Giani Stuparich: differenze tra le versioni

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I primi anni dopo il ritorno dal fronte vedono la necessità, da parte dello scrittore, di chiudere i conti con il suo doloroso passato e di placare così il suo senso di colpa per la morte del fratello: ecco quindi che le prime opere sono dedicate proprio a loro, con la pubblicazione degli ''Scritti letterari e critici'' di Slataper e di ''Cose e ombre di uno'' di Carlo prima, e con la stesura della monografia ''Scipio Slataper'' (uscita nel 1922 sui «Quaderni della Voce») e dei tanto sofferti ''Colloqui con mio fratello'' (pubblicati nel 1925) poi. Del 1929 sono invece, per le stampe dei [[Fratelli Buratti Editori|Fratelli Buratti]], i ''Racconti'', pubblicazione resa possibile anche grazie all’intermediazione dell’amico [[Eugenio Montale|Montale]], che ne farà una recensione sulla rivista ''[[Solaria]]''.
 
Durante gli anni del [[Fascismo]], il triestino ripiega su se stesso chiudendosi nel proprio isolamento, incapace di accettare l’ideologia propugnata dal partito e quell’inconcepibile fanatismo della guerra che [[Benito Mussolini|Mussolini]] andava professando, contagiando soprattutto i giovani e quella generazione che non era partita per il fronte. Le opere che escono in questi anni sono attraversate da un chiaro antifascismo. In contrapposizione alla violenza bellica esaltata dal Fascismo come atto eroico, Stuparich si trova a ripercorrere quei dolorosi anni in trincea, raccontandone la tragica verità. Attingendo all’esperienza di vent’anni prima, l’autore cerca di mostrare ai giovani infervorati dal desiderio di sangue e di potenza cosa effettivamente il conflitto abbia significato per coloro che lo avevano vissuto sulla propria pelle. Come un monito, la Grande Guerra torna quindi sulle pagine di ''Guerra del ’15'' e, qualche anno più tardi, di ''Ritorneranno''.
 
La pubblicazione nel 1938 delle [[Leggi razziali fasciste|leggi razziali]] rende il clima insopportabile per l’autore, figlio e marito di ebree, il quale lascia l’insegnamento nell'autunno del 1942, venendo affidato alla Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie di Trieste. La situazione peggiora drasticamente l'8 settembre 1943, con il proclama di armistizio letto in radio da [[Pietro Badoglio]] e con la conseguente occupazione della città di Trieste da parte delle truppe tedesche. In questo clima di tensione e di paura, la notte del 25 agosto 1944 il letterato viene svegliato da un capitano delle S.S. che lo conduce, insieme alla moglie Elody e alla madre Gisella (l’adorata sorella Bianca era morta a novembre dell’anno precedente), alla [[Risiera di San Sabba]], adibita dai nazisti a campo di deportazione e di sterminio; sarà l’intervento del vescovo di Trieste, [[Antonio Santin]], e del prefetto di Trieste, [[Bruno Coceani]], a porre fine a quei sofferti sette giorni di prigionia.