Utente:Donchi.sina/Angelo Bursi

ANGELO BURSI nome di battaglia "Barba" (Foiano della Chiana 1 giugno 1923Sinalunga 13 ottobre 2010) è stato un partigiano italiano.

Angelo Bursi ai festeggiamenti del 25 Aprile del 2008

Biografia modifica

Figlio di Gesuina Marchi e Luigi Bursi, Angelo visse i suoi anni di infanzia tra Foiano della Chiana e Sinalunga, dove i suoi si trasferirono. Sin da bambino respirò un’aria di particolare avversione al Regime fascista[1], sia durante la sua permanenza a Foiano della Chiana, luogo noto per l’alta resistenza alla penetrazione dell’ideologia mussoliniana sin dai primi anni del ‘900, sia a Sinalunga, che già nel 1927 contava moltissimi avversari del Regime, di ispirazione prevalentemente socialista e comunista, e un numero consistente di abitanti processati dai tribunali militari e politici fascisti. In giovinezza intrattenne rapporti diretti con gli oppositori del Regime, particolarmente presenti sul territorio di Foiano della Chiana come testimoniano i cosiddetti "fatti di Renzino"[2]. Secondo alcune testimonianze, ebbe contatti con un’organizzazione clandestina del partito comunista, che operava attivamente sin dal 1921 nella zona fra Sinalunga, Lucignano e Foiano della Chiana.[3] Fu anche uno sportivo e in gioventù praticò l’atletica leggera, correndo i 5000 metri.[4]


Guerra e 8 Settembre 1943 modifica

Bursi apprese la notizia dell’inizio della guerra proprio in occasione di una gara di atletica a Siena, dove ascoltò in radio la dichiarazione di guerra di Mussolini del maggio del 1940.[5] Con la notizia dell’invasione della Russia da parte della Germania, avvenuta nel 1941 con l’operazione Barbarossa, Angelo, come molti altri, si convinse che la guerra era perduta.[6] L’8 settembre del 1943, giorno dell’armistizio e del contemporaneo sbandamento dell’esercito italiano, Angelo Bursi, all’epoca di stanza a Livorno arruolato in Marina Militare, nel momento di caos generale, senza ordini né direttive dei suoi diretti superiori, decise di prendere la via di casa, convinto che la guerra fosse, oltre che perduta, ormai finita. Nel viaggio di ritorno venne intercettato a Torrenieri da un piccolo gruppo dell’artiglieria italiana che, trovandolo privo di documenti di permesso o congedo, decise di trattenerlo e accusarlo di diserzione. Benché egli abbia tentato di convincere i militari che l’esercito era sbandato e senza più ordini, all’inizio non gli credettero. Condotto alla caserma dei Carabinieri, nonostante questi ultimi fossero maggiormente disposti a credere alle sue parole, non vollero comunque rilasciarlo. Il Brigadiere Comandante si convinse che Angelo aveva ragione solo quando, di lì a poco, sulla vicina ferrovia transitò un treno carico di militari che tornavano a casa, urlando che la guerra era finita. Angelo venne così rilasciato ed il 10 settembre 1943 fu il primo sbandato a ritornare a Sinalunga.[7]


Bursi e "La Teppa" di Licio Nencetti (Gennaio-Pasqua 1944) modifica

Uno dei primi gruppi ad organizzarsi per la lotta di Liberazione in Valdichiana fu quello di Licio Nencetti, un giovanissimo studente di Lucignano di fede comunista, proveniente da una famiglia ostile al Regime fascista.[8] Punto di riferimento politico dei comunisti di Sinalunga era invece un falegname di nome Catoni, il quale aggregava giovani vogliosi di combattere il fascismo e li indirizzava al Necetti e alla sua “Squadra Volante La Teppa”. Sin dall’armistizio, Licio Nencetti aveva cominciato la sua personale lotta partigiana fra Lucignano e Foiano della Chiana. Inizialmente si era limitato ad alcune scritte sui muri e al disturbo delle azioni dei Repubblichini. Dal dicembre 1943, dopo essere stato più volte denunciato per le sue azioni sovversive, decise di darsi definitivamente alla macchia in Casentino, dove iniziò a radunare la sua squadra.[9] Uno dei primissimi ad accorrere nelle file de "La Teppa" fu proprio Bursi. Angelo aveva già militato fra i giovani antifascisti della zona e grazie anche alla segnalazione di Catoni e di Dante Di Diavolino, altro antifascista lucignanese, fu messo in contatto con La Teppa.[10] L’ultima spinta per darsi del tutto alla macchia, nonostante fosse già nascosto da qualche tempo, fu data ad Angelo dal richiamo alla leva per la Repubblica di Salò. Nonostante le minacce alla famiglia, decise di non presentarsi in caserma per arruolarsi. “Se volete presentatevi voi” disse ai suoi familiari “io mi presenterò ma da un’altra parte”. Il giorno dopo partì per il Casentino e si incamminò per la montagna all’inizio del 1944 in compagnia di due cugini[11]. Il viaggio da Sinalunga non fu facile, in treno fino a Pescaiola di Arezzo e poi a piedi fino a Ceciliano e ancora fino ad una frazione di Subbiano, chiamata ancora oggi Ponte a Caliano.[12] Giunto a Ponte a Caliano, una volta arrivato al centro del ponte sull’Arno, Angelo aveva un segnale convenuto per farsi riconoscere dai compagni partigiani, soffiarsi per finta il naso e passare il fazzoletto dalla tasca sinistra a quella destra. Una volta riconosciuto come una persona sicura, il partigiano mandato ad accoglierlo, Mario Angioloni, nome di battaglia Marione, lo portò a Torre a Rocolo, primo quartier generale de La Teppa.[13] I due cugini di Angelo non rimasero con La Teppa se non per una notte e la mattina dopo ritornarono a Sinalunga, probabilmente impressionati dalle dure condizioni di vita di coloro che scelsero di andare a combattere in montagna. Angelo, invece, restò. Sebbene Angelo avesse all’epoca solo 21 anni, era già più grande del capobanda Licio Nencetti e di alcuni suoi commilitoni, sì che la sua barba nera spiccava fra tutti. Fu questo il motivo per cui i partigiani gli diedero come nome di battaglia “Barba”. La prima azione significativa cui Angelo partecipò fu la finta irruzione nell’abitazione di Don Tarquinio Mazzoni, avvenuta all’inizio di marzo del 1944 in località Santo. Benché facesse freddo e nevicasse forte, la Teppa si mosse da Torre a Rocolo per aiutare il prete amico di Licio Nencetti, il quale probabilmente, per colpa di una spia del paese, sarebbe stato a breve visitato dalla Guardia Nazionale Repubblicana, che l’avrebbe accusato di collaborare con i “ribelli”. I ragazzi de La Teppa entrarono nella canonica di Don Tarquinio e, in accordo con lo stesso, misero sottosopra l’intera casa, mentre il prete preparava loro viveri e scarpe da portare via. Verso l’alba rientrarono alla base con la convinzione di aver persuaso i compaesani di Don Tarquinio e gli stessi fascisti che il prete non era affatto ben visto dai ribelli.[14] Immediatamente dopo i fatti del Santo, il 3 marzo 1944 La Teppa si spostò a Salutio per reperire armi. Uno dei problemi più grandi de La Teppa, composta da ragazzi molto giovani e per lo più senza addestramento militare, era soprattutto la mancanza di armi per difendersi e poter contrastare le azioni repubblichine e tedesche. Licio Nencetti provò a recuperarle nella casa di un repubblichino di Salutio, Pietro Tondelli, conosciuto sin dal 1921 per essere uno dei capi del fascismo locale. Arrivati in paese, Licio Nencetti, Angelo e gli altri partigiani furono accolti da un paio di colpi di fucile, che per fortuna non colpirono nessuno. Dopo aver fatto irruzione nella casa del repubblichino quel che ne portarono via, oltre a cibo e beni di sostentamento, fu una pistola a tamburo e un fucile modello 91.[15] L’inverno del 1944 nel Casentino fu un inverno rigidissimo. La vita in montagna fu per La Teppa durissima, con lunghi periodi di fame e freddo. La preoccupazione maggiore di Licio Nencetti era quella di muoversi il più possibile e di puntare più ad azioni dimostrative e di propaganda, che a veri scontri con i nemici nazifascisti. Il suo scopo era quello di reclutare quanti più giovani possibile alla resistenza e alle idee antifasciste, che per lui, come per Angelo e i suoi compagni, erano quelle comuniste. L’impossibilità di muoversi a causa della neve fu motivo di grande frustrazione per la squadra.[16] Proprio per questo, a metà Marzo, Nencetti decise di fare un discorso aperto e franco al suo raggruppamento e quello fu il punto di svolta che restituì vigore alle azioni partigiane La Teppa.[17] Bursi fu in prima linea in tutte le azioni de La Teppa del periodo Marzo- Aprile 1944, azioni volte soprattutto alla propaganda e a colpire i singoli gerarchi della nuova Repubblica di Salò, in modo da fiaccarne lo spirito e accelerare il processo di ribellione delle popolazioni casentinesi. In questo periodo Bursi partecipò a varie operazioni, come l’irruzione a casa di tal Raschi a Pieve di Pontenano[18] e, dopo lo spostamento della base operativa da Torre a Rocolo a San Martino, avvenuto a metà Marzo 1944, anche a casa di Giannino Giannini, fascista di Raggiolo.[19] Lo scopo di queste operazioni era quello di reperire armi e beni di conforto e non venne fatto alcun male ai bersagli delle scorribande. Il 12 marzo 1944 nel paese di Carda, durante un’irruzione presso il negozio di un fascista che di mestiere faceva il bottegaio, e quindi deteneva generi di consumo razionati, la Squadra Volante si trovò ad affrontare per caso due finanzieri che furono prontamente disarmati e mandati via incolumi. Per riconoscenza questi, qualche tempo dopo, fecero pervenire ai partigiani tabacco e sigarette.[20] Con il diminuire della morsa del freddo aumentarono le azioni de La Teppa e Nencetti iniziò a pianificare attacchi più importanti contro i fascisti, due dei quali videro protagonista anche Angelo Bursi. Il 20 marzo 1944, Angelo partecipò all’assalto dell’Albergo Bey che aveva come scopo il sequestro o l’uccisione di un importante gerarca di nome Abbatecola. Si trattò di un assalto ad un comando della Guardia Nazionale Repubblicana che si risolse nel primo grosso conflitto a fuoco che lo coinvolse nella sua militanza partigiana. Lo scontro terminò con la fuga dei partigiani e nella sparatoria venne ucciso un giovane militare fascista di nome Zuccaro, secondo alcune fonti ucciso per errore da un altro fascista, e furono feriti due carabinieri.[21] L’ultimo atto della militanza di Angelo ne La Teppa si svolse proprio nella sua Sinalunga, il 12 Aprile 1944. L’obiettivo era un deposito di vestiario e una mitragliatrice su un treno in sosta nella stazione del paese. Con la complicità di un ferroviere che distolse la pattuglia tedesca di guardia e la condusse al bar, il gruppo di cui faceva parte Angelo, al comando di Licio Nencetti, si avvicinò ai carri ed iniziò le operazioni di scarico delle armi e delle munizioni, oltre che della prima mitragliatrice. L’arrivo di un ufficiale tedesco fece tuttavia tornare la pattuglia sui carri merci e rovinò così il piano de La Teppa. I partigiani si misero subito in fuga, sebbene sul treno fosse rimasto uno di loro, Angiolo Tiezzi detto il Moro, e nonostante fosse stata scaricata una sola mitragliatrice, che non riuscirono a portare via. Una volta fuggiti sentirono una raffica di mitra e pensarono che il Moro fosse stato ucciso. Non fu così e poco tempo dopo la loro fuga anche il Tiezzi si riunì al resto della banda.[22] Con questa azione si concluse la militanza di Angelo ne La Teppa, probabilmente richiamato anche dall’organizzazione comunista clandestina a organizzare la resistenza a Sinalunga.


Aquila Bianca (aprile-luglio 1944) modifica

Nell’Aprile del 1944 a Sinalunga arrivò Giulio Rossi, nome in codice “Cina”, agente segreto dell’esercito inglese e sergente maggiore. Di origini sinalunghesi, amico nella podistica e cugino di Angelo Bursi, fu paracadutato a Marzo nella zona di Macerata, ma quando apprese che la sua casa era stata bombardata e aveva perso fratello e padre, decise di tornare a Sinalunga. Insieme ad Angelo organizzò in poco tempo un gruppo partigiano di 43 uomini, cui venne dato il nome di “Gruppo Patrioti Aquila Bianca”. [23] Lo scopo del gruppo era quello di contrastare la ritirata tedesca, tagliare le vie di rifornimento e naturalmente sabotare l’esercito nazifascista. Appena costituita Aquila Bianca, Angelo e Giulio operarono in maniera diversa dal gruppo della Teppa. Entrambi con un passato militare volsero la loro attenzione alla lotta armata e alla guerra, più che alla propaganda. A metà Aprile tagliarono i fili del telegrafo fra Sinalunga e Bettolle, il 25 Aprile 1944 presso Sentino si scontrarono con una colonna tedesca recuperando armi e uccidendo due soldati nazisti, il 2 giugno 1944 in uno scontro a fuoco con la Guardia Nazionale Repubblicana presso Torrita di Siena, recuperano altre armi. Sempre nella notte del 2 giugno Bursi, al comando di Aquila Bianca, assaltò la caserma dei Carabinieri di Sinalunga e la disarmò. Il maresciallo, portato al sicuro dai partigiani, fu riconsegnato illeso agli alleati dopo la liberazione di Sinalunga, avvenuta con il passaggio del fronte nel luglio del 1944. Quando le truppe del Generale Richard Hull giunsero a Sinalunga, i partigiani comandati da Angelo e Giulio Rossi l’avevano già liberata dalla presenza tedesca e avevano già disarmato i Carabinieri. Fu lo stesso Giulio Rossi ad andare incontro agli alleati e, sedendosi su un loro carro armato, li fece entrare in paese.


Dopo la liberazione di Sinalunga la campagna d'Italia (1944-1945) modifica

Dopo la liberazione di Sinalunga, Angelo Bursi decise di raccogliere l’appello di Togliatti, e si fece promotore di un gruppo di giovani, in totale 18, che da Sinalunga si unirono al nuovo esercito italiano per liberare Milano a fianco degli alleati. Angelo fu reintegrato nella gruppo di combattimento Folgore, perché marinaio, e ritornò nel Battaglione San Marco.[24] Da militare partecipò alla liberazione dell’Italia.


Note modifica

  1. ^ Diari di guerra, DvD patrocinato dall’ANPI e prodotto dal Comune di Sinalunga.
  2. ^ Il 17 aprile 1921 gli abitanti di Foiano della Chiana, nella località Renzino, si opposero con tumulti e rivolte al tentativo di alcune squadre fasciste di irrompere con la forza nei luoghi istituzionali del Comune e dei partiti di opposizione. E. RASPANTI, Ribelli per un ideale, Chianciano Terme, Biblos-Edizioni Aronautiche, 2010, pp. 17 e segg.
  3. ^ Intervista del luglio 2012 di Fabrizio Renzini a Ezio Raspanti, Cavaliere al merito della Repubblica, partigiano combattente, medaglia d’argento al Valor militare, nome di battaglia ”Mascotte”.
  4. ^ Diari di guerra, DvD patrocinato dall’ANPI e prodotto dal Comune di Sinalunga.
  5. ^ Ibidem
  6. ^ Ibidem
  7. ^ Diari di guerra, DvD patrocinato dall’ANPI e prodotto dal Comune di Sinalunga.
  8. ^ E. RASPANTI, Ribelli cit., pp. 10 e segg.
  9. ^ Ivi, pp. 20-40
  10. ^ Del Catoni e del suo ruolo per arruolare Angelo e altri fa menzione sia Diari di guerra, DvD patrocinato dall’ANPI e prodotto dal Comune di Sinalunga, sia Ezio Raspanti in un’intervista registrata nel luglio 2012 da Fabrizio Renzini.
  11. ^ Diari di guerra, DvD patrocinato dall’ANPI e prodotto dal Comune di Sinalunga.
  12. ^ Intervista del luglio 2012 di Fabrizio Renzini a Ezio Raspanti cit.
  13. ^ Ibidem
  14. ^ E. RASPANTI, Ribelli cit., pp. 50-51
  15. ^ Ivi, pp. 51-52
  16. ^ Ivi, pp. 54-55
  17. ^ Ivi, pp. 57-60.
  18. ^ Ivi, p. 60
  19. ^ Ivi, p. 71
  20. ^ Ivi, pp. 69-71
  21. ^ Ivi, pp. 100-103
  22. ^ Diari di guerra, racconto in prima persona di Angelo Bursi.
  23. ^ Ibidem
  24. ^ Ibidem