Stelutis alpinis

canto popolare alpino

Stelutis alpinis è un brano corale della tradizione friulana, composto da Arturo Zardini.

Stelutis alpinis
Stelutis alpinis
Artistavari
Autore/iArturo Zardini
GenereCanzone popolare
Data1918

«I ragazzi di Fiume si erano raccolti intorno a loro, e stavano ora ad ascoltarli attenti. "E io canto, canto, canto", cantava il Nini, "ma non so il perchè -e io canto solamente- che per consolarmi me...".
E poi la grande villotta, la villotta tradizionale del Friuli:
"Se ti vens cassù tas cretis
là che lor mi han soterat..."»

Arturo Zardini

Descrizione modifica

Composto a Firenze quando era sfollato, causa l'occupazione tedesca della natia Pontebba e del Friuli, presso la locanda "Al Porcellino" e lì eseguita per la prima volta da un improvvisato coro di pontebbani profughi, accompagnati al pianoforte dalla signora Pia Borletti in Nassimbeni. Prima esecuzione a Udine il 5 dicembre 1920 nella sala del palazzo Bartolini (oggi biblioteca comunale) da parte della Società Corale di Pontebba diretta dall'autore.[1]

Il testo si richiama alla villotta friulana, in versi ottonari; la forma musicale mostra due parti superiori (tenori primi e secondi) che procedono per moto parallelo e una o due parti inferiori (bassi e baritoni) "contrappuntano" sui gradi fondamentali della scala, in questo caso di Re maggiore.

Il testo, pur non facendo riferimenti espliciti a scritti religiosi o liturgici, è sovente cantato durante le celebrazioni liturgiche a cui partecipano i militari di montagna.

Nel 1975 il regista Pier Paolo Pasolini usò il brano per la scena finale del suo ultimo film Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Interpretazioni modifica

Il brano è stato eseguito da note formazioni come i Philippines Madrigal Singers di Manila o il coro Tone Tomsic di Lubiana. Numerosi anche i compositori che hanno tenuto in considerazione la melodia del brano per una rivisitazione, come Antonio Pedrotti per il coro della SAT, Mario Lanaro, Lamberto Pietropoli. Fra chi ha tratto ispirazione dal brano vi è anche il cantautore Francesco De Gregori, che l'ha tradotto in lingua italiana arrangiandolo per voce singola nell'album Prendere e lasciare.

L'interpretazione del brano è "sottovoce", con crescendo per l'enfatizzazione di alcune parole. Una forma di madrigale moderna che narra di un alpino morto nella grande guerra, il quale si rivolge alla propria sposa, ricordandole che lui, come la stella alpina, le saranno sempre accanto.

Testo modifica

(FUR)

«Se tu vens ca su ta' cretis,
là che lôr mi àn soterât,
al è un splaz plen di stelutis:
dal gno sanc 'l è stât bagnât.

Par segnâl une crosute
je sculpide lì tal cret:
fra chês stelis nas l'arbute,
sot di lôr jo duâr cuièt.

Cjol sù, cjol une stelute:
je a ricuart dal nestri ben,
tu i darâs 'ne bussadute,
e po platile tal sen.

Cuant che a cjase tu sês sole
e di cûr tu preis par me,
il gno spirt atôr ti svole:
jo e la stele o sin cun te.»

(IT)

«Se tu vieni quassù tra le rocce,
laddove mi hanno sepolto,
c'è uno spiazzo pieno di stelle alpine:
dal mio sangue è stato bagnato.

Come segno una piccola croce
è scolpita lì nella roccia:
fra quelle stelle nasce l'erbetta,
sotto di loro io dormo sereno

Cogli cogli una piccola stella:
a ricordo del nostro amore.
Dalle un bacio,
e poi nascondila in seno.

Quando a casa tu sei sola
e di cuore preghi per me
il mio spirito ti aleggia intorno
io e la stella siamo con te.»

Note modifica

  1. ^ G. Rui, M. Faleschini, Turo Zardini, Tavagnacco Ud, ed Arti Grafiche Friulane, 2003.

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