Spettacolo nō all'Itsukushima Shrine, isola di Miyajima, Hiroshima


Il (? lett. "abilità")[1] è un tipo di rappresentazione teatrale giapponese che unisce recitazione, canto e danza. Le origini del teatro nō risalgono alla fine del XIV secolo, nel corso del periodo Nanboku-chō, con il convergere graduale di numerose forme di performance artistica in un’unica sintesi drammatica, chiamata sarugaku o sarugaku no nō fino alla seconda metà del XIX secolo quando assunse l’attuale denominazione di nōgaku, a indicare il nō e il kyōgen. È una delle quattro principali forme teatrali giapponesi del periodo premoderno insieme a kyōgen, bunraku e kabuki.

Storia modifica

 
Teatro nō

Le lontane origini del nō sono state identificate in una tipologia eterogenea di forme d’arte performativa di origine continentale note complessivamente come di sangaku (cin. sanyue 散楽) giunte in Giappone in epoca Nara ed evolutesi in epoca Heian in una forma di teatro comico di rappresentazione con il nome di sarugaku o sarugō.][2] Alla fine del periodo Heian compaiono presso i principali centri urbani compagnie organizzate di artisti sarugaku (za 座) e gli aspetti di comicità ereditati dal sangaku poco a poco lasciano spazio ad un teatro di canto e recitazione drammatica.[3]

Kan'ami e suo figlio Zeami Nel 1375 Kan’ami Kiyotsugu, attore di una compagnia di sarugaku di Yamato, si esibisce assieme al figlio Zeami Motokiyo di fronte allo shogun Ashikaga Yoshimitsu presso un tempio di Kyōto. I due sono presi sotto la protezione dello shogun e Zeami cresce presso la corte con una formazione colta, entrando in contatto con gli intellettuali e gli artisti del tempo. Sistematizza drammi del padre o di altri autori, ne compone di nuovi e redige trattati sull’arte. Kan’ami aveva accentuato gli aspetti spettacolari di danza e canto e unito al monomane in cui era specializzato il sarugaku di Yamato, il canto e la danza del sarugaku di Oomi e del dengaku [forma nata in epoca Heian che accompagnava con canti e danze il trapianto del riso, in epoca Kamakura diviene una forma di rappresentazione in competizione con sarugaku e no]. Zeami affina ancora di più il no, trasformandolo in un armonico spettacolo di danza, canto e musica ricco di suggestioni e citazioni letterarie. La fortuna di Zeami cambia: muoiono il suo protettore Yoshimitsu e il suo figlio-erede e probabilmente è esiliato all’isola di Sado. Dopo Zeami è il suo genero, Konparu Zenchiku a continuarne l’opera. Il nō si “cristallizza nella forma e si aristocratizza”. Nei suoi trattati Zenchiku tratta della classificazione dei personaggi, dei suoni e degli stili, con influsso del pensiero buddhista. Il nō è ormai la forma di spettacolo dominante a corte e iniziano a nascere anche compagnie di semiprofessionisti e artisti dilettanti. Ottiene successo anche presso signori della guerra come Nobunaga e Hideyoshi (in periodo Momoyama massima fase di splendore del no). Il periodo Tokugawa coincide con una fase di sistematizzazione del nō. Codificazione di programmi di no per una giornata di spettacolo, affermazione del sistema delle cinque scuole e dell’ereditarietà del ruolo di caposcuola (taiyuu). Il nō diviene una forma teatrale classica, codificata nel suo repertorio. Già Hideyoshi aveva costretto gli attori di nō a entrare in una delle quattro scuole (Kanze, Hooshoo, Konparu, Kongoo); in epoca Tokugawa, dopo l’aggiunta della quinta (Kita), il sistema diviene rigidamente ereditario e controllato. Le piccole formazioni di artisti devono entrare in una delle scuole e i loro membri e repertorio sono registrati in elenchi ufficiali. In epoca Tokugawa il no è arte classica, codificata. Viene fruito dalla classe militare al potere, dai daimyō di provincia e, ogni tanto, sono organizzati grandi spettacoli pubblici. Si stampano testi e trattati che da un lato contribuiscono a fissare il repertorio, dall’altro provocano il nascere di amatori e dilettanti. In epoca Meiji gli attori perdono il pubblico di riferimento (shogun e daimyo) e devono cercare un nuovo pubblico, in competizione con le altre arti. Fase di declino che si arresta solo grazie all’interessamento di esponenti del mondo della politica, della nuova classe dirigente e imprenditoriale, della casa imperiale e dall’aristocrazia militare. Le scuole gestiscono propri palcoscenici. Il nō inizia ad essere conosciuto anche all’estero (apprezzato da Pound, Fenollosa, Yeats e poi Brecht). Nel 1909 pubblicazione dei trattati attribuiti a Zeami che apre un periodo di studi critici e storico-filologici su ogni aspetto del nō. Il repertorio tramandato dalle cinque scuole si attesta oggi su circa 250 composizioni.

A sua volta il Nō influenzò successivamente altre forme d'arte teatrali come il kabuki e il butō. Durante la restaurazione Meiji il nō ed il kyōgen vennero riconosciuti ufficialmente come due delle tre forme teatrali tradizionali.

Inizialmente faceva parte, insieme al kyōgen, di una forma drammatica nota come sarugaku. Mentre il nō era centrato sulla danza e sul canto il kyōgen era soprattutto basato sui dialoghi e sull'improvvisazione che seguiva canovacci predeterminati. In realtà, Zeami utilizza i termini "nō" e "sarugaku" indistintamente. Egli stesso ha creato l'etimologia della parola sarugaku. Per "saru" egli non utilizza il kanji tradizionale di scimmia, ma usa quello di scimmia dello zodiaco. Quest'ultimo tra l'altro, è presente anche nella parola "kami" che significa Dio e che ritroviamo anche in "kagura". Il secondo kanji è quello che si legge "gaku" in "sarugaku", e quindi il sarugaku può essere inteso come parte del kagura. Infine, i due caratteri che compongono la parola "sarugaku", possono anche essere letti come "tanoshimi wo mōsu", cioè "comunicare la gioia".

A partire dal XVI secolo i due generi si diversificarono. Il nō veniva recitato da attori in maschera ed era basato su testi scritti. I primi risalgono al XV secolo ma la maggior parte fu composta nel XVI. Il Kyōgen invece continuava a basarsi in gran parte sull'improvvisazione. I personaggi principali di un nō sono esseri soprannaturali (divinità, spiriti) oppure personaggi storici o leggendari. Anche in questo si differenziava dal kyōgen i cui protagonisti erano gente comune.

Il primo autore di nō fu Kan'ami Kiyotsugu (1334-1384). Insieme a suo figlio Zeami Motokiyo (1363-1443) e al nipote Motomasa Jūrō (1394-1431) formano la triade della scuola Kanze. Zeami è forse l'autore più importante di ogni epoca con all'attivo oltre duecento opere, che vengono tuttora messe in scena, e molti scritti sul teatro e sull'esecuzione delle opere.

Va comunque considerato che il nō è una forma teatrale antica tuttora in vita, caso piuttosto raro, e che anche in tempi moderni ci sono stati autori che hanno scritto per questo genere. Uno fra tutti Yukio Mishima (Kindai nogaku shu, Cinque nō moderni, 1956).

L'okina o kamiuta è una forma di rappresentazione unica che combina la danza con rituali shintoisti. Viene considerata la più antica rappresentazione nō.

L''Heike monogatari, un racconto medievale dell'ascesa e della caduta del clan Taira, cantata originariamente da monaci ciechi che si accompagnavano con il biwa, è un'importante fonte di materiale per il nō (e per successive forme teatrali), particolarmente per rappresentazioni di guerrieri. Un'altra fonte importante è il Genji monogatari, un lavoro dell'XI secolo, definito a volte il primo romanzo del mondo. Gli autori si ispirarono anche a classici del periodo Nara e del periodo Heian ed a fonti cinesi.

Al giorno d'oggi ci sono in Giappone circa 1500 attori professionisti di nō e la forma d'arte continua ad esistere. Le cinque scuole esistenti di nō sono la Kanze (観世), la Hosho (宝生), la Komparu (金春), la Kita (喜多) la Kongo (金剛). Ognuna ha a capo una famiglia conosciuta come sō-ke e solo il capofamiglia di questa ha il diritto di creare nuove rappresentazioni o modificare quelle esistenti. La società degli attori nō è ancora abbastanza feudale e protegge strettamente le tradizioni dei propri antenati.

Secondo Zeami (attore e autore di questa forma d'arte nel XIV secolo) tutte le rappresentazioni nō dovrebbero creare un ideale estetico chiamato yugen, che significa uno spirito profondo e sottile e di hana, che significa novità. Il nō rappresenta davvero la cultura giapponese di ricercare la bellezza nella sottigliezza e nella formalità.

Caratteristiche modifica

La scena modifica

 
Pianta di un teatro nō
 
Palco di un teatro nō
  1. 1: Kagami no ma (Stanza degli specchi)
  2. 2: Hashigakari (Ponte)
  3. 3: Palcoscenico
  4. 4-7: Quattro colonne chiamate rispettivamente metsuke bashira, shite bashira, fue bashira e waki bashira.
  5. 8: Jiutai. Jiutai (i componenti del coro) siedono qui.
  6. 9: I suonatori siedono qui. Dalla sinistra verso destra: kue (suonatore di flauto traverso chiamato no kan), kotsuzumi (un piccolo tamburo), ōtsuzumi (un tamburo di medie dimensioni) e occasionalmente taiko (un largo tamburo).
  7. 10: kōken (suggeritore)
  8. 11: Kyōgen (Kyōgen shi, un attore comico, appare in alcune opere)
  9. 12: Kizahashi (scalini)
  10. 13: Shirazu (sabbia bianca)
  11. 14-16: Pini (Rispettivamente il primo, secondo e il terzo)
  12. 17: Gakuya (Backstage)
  13. 18: Makuguchi (L'entrata principale al palcoscenico).
  14. 19: Kiridoguchi. Entrata per le cantanti del coro (jiutai) e gli assistenti di scena (kōken).
  15. 20: Kagami ita. Il disegno di un rigoglioso pino verde, nello stile della scuola Kano

La scena è molto semplice e ridotta anch'essa all'essenziale. La rappresentazione nō ha luogo su un palco fatto di hinoki (cipresso giapponese). Il palcoscenico è completamente vuoto a parte il "kagami-ita", un dipinto di un pino, realizzato su un pannello di legno, posto sul fondo del palco. Ci sono molte spiegazioni possibili per la scelta di questo albero, ma una tra le più comuni è che simboleggia il mezzo con cui le divinità scendevano sulla terra, secondo il rituale shintoista.

In contrasto con il palco completamente disadorno, i costumi sono estremamente ricchi: Molti attori, in particolari quelli Shite, sono vestiti con abiti di broccato di seta.

Il butai, cioè lo spazio scenico, viene considerato come un mondo intermedio in cui si incontrano il mondo divino e quello umano. Ciò è dimostrato dalla sua stessa struttura architettonica che ha valenze cosmologiche: il tetto che lo ricopre lo definisce in quanto spazio sacro, e i pilastri che lo sostengono sono considerati tramiti tra il mondo umano e il mondo sovrannaturale. L'honbutai, cioè la parte centrale dello spazio scenico è collegato alla camera dello specchio (kagami no ma) da un corridoio detto hashigakari. L'hashigakari si immette nella kagami no ma da occidente, così come a occidente, nell'immaginario comune, si trova il paradiso della Terra Pura buddhista. Infine il ponte presente sul palcoscenic può essere considerato come il tramite tra il nostro mondo, rappresentato dal palco, e l'altro mondo, rappresentato dalla camera dello specchio.

Gli attori modifica

 

Nel nō i movimenti degli attori sono estremamente stilizzati e ridotti all'essenziale. Piccoli cenni del capo o movimenti del corpo hanno significati ben precisi. I ruoli sono fissi: esistono quattro tipi principali di attori: shite, waki (comprimario), kyogen, e hayashi.

  • Gli Shite sono gli attori più comuni, recitano molti ruoli tra cui:
    • "Shite" (primo attore)
    • "Tsure" (compagno dello shite)
    • "Jiutai" (coro, solitamente di 6-8 membri)
    • "Koken" (assistenti di scena, di solito 2-3 attori).
  • I kyogen rappresentano alcuni interludi durante le rappresentazioni.
  • Gli "hayashi" sono i musicisti che suonano i quattro strumenti del teatro nō.

Una tipica rappresentazione del nō vedrà in scena tutte le categorie di attori e solitamente dura dai 30 ai 120 minuti. Il repertorio del nō conta circa 250 rappresentazioni suddivisibili in cinque categorie (organizzate in base al tema principale):

  • 1 Waki no: no di divinità, funzione augurale, origine di un culto, di un mito, di un luogo sacro
  • 2 Shuura no: no di guerrieri, le pene dello shura, la morte in battaglia, le uccisioni
  • 3 Kazura no: no femminili, personaggi letterari, creature celesti, spiriti di fiori e piante
  • 4 Yonbanmemono, vario genere, no della follia, a soggetto cinese, di sentimento
  • 5 Kiri no, ritmo veloce, vivaci e animati, esseri di altri mondi, demoni e animali fantastici

La musica modifica

La musica di accompagnamento è eseguita con strumenti a fiato (fue, flauto) e a percussione (ōtsuzumi, kotsuzumi, tamburi).

Il nō è cantato, per questa ragione, molte persone tendono pensare al nō come ad una forma di opera giapponese. Ciò nonostante, il canto nel teatro nō sfrutta una scala tonale limitata e presenta lunghi passaggi ripetitivi. La chiarezza e la melodia non rappresentano l'obiettivo del canto nel teatro Nō benché i testi siano poetici e le strofe riprendano pesantemente il tipico ritmo giapponese sette-cinque, familiare a chi conosce i waka o i più recenti haiku. Il canto del Nō nonostante sia povero di espressioni risulta pregno di allusioni. La musica nel no è di due tipi: musica vocale e musica strumentale. La parte vocale è opera di waki, shite e coro. Il coro dialoga con lo shite, a volte facendosi suo portavoce e a volte intonando le parti narrative. I moduli (shoodan) alternano parti di narrazione intonata a dialogo puro, con momenti senza accompagnamento strumentale. Il canto (utai, la componente vocale) inserisce variazioni di profondità, timbro e vibrazioni, che cambiano a seconda della scuola. La modulazione vocale si basa su dei modi: canto forte (tsuyogin, con violente oscillazioni e notazione instabile) e canto debole (yowagin, con vibrato morbido e regolare e abbellimenti morbidi), delineatisi in periodo Tokugawa. Si alternano anche momenti a ritmo regolare a momenti a ritmo irregolare. La velocità di svolgimento varia a seconda del brano, della tipologia di appartenenza, della scuola da cui proviene l’interprete e dalle decisioni del singolo artista. La parte strumentale si distingue in momenti di musica con canto-recitazione (utaigoto) e momenti di musica pura (hayashigoto). I momenti di musica pura si distinguono in momenti di entrata e uscita degli attori, momenti di interludio per il cambio dei costumi, accompagnamento di azioni complesse (hatarakigoto, gesti accompagnati dalla musica il cui significato è riconducibile ad un’azione reale), e accompagnamento alla danza pura (maigoto). L’orchestra (hayashi) è formata da fue (flauto traverso a sette fori, può emettere oltre a suon bassi e medi anche suoni molto alti ma instabili), ootsuzumi (a forma di clessidra, pelle molto tesa, si tiene sul ginocchio sinitro, si percuote con la mano destra nuda su una pelle tesa, suono secco, penetrante ), kotsuzumi (a forma di clessidra, tenuto con la mano sinistra sulla spalla destra e percosso con la mano destra, può produrre suoni di diverso tipo tramite la variazione della tensione delle corde) e taiko (grande tamburo su piedistallo, non a forma di clessidra, accompagna i no con personaggi non umani e si usa quando la loro natura non umana è rivelata). Nella musica del no strutture, melodie e ritmi non sono fusi e uniformati. ”l’armonia persegue la valorizzazione di ogni singola componente”. Strumenti, gesti e danza non si sincronizzano mai del tutto ma trovano alcuni momenti di coincidenza per poi riprendere il proprio percorso.

La danza modifica

Punto d’incontro di diverse tradizioni coreutiche giapponesi più antiche: danze di tipo rituale-sciamanico, magico-religiose, per il richiamo della divinità e per provocare invasamento (kami oroshi, kamigakari); danze dei riti shinto (kagura); danze coreografiche di corte di derivazione cinese e coreana (bugaku); danze del sarugaku; danze di okina e sanbasoo; danze delle varie forme di arti epico-narrative (katarimono) sviluppatesi in epoca medioevali. Vari tipi di danze formano la danza del no; la danza dei vecchi (divinità fauste che portano longevità come okina), di fancuilli (sviluppatesi nella danza di corte bugaku), di donne (sacerdotesse shinto e danzatrici erranti come le shirabyooshi) e di demoni (valore apotropaico e allontanamento degli spiriti maligni). Importanti nella danza anche l’uso del ventaglio e della maschera, oltre che del volteggiare delle maniche. Nella danza i costumi voluminosi, con i tagli netti ed eleganti, aiutano a comporre una serie di forme plastiche ammirabili da ogni lato e lasciano scoperti i piedi dell’attore in modo da poterne ammirare l’agilità, la grazia e la sicurezza dei movimenti. In gesti minimi vengono condensate emozioni e sentimenti del personaggio. I passi struscianti possono compiere dei battiti sul palco, sotto al quale sono poste generalmente delle giare vuote per amplificare il suono. L’attore ruota, indietreggia e avanza, muove le braccia o il ventaglio disegnando linee con leggiadria o con impeto a seconda del personaggio interpretato. Rappresenta il momento culminante del dramma, con i momenti di danza pura (maigoto) dove lo shite smette di recitare e accompagnato da jiutai e hayashi, o solo hayashi, esegue una danza pura priva di riferimenti a gesti reali. Possono essere in 5 movimenti o abbreviate in 3, da danze femminili dove predomina la grazia (yuugen) e danze maschili più rapide e dinamiche. Vi sono anche danze che rappresentano un’azione precisa (hatarakigoto). I gesti però sono ridotti all’essenziale, sono stilizzati e rispondono a un’estetica minimale dove ogni gesto si carica di significato. La danza pura è formata da sequenze di gesti, pose e figure di numero limitato ma presentate in numerose combinazioni.

L'uso delle maschere modifica

 
 
Un "Ko-jo" (vecchio) maschera
 
Maschera di personaggio femminile

Lo shite recita in maschera il che ovviamente toglie ogni possibilità di esprimersi con la mimica facciale. Però la grande abilità degli attori produce quasi espressività della maschera anche grazie al fatto che quest'ultima è scolpita in modo tale che a secondo dell'orientamento e della diversa incidenza della luce si producano mutamenti espressivi. Poiché i buchi posti all'altezza degli occhi sono di ridottissime dimensioni, per aumentare ulteriormente l'espressività, gli attori hanno a disposizione una visuale limitatissima e si servono quindi di punti fissi per orientarsi e di percorsi predeterminati. Tutte le maschere del teatro nō (能面 nō-men o 面 omote) hanno un nome.

Di solito solo lo shite, l'attore principale, porta la maschera. Può comunque accadere, che in alcuni casi, anche gli tsure possano indossare una maschera, in particolare per i personaggi femminili. Le maschere Nō sono di solito ritratti di personaggi femminili o non umani (divinità, demoni o animali), ci sono comunque anche maschere rappresentanti ragazzi o vecchi. Gli attori senza maschera hanno sempre un ruolo di uomini adulti di venti, trenta o quarant'anni. Anche il comprimario waki non indossa maschere.

Usata da un attore capace la maschera è in grado di mostrare differenti espressioni e sentimenti a seconda della posizione della testa dell'attore e dell'illuminazione. Una maschera inanimata può quindi avere la capacità di sembrare felice, triste o una grande varietà di altre espressioni. Studi condotti da Michael J. Lyons della ATR Intelligent Robotics and Communication Labs a Kyōto, Giappone e Ruth Campbell della Università di Londra, hanno esplorato questa particolare caratteristica delle maschere [1].

La maschera inoltre, ha una funzione mediatrice cioè può incarnare entità superiori e costituire quindi un punto di incontro tra il tempo mitico e il tempo storico. Essa ha anche la funzione di richiamare i morti sulla terra: indossando la maschera del defunto, l'attore ne incarna lo spirito. Ecco perché qualsiasi spettacolo è preceduto da una sorta di venerazione nei confronti della maschera: in questo modo l'attore pensa che potrà incarnare al meglio il personaggio. Nei drammi più antichi le maschere erano addirittura considerate delle divinità, ecco perché ogni spettacolo era preceduto da preghiere rivolte a tali divinità.

Famosi drammi nō modifica

(Le categorie sono della scuola Kanze)

  • Aoi no uye -- "Court Lady Aoi" (Categoria 4)
  • Dojoji -- "Dojoji" (Categoria 4)
  • Hagoromo -- "Il mantello di piume" (Categoria 3)
  • Izutsu -- "The Well Cradle" (Categoria 3)
  • Matsukaze -- "Pining Wind" (Categoria 3)
  • Sekidera Komachi -- Komachi a Sekidera (Categoria 3)
  • Shakkyo -- "Il ponte di pietra" (Categoria 5)
  • Shojo -- "L'Elfo che beve" (Categoria 3)
  • Yorimasa -- "Yorimasa" (Categoria 2)
  • Yuya -- "Yuya" (Categoria 3)

Note modifica

  1. ^ , in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^ Ruperti, 2015, pp. 57-59
  3. ^ Bonaventura Ruperti, del teatro giapponese, Dalle origini all'Ottocento, Venezia, Marsilio, 2015, pp. 50-51.

Bibliografia modifica

Studi sul nō modifica

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  • James Brandon (a cura di), Nō and kyōgen in the contemporary world, Honolulu, University of Hawai'i Press, 1997.
  • Steven Brown, Theatricalities of Power: The Cultural Politics of Noh, Stanford, Stanford University Press, 2001.
  • Paola Cagnoni, Scritti teatrali, Venezia, Cafoscarina, 2006.
  • Gian Carlo Calza, Il fiore nel demone. L'incanto sottile del dramma nō, Milano, Editoriale Nuova, 1983.
  • Casari Matteo, Teatro nō. La via dei maestri e la trasmissione dei saperi, Bologna, Clueb, 2008.
  • Casari Matteo, La verità dello specchio. Cento giorni di teatro Nō con il maestro Umewaka Makio, Pozzuolo del Friuli, Il principe costante, 2001.
  • Erika de Poorter, Zeami's Talks on Sarugaku. An Annotated Translation of the Sarugaku Dangi : with an Introduction on Zeami Motokiyo, Leiden, Brill, 2002.
  • Armen Godel, Joyaux et fleurs du Nô. sept traités secrets de Zeami et Zenchiku, Parigi, Albin Michel, 2010.
  • David Griffiths, The Training of Noh Actors and The Dove, Londra, Routledge, 1998.
  • Thomas Hare, Zeami's Style: The Noh Plays of Zeami Motokiyo, Stanford, Stanford University Press, 1986.
  • Benito Ortolani, Il teatro giapponese. Dal rituale sciamanico alla scena contemporanea, Roma, Bulzoni, 1998.
  • Perzyʹnski Friedrich, Japanese Nō Masks: With 300 Illustrations of Authentic Historical Examples, New York, Dover, 2005.
  • Shelley Fenno Quinn, Developing Zeami. The Noh Actor's Attunement in Practice, Honolulu, University of Hawaii Press, 2005.
  • Eric Rath, The Ethos of Noh. Actors and Their Art, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Asia Center, 2004.
  • Bonaventura Ruperti, Scenari del teatro giapponese, Caleidoscopio del nō, Venezia, Cafoscarina, 2016, ISBN 978-88-7543-410-6.
  • Bonaventura Ruperti, Storia del teatro giapponese, Dalle origini all'Ottocento, Venezia, Marsilio, 2015, ISBN 978-88-317-2186-8.
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  • Michishige Udaka, The Secrets of Noh Masks, Tōkyō, Kodansha International, 2010.
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  • Zeami Motokiyo, Performance Notes, a cura di Tom Hare, New York, Columbia university Press, 2000.
  • Zeami Motokiyo, Il segreto del teatro Nō, a cura di René Sieffert, Milano, Adelphi, 2002.

Traduzioni di drammi nō modifica

  • Royall Tyler, Japanese Nō Dramas, Londra, Penguin Books, 1992.
  • Arthur Lindsay Sadler, Paul Atkins, Japanese plays: classic Noh, Koygen, and Kabuki works, Tōkyō, Tuttle, 2010.
  • Arthur Waley, Noh plays of Japan, Tōkyō, Tuttle, 2009.

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Collegamenti esterni modifica

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