Utente:Eliana Genovese/Sandbox

Ecloga V modifica

L'egloga quinta si presenta semplice, poi a tratti si rivela grande. Tratta di due pastori perfetti nell'arte del canto: Menalca e Mopso. Questi non si sfidano, ma s'incontrano, s'invitano, si donano a vicenda i canti, si ammirano a tal punto che Menalca di fronte alla baldanza giovanile, che caratterizza la figura di Mopso, oppone la sua maggiore serietà e la coscienza esatta dei propri limiti. Mopso canta della morte di Dafni, un pastore amato da una ninfa, la quale per gelosia lo accecò; la cecità fu poi la causa della sua morte. Poiché Mopso aveva terminato il canto lasciando Dafni nella tomba, Menalca lo divinizzerà, elevandolo agli dei e cantandone l'apoteosi (vv. 45-52). La deificazione di Dafni riconduce la pace agli uomini, ma soprattutto ai pastori che lo eleggono come protettore e gli attribuiscono l'epiteto di bonus, che è tipico per designare la benevolenza.

Le egloghe quarta e quinta si completano a vicenda in una visione pura e serena della vita e della natura. Infatti, come la divina letizia della natura si riconosce in Dafni e nella sua apoteosi, anche il cursus vitae del prodigioso puer non si svolge mai senza l'accompagnamento e senza l'omaggio della natura. Alcuni sostengono che la figura di Dafni possa ravvisare la persona di Cesare[1]: Dafni costituisce, agli occhi del poeta, il sostrato per esaltare la serena pace della natura: amat bonus otia Daphnis[2]. Qui probabilmente si vuol notare come le due egloghe siano impostate su un motivo antitetico: la nascita del puer nell'una, la morte di Dafni nell'altra. Entrambe le egloghe si propongono, però, la stessa meta: la rappresentazione di uno stato non soltanto di beata innocenza e purezza, ma anche di letizia universale.

Ecloga VI modifica

La VI ecloga è una mirabile poesia sia nell'insieme che nelle parti. Si tratta di una dedica ad Alfeno Varo, il quale desiderava da Virgilio un'epopea che lo onorasse e di conseguenza narrasse le guerre civili. Tutto ciò, più che un racconto autobiografico, può sembrare una recusatio per sfuggire alle insistenze dell'amico Varo[3]. Varo deve ora accontentarsi di questa sostituzione. In verità l'ecloga è per Gallo, ma la pagina porta scritto in cima il nome di Varo: "a Febo non è pagina più cara di quella che ha di Varo il nome in fronte".[4]. Dopo l'ammonimento di Apollo, dio della poesia e della musica, nei confronti di Titiro (Virgilio stesso), segue il canto di Sileno, capo dei satiri, trovato addormentato per il vino bevuto il giorno innanzi da Cromide e Mnasillo insieme alla ninfa naide Egle, che tinge con succo di more la fronte e le tempie di Sileno. Tutta la natura gode del canto di questo vecchio satiro[5].

Con un rapido passaggio, giungono le lodi di Gallo, un'anticipazione della X ecloga. Difatti Sileno racconta come una delle nove Muse abbia condotto Gallo dalle rive del Permesso ai monti della Beozia. Infine il canto viene interrotto dal calar della notte. Molti escogitarono possibili spiegazioni e ragioni di questo canto molteplice sia nei suoi significati sia nel suo svolgimento; tra questi Epicuro, il quale pensò che si trattasse di un compendio della filosofia, naturale e morale; altri ancora hanno pensato a un carme catalogico, quasi epilogo o prontuario di argomenti poetici[6]. Per quanto concerne il passo consacrato a Cornelio Gallo, non è altro che un tributo grande di amore e di onore. Son tutti sinceri questi tratti che Virgilio dona agli amici, senza però essere scevri di encarecimientos poetici e amichevoli.

  1. ^ Cfr. Giuseppe Albini, Il cantor de' bucolici carmi, in Le Bucoliche, testo latino e traduzione in versi italiani di G. Albini, Bologna, Zanichelli, 1944, p. XIV: «solo a sapere che questa poesia è degli anni successivi all'uccisione di Cesare e all'apparizione della stella crinita, e che di più entro quegli anni Virgilio fu a Roma; solo a guardare quale fosse subito e sempre l'atteggiamneto del poeta verso Augusto e l'impero; solo a non lasciarsi sfuggire le somiglianze e rispondenze tra questo carme e i poemi virgiliani venuti dopo, si può ben dire, si deve sentire, che questo Dafni non è più quello dello storico Timeo e del poeta Teocrito»
  2. ^ v. 61.
  3. ^ Enciclopedia Virgiliana, vol. I, p. 562.
  4. ^ Le Bucoliche, p.
  5. ^ Enciclopedia Virgiliana, vol. I, p. 562: "la sua cosmogonia spiega come gli embrioni della terra, dell'aria, dell'acqua e del fuoco si siano amalgamati nell'immenso vuoto".
  6. ^ Cfr. Cfr. Albini, Il cantor de' bucolici carmi, p. XVI.