Strage di Peteano

Atto terroristico commesso il 31 maggio 1972

La strage di Peteano è un atto terroristico di matrice politica di estrema destra commesso il 31 maggio 1972 in località Peteano, una frazione di Sagrado (Gorizia) che provocò la morte di tre carabinieri (il brigadiere Antonio Ferraro, i carabinieri Donato Poveromo e Franco Dongiovanni) e il ferimento di altri due (il tenente Angelo Tagliari e il brigadiere Giuseppe Zazzaro).

Strage di Peteano
attentato
L'autobomba dopo l'esplosione
TipoAutobomba
Data31 maggio 1972
LuogoPeteano, fraz. di Sagrado
StatoBandiera dell'Italia Italia
ObiettivoForze dell'ordine
ResponsabiliIvano Boccaccio
Carlo Cicuttini
Vincenzo Vinciguerra
Giorgio Almirante
MotivazioneTerrorismo neofascista
Conseguenze
Morti3
Feriti2
Il brigadiere Antonio Ferraro

I cinque militari vennero attirati a controllare un'automobile sospetta che si rivelò essere un'autobomba che esplose quando si tentò di aprire lo sportello a cui il suo innesco era collegato.

I responsabili dell'attentato furono Vincenzo Vinciguerra (reo confesso), Carlo Cicuttini e Ivano Boccaccio, aderenti al gruppo eversivo neofascista Ordine Nuovo[1]; finirono sotto inchiesta anche esponenti delle forze armate e delle forze dell'ordine per i tentativi di depistaggio dell'indagine tramite apertura di filoni d'inchiesta, poi rivelatisi inconsistenti, nei confronti di organizzazioni e gruppi di sinistra ed estrema sinistra. Lo stesso segretario del Movimento Sociale, Giorgio Almirante, fu accusato di aver favorito la fuga e la latitanza in Spagna di uno dei responsabili dell'attentato, Carlo Cicuttini, che fu condannato all'ergastolo in contumacia. Cicuttini iniziò a scontare la pena nel 1998, ma per motivi di salute fu scarcerato e morì nel 2010, mentre Vinciguerra sconta l'ergastolo.

Storia modifica

Il periodo in cui si svolse questo fatto di sangue si collocava in un preciso e delicato contesto storico-politico: il 7 maggio 1972 si erano svolte le elezioni politiche anticipate, che avevano assegnato la guida del paese a un nuovo esecutivo presieduto da Giulio Andreotti, mentre il 17 maggio si era verificato l'omicidio Calabresi. Il dibattito politico era ancora turbolento, ed era accompagnato da temuti tentativi di colpo di Stato, in quella che fu definita strategia della tensione. Diversi, prima di quello di Peteano, furono gli attentati terroristici e le stragi di matrice fascista, in concomitanza alle tensioni legate ai gruppi della sinistra extraparlamentare che avevano intrapreso la lotta armata, v'era un clima di tensione e preoccupazione all'interno dei partiti politici e del governo, un primo passo verso quella che è stata in seguito definita «teoria degli opposti estremismi».

La notte del 31 maggio, alle ore 22:35, una telefonata anonima giunse al centralino del pronto intervento della Stazione dei Carabinieri di Gorizia: a riceverla e a registrarla fu il centralinista di turno Domenico La Malfa. Il testo della comunicazione in lingua dialettale è il seguente[2]:

 
Il carabiniere Donato Poveromo

«Pronto? Senta, vorrei dirle che c'è una machina con due buchi sul parabrezza nella strada da Poggio Terza Armata a Savogna... la xè una 500...»

Sul posto segnalato giunsero tre gazzelle dei carabinieri, che rinvennero la Fiat 500 bianca con i due buchi sul parabrezza, così come aveva comunicato in dialetto l'anonimo informatore. La prima pattuglia che viene inviata è quella dei carabinieri di Gradisca, con l'appuntato Mango e il carabiniere Dongiovanni. Dieci minuti dopo i due sono sul posto e trovano la Cinquecento targata GO 45902. È visibile in un viottolo di terra battuta, subito dopo una curva, al chilometro 5. Mango decide di chiamare il suo ufficiale, il tenente Tagliari, che parte anche lui accompagnato dal brigadiere Antonio Ferraro e dal carabiniere Donato Poveromo e arrivano sul posto con una seconda gazzella alle 23:05, poi raggiunta da una terza pattuglia da Gorizia[3].

I carabinieri Antonio Ferraro, Donato Poveromo e Franco Dongiovanni tentarono di aprire il cofano del mezzo, provocando l'esplosione dell'auto e rimanendo uccisi, mentre gli altri due rimasero gravemente feriti.

Le indagini e i processi modifica

Le prime indagini modifica

A dirigere le indagini sulla vicenda venne posto il colonnello Dino Mingarelli, vecchio braccio destro del generale Giovanni de Lorenzo. Mingarelli diresse subito la sua inchiesta verso gli ambienti di Lotta Continua di Trento, ma le indagini non ottennero gli esiti previsti: dalla magistratura milanese giunse l'informazione secondo cui l'attentato sarebbe stato attuato da un gruppo terrorista neofascista, di cui fece parte anche Ivano Boccaccio, militante ucciso in un tentato dirottamento di un aereo all'aeroporto di Ronchi dei Legionari nell'ottobre successivo eseguito con lo scopo di chiedere la liberazione del terrorista Franco Freda[4].

 
Il carabiniere Franco Dongiovanni

L'informazione era stata data da Giovanni Ventura, nel frattempo arrestato per la strage di piazza Fontana: il colonnello tuttavia scartò l'indicazione milanese, in quanto un ordine del SID lo invitò a sospendere le indagini sul gruppo terrorista di estrema destra.[senza fonte] Il colonnello, con il suo «braccio destro» capitano Antonino Chirico, rivolse le attenzioni investigative verso sei giovani, conducendoli a processo: secondo il Mingarelli essi si sarebbero vendicati di alcuni sgarbi subiti dai carabinieri.

Il movente proposto non convinse i giudici, che assolsero i sei giovani, i quali, una volta liberi, denunciarono Mingarelli per le false accuse, dando inizio a una nuova inchiesta contro ufficiali dei carabinieri e magistrati per aver deviato le indagini. L'istruttoria della strage, intanto, si era indirizzata verso gli ambienti neofascisti[2].

Nuove indagini e i processi modifica

In seguito alle nuove indagini sulla Strage di Peteano condotte dal giudice istruttore veneziano Felice Casson (dalle quali prese il via anche quella su Gladio)[4], il terrorista neofascista Vincenzo Vinciguerra – reo confesso per la strage – rivelò nel 1984 come il segretario del MSI Giorgio Almirante avesse fatto pervenire la somma di 35 000 dollari a Carlo Cicuttini, dirigente del MSI friulano e coautore della strage, affinché modificasse la sua voce durante la sua latitanza in Spagna mediante un apposito intervento alle corde vocali[5][6][7]: tale intervento si rendeva necessario poiché Cicuttini, oltre ad aver collocato materialmente la bomba assieme a Vinciguerra, si era reso autore della telefonata che aveva attirato in trappola i carabinieri e la sua voce era stata identificata mediante successivo confronto con la registrazione di un comizio del MSI da lui tenuto[6].

Nel giugno del 1986, a seguito dell'emersione dei documenti che provavano il passaggio del denaro tramite una banca di Lugano, il Banco di Bilbao e il Banco Atlantico[6], Giorgio Almirante e l'avvocato goriziano Eno Pascoli vennero rinviati a giudizio per il reato di favoreggiamento aggravato verso i due terroristi neofascisti[8].

Furono rinviate a giudizio 18 persone, tra militanti di destra e ufficiali dei carabinieri, mentre il magistrato triestino Bruno Pascoli morì durante il processo[9]. In base a successivi riscontri, Casson portò avanti la tesi giudiziaria secondo la quale l’esplosivo utilizzato per la strage sarebbe stato prelevato dal Nasco di Aurisina, ossia un deposito di armi clandestino distante pochi chilometri da Peteano, che si scoprì appartenere a Gladio[4]; tesi non condivisa dal giudice Guido Salvini (titolare delle nuove indagini sulla strage di Piazza Fontana), secondo il quale non vi erano prove certe che l’esplosivo utilizzato a Peteano provenisse dal Nasco di Aurisina[10].

Vinciguerra e Cicuttini vennero condannati all'ergastolo; altri militanti locali sono stati condannati a pene tra i 4 e i 6 anni (Gaetano Vinciguerra, Giancarlo Flaugnacco e Cesare Benito Turco). Eno Pascoli è stato condannato a 3 anni e 9 mesi, la moglie Liliana De Giovanni a 11 mesi, mentre Almirante usufruì dell'amnistia prima dell'inizio del processo[6][9][11]. Gli ufficiali ritenuti colpevoli di depistaggio (Antonio Chirico, Dino Mingarelli, Giuseppe Napoli e Michele Santoro) furono condannati a pene comprese tra i 3 e i 10 anni e 6 mesi[9].

La sentenza d'appello confermò solo l'ergastolo di Carlo Cicuttini (Vinciguerra non aveva fatto ricorso) assolvendo tutti gli altri imputati[12] ma la Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, annullò con rinvio le assoluzioni di Chirico, Mingarelli e Napoli, confermando invece le altre decisioni[13].

Nel nuovo processo fu accertato il depistaggio dei tre ufficiali, condannati a 3 anni e 1 mese (Giuseppe Napoli) e a 3 anni e 10 mesi (Antonio Chirico e Dino Mingarelli)[14], condanne diventate definitive nel 1992[15].

Nell'ultima inchiesta è stato accertato anche il depistaggio compiuto dal perito balistico Marco Morin (un tempo consulente di fiducia della Procura della Repubblica di Venezia) e da altri tre Ufficiali dei Carabinieri, i colonnelli Manlio Del Gaudio, Renzo Monico e Manlio Rocco (questi ultimi due in forza al SISMI), accusati di peculato e falsa testimonianza[16].

Cicuttini, fuggito in Spagna, venne catturato a ventisei anni dalla strage, nell'aprile del 1998, quando fu vittima egli stesso di una trappola: la procura di Venezia gli fece offrire un lavoro a Tolosa dove, recatosi convinto di intraprendere le trattative contrattuali, venne arrestato dalla polizia ed estradato dalla Francia in Italia dove morì nel 2010 a causa di un male incurabile. Attualmente Vincenzo Vinciguerra sta scontando una condanna all'ergastolo in qualità di reo confesso della strage[1].

Dopo il processo modifica

Con una direttiva del 22 aprile 2014, tutti i fascicoli relativi a questa strage non sono più coperti dal segreto di Stato e sono perciò liberamente consultabili da tutti[17].

Note modifica

  1. ^ a b Sandro Provvisionato, I tre anni che sconvolsero l'Italia, in Corriere della Sera, 16 novembre 2009. URL consultato il 10 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 25 gennaio 2011).
  2. ^ a b Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, Roma, Nuova Eri, 1992.
  3. ^ Alessandro Minisini, Peteano: quarant'anni dalla strage, in Udinetoday.it, 31 maggio 2012. URL consultato il 2 giugno 2012 (archiviato il 21 marzo 2013).
  4. ^ a b c Roberto Bianchin e Giorgio Cecchetti, Peteano, strage coperta per nascondere Gladio, in la Repubblica, 12 aprile 1991. URL consultato il 28 febbraio 2023.
  5. ^ Giorgio Cecchetti, Neofascista confessa 'Organizzai la strage', in la Repubblica, 30 settembre 1984. URL consultato l'8 dicembre 2008 (archiviato il 14 luglio 2014).
  6. ^ a b c d Gian Antonio Stella, Strage di Peteano, la grazia sfiorata, in Corriere della Sera, 10 febbraio 2005. URL consultato l'11 marzo 2009 (archiviato dall'url originale il 7 giugno 2006).
  7. ^ Carlo Cicuttini, in Archivio '900. URL consultato il 27 febbraio 2009 (archiviato dall'url originale il 13 febbraio 2019).
  8. ^ Strage di Peteano anche Almirante rinviato a giudizio, in la Repubblica, 28 giugno 1986. URL consultato il 27 febbraio 2009 (archiviato il 4 settembre 2017).
  9. ^ a b c Giorgio Cecchetti, Per la strage di Peteano condannati due alti ufficiali, in la Repubblica, 26 luglio 1987. URL consultato il 20 novembre 2015 (archiviato il 13 febbraio 2019).
  10. ^ Giacomo Pacini, Le altre Gladio, Einaudi, Torino, 2014
  11. ^ Intitolare una strada a Giorgio Almirante?, in la Repubblica, Ed. Parma, 9 giugno 2008. URL consultato il 20 febbraio 2011 (archiviato il 21 giugno 2012).
  12. ^ Giorgio Cecchetti, Peteano, un'altra strage impunita, in la Repubblica, 6 aprile 1989. URL consultato il 20 novembre 2015 (archiviato il 4 marzo 2016).
  13. ^ Giorgio Cecchetti, Peteano, si rifà il processo agli ufficiali dei carabinieri, in la Repubblica, 31 gennaio 1990. URL consultato il 24 settembre 2015 (archiviato il 5 marzo 2016).
  14. ^ Giorgio Cecchetti, Peteano, l'inchiesta fu deviata, in la Repubblica, 7 maggio 1991. URL consultato il 20 novembre 2015 (archiviato il 4 marzo 2016).
  15. ^ Giorgio Cecchetti, La Cassazione su Peteano 'I generali depistarono', in la Repubblica, 22 maggio 1992. URL consultato il 20 novembre 2015 (archiviato il 5 marzo 2016).
  16. ^ Giorgio Cecchetti, 'Mentirono sulla strage', in la Repubblica, 29 ottobre 1993. URL consultato il 20 novembre 2015 (archiviato il 4 marzo 2016).
  17. ^ Stragi, Renzi toglie il segreto di Stato: tutta la verità su Ustica, piazza Fontana, Italicus, stazione di Bologna, in Il Messaggero.it, 22 aprile 2014. URL consultato il 22 aprile 2014 (archiviato il 9 marzo 2017).
    «I «fatti sanguinosi» di Ustica, Peteano, treno Italicus, piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna e rapido 904 non sono più coperti dal segreto di Stato.»

Voci correlate modifica

Collegamenti esterni modifica