Utente:Never covered/Reliquiario di Montalto

Reliquiario di Montalto
AutoreManifattura orafa parigina o più specificamente Jean du Vivier (ipotesi attributiva). Per le aggiunte rinacimentali: bottega orafa veneta ovvero (ipotesi minoritaria) il Filarete
Data1378 ca. ovvero 1400 ca.; le aggiunte commissionate da Pietro Barbo si collocano nel sesto decennio del Quattrocento
MaterialeArgento, parzialmente dipinto a tempera, smaltato e dorato; oro smaltato en ronde-bosse; gemme (zaffiri e spinelli); perle; cammeo in sardonice
Dimensioni66,5×43×23 cm
UbicazioneMuseo Sistino Vescovile, Montalto delle Marche

Il Reliquiario di Montalto (o Reliquiario Sistino) è un prezioso manufatto di arte orafa tardomedievale francese, nonché uno dei reperti più significativi pervenutici relativi alla rara tecnica di applicazione dello smalto sul metallo detta en ronde-bosse.

 
Stemma sul Reliquiario di Montalto

Il prezioso reliquiario fu donato, nel 1586, da papa Sisto V alla cittadina marchigiana di Montalto dove questi, nato nella vicina Grottammare, aveva svolto il suo noviziato[1].

In precedenza, presumibilmente a partire dagli anni cinquanta del Quattrocento, l'oggetto era appartenuto al cardinale Pietro Barbo, asceso al soglio come Paolo II. Fu quindi il papa veneziano ad immettere l'opera nelle raccolte pontificie, dalle quali poi fuoriuscì per il dono fattone da Sisto V all'amato borgo piceno.

Non appare una coincidenza la circostanza che gli stemmi dei due papi in questione siano quanto mai simili, dominati entrambi dalla figura di un leone rampante. Paolo II fece infatti apporre il suo stemma sul reliquiario e si pensa che Sisto V scelse per l'omaggio alla sua terra natia proprio questo manufatto in quanto fu molto facile trasformare il precedente stemma del Barbo nel suo. Bastò infatti far incidere sulla banda metallica obliqua sovrapposta allo scudo la stella e i tre monti, simboli araldici, unitamente al leone, del pontefice marchigiano.

Quanto alle vicende del reliquario antecedenti al passaggio nelle mani del Barbo è certo che il precedente possessore del prezioso articolo sia stato Leonello d'Este che lo acquistò da un mercante tedesco nel 1450, come documentato da un inventario dei beni della corte ferrarese redatto nello stesso anno. Altro dato incontroverso è che prima di giungere a Ferrara l'opera fosse di proprietà del conte del Tirolo Federico IV d'Asburgo.

Evidenze tecnico-stilistiche conducono la critica prevalente a collocare l'origine del sontuoso oggetto di arte orafa in Francia e segnatamente a Parigi, ove ebbe origine e diffusione la produzione di magnifiche oreficerie decorate con smalti en ronde-bosse[2].

Una autorevole posizione critica ritiene di trovare una testimonianza scritta relativa all'opera nell'inventario del tesoro del re di Francia Carlo V di Valois, redatto tra il 1379 e il 1380. La stessa fonte riporta che essa era collocata nell'oratorio della cappella palatina del palazzo reale del Louvre. Su questa base il reliquiario è datato dalla medesima voce critica intorno al 1378. La presunta appartenenza al re e la data proposta consentono, sempre secondo questa tesi, di ipotizzare l'identità dell'autore del manufatto che è indicato nell'orafo parigino Jean du Vivier, di cui è noto il rapporto di committenza con la casa regnante. Si suppone inoltre che potrebbe aver dato un contribuito alla realizzazione dell'articolo - fornendo modelli in disegno - anche il pittore Jean d'Orléans.

La tesi in questione però non è da tutti accettata in quanto si osserva che il passo dell'inventario di Carlo V contiene delle discrasie rispetto al reliquiario di Montalto e soprattutto tace sulla presenza dello smalto che invece è la sua caratteristica di maggior evidenza. Questo rilievo inoltre spinge a datare l'oggetto d'arte qualche decennio più avanti, in linea con le più generali acquisizioni circa le tempistiche di sviluppo e perfezionamento della tecnica en ronde-bosse, che collocano le produzioni di maggior pregio e complessità, tra le quali il reliquario di Montalto, intorno al 1400[3].

Chi ritiene che il reliquiario sia appartenuto a Carlo V di Vaolis inoltre ne ipotizza l'approdo in Tirolo tramite Caterina di Borgogna, andata in sposa, nel 1393, a Leopoldo IV d'Asburgo, cioè il fratello del già citato Federico IV. La Casa di Borgogna era infatti un ramo cadetto degli stessi Vaolis ed erano frequenti i doni intra-dinastici tra le due corti.

A sinistra lo stemma del cardinale Barbo e a destra quello di Sisto V

Vi è da aggiungere che l'opera suntuaria così come oggi la vediamo è significativamente diversa da come era in origine. Il cardinale Barbo infatti fece apportare rilevanti interpolazioni all'assemblaggio tardomedievale. Risalgono a questi interventi una bordatura esterna fitomorfa così come l'articolato basamento su cui poggia la lastra istoriata dai rilievi smaltati. L'introduzione di una base peraltro comportò anche un'importante modifica delle modalità di fruizione devozionale dell'oggetto sacro: esso infatti era stato realizzato per essere appeso al soffitto con delle catenelle, quale splendida icona pensile fluttuante nella luce[4].

Sempre gli orafi incaricati dal Barbo - secondo alcuni una bottega veneta, altri hanno proposto il nome del Filarete - apposero al vertice della lastra un'edicoletta, che probabilmente ha preso il posto dell'aggancio al soffitto, al cui interno è inserito un cammeo in sardonice di fattura bizantina, raffigurante Cristo benedicente.

Il rifacimento rinascimentale riguardò anche il retro del manufatto che fu sostituito: oggi reca dei motivi vegetali a sbalzo, mentre in origine riportava incisa la scena evangelica dell'orazione nell'orto.

Infine, il futuro Paolo II, come rilevato, fece inserire in più punti della preziosa oreficeria anche il suo stemma araldico, poi tramutato in quello del papa Peretti[5].

Le reliquie

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Nelle piccole teche a sinistra e a destra della scena con la deposizione nel sepolcro sono riposti un frammento della Croce e reliquie di san Paolo, santo Stefano, san Luca, san Tommaso, san Giovanni Crisostomo, san Maurizio e san Pietro. Nel passo dell'inventario del tesoro di Carlo V (1379-80), che parte della critica riferisce al reliquario Sistino, si menzionano quattro cavalieri intorno al sepolcro che con l'ausilio di redazioni successive dell'elenco dei beni preziosi della corte parigina sono individuabili in Carlo Magno, Luigi IX, san Maurizio e san Giorgio.

In verità, data l'estrema concisione del testo inventariale non è chiaro se si faccia riferimento ai titolari delle reliquie collocate nell'oggetto descritto ovvero se si alluda ad elementi figurativi del manufatto repertoriato. Ovviamente, in questa seconda ipotesi saremmo di fronte ad un'altra incongruenza tra lo scritto e il reliquario di Montalto, ulteriore argomento a supporto di coloro che negano che nell'inventario trecentesco si menzioni quest'opera. Viceversa, se si accetta che i quattro cavalieri siano i santi le cui spoglie erano custodite nel reliquario appartenuto a Carlo V si dovrebbe concludere che in un certo momento le reliquie (eccetto quella di san Maurizio, già annotata[6] nel registro del tesoro reale succitato) siano state sostituite, forse proprio da Sisto V in vista del dono al borgo marchigiano.

Vi è infine da registrare che il già citato inventario estense (1450), fonte, in questo caso, sicuramente riferibile al reliquiario di Montalto, mentre attesta il fatto che ai lati della deposizione gie uno vuodo per tegniere reliquie, tace su quali sacre vestigia esso contenesse[7].

Il registro di Leonello d'Este in ogni caso smentisce l'idea, pur in passato formulata, che a riadattare l'oggetto a reliquario sia stato Sisto V, mentre in precedenza esso avrebbe avuto altra funzione (ad esempio quella di pace). Se poi si accettase la sua individuazione nell'inventario di Carlo V di Valois si dovrebbe senza dubbio concludere che il manufatto è sempre stato un reliquario, posto che questo ulteriore scritto utilizza esplicitamente tale definizione.

Descrizione e stile

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Reliquiario di Montalto, dettaglio della parte tardomedievale senza le superfetazioni successive (eccetto la quattrocentesca cornice fitomorfa lungo il bordo esterno)

Il tema oggetto della decorazione del reliquiario è la Passione di Cristo.

Particolari

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  1. ^ Il breve apostolico emanato in occasione della donazione è datato 28 luglio 1586 ed è conservato nell'archivio comunale di Montalto delle Marche.
  2. ^ La provenienza francese ed in particolare parigina del reliquiario di Montalto è un assunto pressoché unanime a livello critico. La sola tesi che ne ha proposto un'origine differente, segnatamente lombarda, non ha avuto ulteriore seguito.
  3. ^ Renate Eikelmann, Les émaux sur ronde bosse d’or, in Dossier de presse; Exposition Musée du Louvre, hall Napoléon 26 mars –12 juillet 2004 Paris 1400 Les arts sous Charles VI, Parigi 2004, pp. 17-18.
  4. ^ Questa caratteristica del reliquiario, antecedente alla sua manomissione, è chiaramente riportata nell'inventario estense del 1450, ove l'opera è dettagliatamente descritta.
  5. ^ Testimoniano l'interessamento di entrambi questi pontefici al il reliquario anche alcune iscrizioni leggibili su di esso. Sulla parte frontale, tra il basamento rinacimentale e la cornice originaria, vi è scritto: «SIXTUS V PONT. MAX. MONTI ALTO PATRIAE CARISS. SACRAS RELIQUIAS PIETATIS SUE MONUMENTUM D.D. ANNO PONT II» (Sisto V Pontefice Massimo donò a Montalto sua patria carissima queste sacre reliquie, come segno del suo affetto, nel secondo anno del suo pontificato). Sul retro, nella stessa posizione in cui davanti c'è l'epigrafe sistina, si legge: «PETRUS HERUS MEUS EST VENETIS GENEROSUS ALUMNUS /BARBUS CARDO SACER TUUS VINCENTIA PRAESUL» (Il mio proprietario è il cardinale Pietro Barbo, generoso figlio dei Veneti e tuo sacro vescovo, o Vicenza). Ricorda il possesso del Barbo anche un'altra iscrizione, che si trova sul retro dell'edicola apicale fatta aggiungere dallo stesso cardinale veneziano: «PETRUS. HERUS. MEUS. EST. VE. GENEROSUS. ALUPUS. BARBUS. CARDO. SACER.» (Pietro Barbo, cardinale e vescovo di Vicenza, mio signore, è genorso figlio di Venezia). In entrambi le iscrizioni lasciate da Pietro Barbo quindi è lo stesso reliquario a recitare il testo.
  6. ^ Sempre che ivi si parli di reliquie e non di elementi compositivi del pezzo catalogato.
  7. ^ L'espressione utilizzata nel testo ferrarese - un vano vuoto per ospitare reliquie - in effetti potrebbe anche far pensare che al momento della redazione dello scritto reliquie non ve ne fossero più, magari perché rimosse prima di mettere in vendita l'oggetto.