piene di speranza. Non risposi a voi subito perché non mi fidavo a unirmi alla donna gentile cui non piaceva far presto. Non consiglio a nessuno di opporsi a ciò che piace al suo signore, bensì di parlare in modo da rendersi gradito, come Cicerone, con abbellimenti retorici. Evitar di ferire e di rimproverare chi è sgradito procura onore: chi fa questo non dispiacerà a nessuno, il suo merito cresce sempre di più, gioco e riso lo nutrono sempre, in ogni momento segue le norme della cortesia. Io sono quello che molto sopportavo finché a dio non piacque di aiutarmi; giorno e notte, credo, non dormivo perché in ogni istante ero sempre all’inizio (e tanto m’ero posto a vigilare). Come credevo di averla tra le braccia, allora il mio abbraccio era puro; ora io sono portato in paradiso, tenuto prigioniero tra le sue braccia, sono sicuro di vivere per sempre con colei per cui, per averla, sarei disposto a morire. Madonna mi fece molta paura quando mi consigliava di tornare, dicendo “Non curatevi delle maldicenze”. Tosto la donna gentile si rabboniva, ricevendone allora parole mansuete, perché se lei chiedeva a gran voce, qualora la gente avesse molto da dire, che se la prendessero con la mala lingua, che venisse creduta contro ai maldicenti, così farò io con grande naturalezza. Di tutti coloro che hai con te, Amore, ti prego, non mi dimenticare, perché vale soltanto la vita che posso avere con lei, oppure sopportare una brutta morte. [.......] di avere con me, e non sarà cosa saggia mettersi in contrasto con lei, se lodasse messer non so chi (qualcun altro). Difettoso è l’amore che non rende uguali due (persone che si amano), e io sono così al servizio vostro in ogni momento, come fece Paride (con Venere, e poi con Elena).[1]

Analisi del testo modifica

Dal punto di vista metrico, la canzone è formata da cinque stanze di dieci decasillabi, per un totale di cinquanta versi. Inoltre, presenta elementi metrici che saranno poi fondamentali nella produzione rimica italiana successiva. Tra le tipologie impiegate nella canzone prevalgono il settenario e l'endecasillabo: quest'ultimo si affermerà come il verso principale della poesia italiana. Dal punto di vista tematico, è evidente la connessione con la lirica provenzale, dalla quale la canzone si ispira e cambia i modelli, i concetti e il lessico. È chiaro dunque, che "Quando eu stava" tratta del tema d'amore. Quella delle catene, infatti, è un'immagine molto ricorrente nel lessico della produzione amorosa. Nella seconda stanza è più evidente la connessione con la lirica provenzale, in particolar modo per la rappresentazione della donna come midons, ovvero "mio signore". Il rapporto donna-amante, infatti, ricalca quello feudale tra signore e vassallo. La donna, dunque, è superiore e padrona del poeta.

Note modifica

  1. ^ a b c d Quando eu stava in le tu¿ cathene | Treccani, il portale del sapere, su www.treccani.it. URL consultato il 28 agosto 2021.
  2. ^ Ricostruita la circostanza storica legata alla più antica lirica italiana, su unipi.it, Università di Pisa, 22 febbraio 2023. URL consultato il 22 febbraio 2023.
  3. ^ La più antica canzone in volgare - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 28 agosto 2021.

Bibliografia modifica

  • Antologia della poesia italiana. Duecento a c. di Cesare Segre e Carlo Ossola, Einaudi, Torino, 1999
  • Alfredo Stussi, Versi d'amore in volgare tra la fine del secolo XII e l'inizio del XIII, "Cultura neolatina" LIX, 1-2 (1999), pp. 1-69
  • Vittorio Formentin, Poesia italiana delle origini, Carocci editore, Roma, 2007

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