Scudo di Enea

scudo descritto nell'Eneide

Lo scudo di Enea è una delle armi possedute dall'eroe della mitologia greca e romana, protagonista dell'Eneide di Virgilio.

Nel dipinto di Gérard de Lairesse, Venere offre le armi a Enea (XVII secolo; Anversa, Museo Mayer van den Bergh), tra le quali risalta lo scudo finemente decorato.

Storia modifica

Mentre Enea si trova nella città del re arcade Evandro, la madre Venere si reca da Vulcano convincendolo a creare delle armi per il figlio. Enea, che aveva raggiunto Tarconte dietro consiglio di Evandro, viene raggiunto dalla madre, descritta come «splendente tra gli eterei nembi»;[1] quella, dopo averlo abbracciato, consegna al figlio le armi perché possa sfidare in battaglia i Laurenti e Turno. Enea ammira l'elmo, la spada e la corazza, poi gli schinieri e la lancia, fino a soffermarsi sullo scudo. Vulcano gli incide sopra momenti della storia romana cronologicamente posposti alle vicende narrate nell'Eneide, mostrando doti profetiche.

Descrizione modifica

Le immagini incise sullo scudo mostrano, attraverso la tecnica dell'ekphrasis, momenti della storia romana, da Romolo fino al trionfo di Augusto; tale descrizione occupa i versi 626-731 del libro VIII dell'Eneide. Lo scudo riporta la celebre immagine della lupa con i gemelli, il ratto delle Sabine e il supplizio di Mezio Fufezio; seguono la cacciata di Tarquinio il Superbo, lo scontro con Porsenna, rapidi accenni agli episodi di Orazio Coclite dell'eroina Clelia, della Rupe Tarpea e dei Galli disturbati dalle oche del Campidoglio. Le matrone romane assistono al corteo sacro dei sacerdoti Luperci, Salii e Flamini. Segue un importante salto temporale, con la visione del Tartaro con Catilina spaventato dalle Furie e i Campi Elisi con Catone che legifera tra le anime giuste. Al centro, tra una cornice di delfini d'argento che guizzano in un mare dorato, è raffigurata la battaglia navale di Azio, che vede scontrarsi non solo Augusto e Agrippa contro Antonio e Cleopatra, ma anche gli dei greci contro gli dei egizi, con Anubis e il Nilo che accoglie i vinti. Ultima scena è il trionfo finale di Ottaviano Augusto a Roma, che assiste in trono al corteo dei popoli sottomessi e dedica le spoglie dei vinti nei templi.

Rapporto con Omero modifica

La descrizione dello scudo di Enea è chiaramente mutuata da quella dello Scudo di Achille, contenuta nell'Iliade di Omero; Virgilio si discosta dall'esempio greco per il soggetto di cui si occupa, una visione futura (ovviamente a posteriori) dell'intera storia di Roma, legando i trionfi del contemporaneo imperatore Augusto al mito dell'eroe Enea, di cui è effigiata «tutta la discendenza futura dal sangue di Ascanio».[2]

Note modifica

  1. ^ «Aetherios inter candida nimbos», nella traduzione di Luca Canali.
  2. ^ «Genus omne futurae stirpis ab Ascanio», nella traduzione di Luca Canali.

Voci correlate modifica