La figura professionale del notaio nell'Italia del XIII e XIV secolo ha un rilievo decisamente superiore rispetto a quello rivestito in altri paesi europei come la Francia e l'Inghilterra; sebbene l'accesso alla categoria fosse formalmente aperto a tutti, dagli appartenenti alle classi sociali più elevate a quelle più modeste, bisogna tenere presente che in molte città si formarono delle vere proprie dinastie familiari di notai, in cui il mestiere si trasmetteva di padre in figlio.

L'apprendistato modifica

I requisiti in genere richiesti ai giovani aspiranti alla carriera del notaio erano la maggiore età, il possedimento della cittadinanza da un certo numero di anni, il non essere ebreo, chierico e dedito ad attività poco dignitose (come ad esempio l'usura, peraltro largamente praticata), ma soprattutto il trascorrere un periodo di formazione, secondo tempi e modalità che variavano da città a città, per apprendere i rudimenti del mestiere e far pratica nella bottega di un collega più anziano; da ciò che sappiamo, a Pisa erano necessari quattro anni di apprendistato, a Bologna tre e a Genova addirittura cinque.

 
Studenti all'università

Al termine dell'apprendistato il candidato doveva prepararsi a sostenere due esami distinti; il primo, davanti alle autorità pubbliche (rappresentanti delegati del papa, dell'imperatore o dei comuni) detto d'investitura, per ottenere l'autorizzazione formale allo svolgimento della professione, al termine del quale venivano consegnati simbolicamente gli strumenti del mestiere, ossia la penna ed il calamaio. Successivamente l'apprendista doveva presentarsi davanti alla commissione del collegio notarile e una volta superata la prova di ammissione, poteva entrare a far parte della corporazione professionale, iscrivendosi come nuova matricola dietro al pagamento della tassa di iscrizione, normalmente di entità inferiore per chi era parente di un membro già iscritto. A questo punto il notaio poteva scegliere se iniziare ad esercitare per conto proprio oppure alle dipendenze di un notaio titolare di una bottega già avviata, collaborando alla stesura degli atti, sui quali il collega più anziano apponeva la sua semplice sottoscrizione.

La stesura degli atti modifica

Il lavoro del notaio, esattamente come avviene oggi, consisteva prevalentemente nella stesura e nella registrazione di atti ufficiali e pubblici. In una prima fase, il notaio incontrava le parti e prendeva nota delle richieste dei contraenti su dei fogli volanti o dei libretti tascabili e successivamente redigeva l'atto completo, abbreviando solo le formule ripetitive; questo documento era chiamato imbreviatura ed era redatto su un registro autenticato che già di per sé aveva valore giuridico. Una volta datane lettura alle parti, queste potevano scegliere se farlo nuovamente redigere in bella copia, oppure lasciarlo in custodia alla bottega del notaio; questa seconda soluzione era in genere quella prevalente, sia per risparmiare sul compenso dovuto, che per evitare che l'atto potesse andare perduto o danneggiato. Il lavoro del notaio veniva spesso svolto nella sua abitazione, in una stanza adibita all'esercizio della professione, ma alcuni avevano una vera e propria bottega, generalmente ubicata in centro, vicino al palazzo comunale o nei pressi delle chiese principali.

L'attività pubblica notarile modifica

Ciò che davvero appare sorprendente è il numero dei notai iscritti alle corporazioni cittadine tra ‘200-‘300; circa 800 a Bologna nel 1230, addirittura 1183 a Pisa nel periodo compreso tra il 1270 ed il 1320. La concorrenza perciò non consentiva a tutti di ricavare dei compensi sufficienti derivanti dall'attività in proprio, per cui molto spesso i notai cercavano un impiego alle dipendenze delle amministrazioni comunali; del resto, le capacità e le qualità richieste agli apprendisti per essere ammessi nelle corporazioni notarili, li rendevano i collaboratori ideali delle istituzioni, sia per il bisogno oggettivo di disporre di funzionari dediti alle scritture varie, che per il grado di fiducia riposto in questi professionisti. Gli statuti stessi delle corporazioni infatti davano molta importanza agli aspetti deontologici del mestiere; il reato più grave di cui un notaio poteva macchiarsi era il falso, punito in genere con pene molto dure che arrivavano fino al taglio della mano. Nelle città che vivono un'intensa esperienza comunale, le istituzioni pubbliche si rivolgono con sempre maggiore frequenza a questa categoria di professionisti laici per autenticare e legittimare i loro provvedimenti amministrativi, per cui la valenza pubblica delle scritture notarili è d'importanza fondamentale nel processo stesso di evoluzione dei comuni, da cui deriva il crescente potere delle corporazioni notarili all'interno degli organismi governativi cittadini. Il ‘200 è un periodo decisivo perché la progressiva autonomia conquistata dopo la pace di Costanza del 1183, comporta in questo ambito una ridefinizione dei criteri di formazione ed accesso alla professione (il sopraccitato periodo di praticantato e l'ammissione nel collegio) e la stessa cerimonia d'investitura viene conferita dai funzionari cittadini. Con l'inizio della fase podestarile dei comuni, la richiesta di notai aumenta sensibilmente e una delle primarie esigenze della burocrazia comunale è proprio quella di servirsi di chi era in grado di scrivere in latino, che era ancora la lingua ufficiale usata nella documentazione anche di carattere tecnico. L'accesso privilegiato alle istituzioni consente anche ad un certo numero di notai di intraprendere la carriera politica ed in molti vengono ripetutamente eletti nei consigli cittadini, a dimostrazione del grado di potenza raggiunto dalla categoria; considerare però l'attività politica il naturale sbocco di questa professione vista nel suo complesso sarebbe fuorviante; certe cariche come quella di cancelliere o estensore di verbali vennero riservate ad un'èlite che fondava il suo prestigio sull'alto grado di preparazione ed i rapporti personali con il ceto dirigente. In molte città, certe famiglie di notai monopolizzarono per anni queste cariche, ma la stragrande maggioranza dei notai, svolse solo in modo episodico, anche se frequente, un incarico in qualche ufficio pubblico, anche perché il continuo ricambio del personale amministrativo che imponeva una permanenza non superiore ai sei mesi, impedì per tutto il XIII secolo l'identificazione di una singola persona con un ufficio.