Rupicapra rupicapra cartusiana

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Il camoscio della Chartreuse (Rupicapra rupicapra cartusiana (Couturier, 1938)) è una sottospecie di camoscio diffusa nelle Prealpi della Chartreuse.

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Camoscio della Chartreuse
Rupicapra rupicapra cartusiana
Stato di conservazione
Vulnerabile[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
SuperphylumDeuterostomia
PhylumChordata
SubphylumVertebrata
InfraphylumGnathostomata
SuperclasseTetrapoda
ClasseMammalia
SottoclasseTheria
InfraclasseEutheria
SuperordineLaurasiatheria
(clade)Ungulata
OrdineArtiodactyla
SottordineRuminantia
InfraordinePecora
FamigliaBovidae
SottofamigliaCaprinae
GenereRupicapra
SpecieR. rupicapra
SottospecieR. r. cartusiana
Nomenclatura trinomiale
Rupicapra rupicapra cartusiana
Couturier, 1938

Descrizione modifica

Di colore quasi nero durante i mesi invernali e più chiaro nei mesi estivi. Ha caratteristiche intermedie tra il camoscio alpino e quello dei Pirenei (Rupicapra pyrenaica). Le dimensioni sono di circa 90 cm di altezza al garrese per circa 30 kg di peso e nei maschi adulti, mentre le corna raggiungono una lunghezza di 27 cm.[2]

Biologia modifica

Di abitudini diurne le femmine adulte e i giovani formano piccoli gruppi di 5-30 individui, mentre i maschi adulti conducono una vita solitaria. Questo camoscio abita principalmente zone boscose durante l'inverno e durante l'estate si spinge a maggiori altitudini. È predato principalmente da linci, lupi e volpi.[2]

Distribuzione modifica

Il camoscio della Chartreuse è riscontrabile esclusivamente nelle Prealpi della Chartreuse in Francia tra i 600 e i 2000 m di altitudine.[2]

Conservazione modifica

L'IUCN considera la sottospecie come vulnerabile, in quanto dispone di un areale molto ridotto e la popolazione di non più di 2000 individui affronta il rischio di ibridarsi con camosci alpini introdotti nella zona.[1]

Note modifica

  1. ^ a b (EN) Aulagnier, S., Giannatos, G. & Herrero, J., Rupicapra rupicapra cartusiana, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ a b c José R. Castelló, Bovids of the World, Princeton University Press, 2016, p. 416-417, ISBN 978-0691167176.

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