Velia Titta

poetessa e scrittrice italiana

Velia Titta (Roma, 12 gennaio 1890Roma, 5 giugno 1938) è stata una poetessa e romanziera italiana. Fu moglie del politico socialista Giacomo Matteotti.

Velia Titta

Biografia modifica

La nascita modifica

Velia nacque, ultima di sei figli, a Roma (o secondo alcuni a Pisa) il 12 gennaio 1890[1], dove il padre, Oreste Titta, proveniente da Pisa, aveva avviato un'officina per la lavorazione del ferro battuto. Nel 1900 il padre, uomo irrequieto e di idee anarchiche, si staccò dalla famiglia, per convivere con un'altra donna. La madre, religiosa e dedita ai doveri domestici, morì nel 1904[2], quando Velia era appena quattordicenne. Le fece veci di padre il fratello Ruffo, di tredici anni maggiore, baritono famoso con lo pseudonimo di Titta Ruffo[2].

La formazione e gli studi modifica

Velia studiò in scuole e collegi religiosi, conseguendo la licenza alla Scuola Normale femminile di Pisa[2]. Aveva una personalità vivace, pur essendo una creatura riflessiva e sensibile. Si interessò di letteratura, leggendo molti autori italiani e stranieri, e prestò anche viva attenzione ai problemi sociali e culturali del suo tempo. Tra i suoi interessi anche la musica e le arti figurative.

Il matrimonio modifica

Velia conobbe Giacomo Matteotti nel 1912 durante una vacanza a Boscolungo (Abetone). L'8 gennaio 1916 la coppia si unì in matrimonio in Campidoglio, senza pompa e col solo rito civile[3]. In questo Velia accondiscese al desiderio di Giacomo, malgrado la sua formazione religiosa. L'unione si rivelò felicissima, solo turbata dai timori di Velia che l'impegno politico del marito gli recasse danno.[4] Già in una lettera del 7 giugno 1916 gli scriveva: "ma tu non voler essere audace; hai dei nemici".[5] Per tutta la pur breve vita coniugale (Giacomo morirà il 10 giugno 1924) non fecero che ripetersi che sarebbe venuto un giorno in cui non sarebbero più stati divisi.

La famiglia modifica

Dal matrimonio nacquero tre figli, Giancarlo (19 maggio 1918), Gianmatteo (17 febbraio 1921) e Isabella (7 agosto 1922). Durante la guerra Giacomo fu richiamato e passò lunghi periodi in Sicilia, dove Velia lo raggiunse, alloggiando in albergo dove il marito le faceva visita, compatibilmente con le esigenze di servizio.[6] Dopo la fine della guerra Giacomo si dedicò alla sua passione politica, che lo portava a frequenti soggiorni a Roma, per adempiere ai suoi lavori di parlamentare, inframmezzati da periodi passati a Fratta Polesine, dove la famiglia Matteotti possedeva dei terreni, e in altre città italiane e europee. Velia, di salute cagionevole, passava intanto lunghi periodi in località di mare con i figli oppure a Milano, dove era ospite della sorella Fosca o a Roma, ospite del fratello Ruffo.

I rapporti con il regime fascista modifica

Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti venne sequestrato e ucciso da una banda fascista guidata da Amerigo Dumini, uomo molto legato a Cesare Rossi, capo dell’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, che frequentava liberamente Palazzo Montecitorio, la direzione del Partito fascista e Palazzo Chigi. La ricerca della verità indusse Velia a recarsi, nel pomeriggio del 14 giugno 1924, dall'allora capo del governo Benito Mussolini, con cui ebbe un brevissimo colloquio. La stessa Velia ne parla in una lettera a Gaetano Salvemini con datazione incerta (1926/1927)[7]: scrive che si trattò di poche parole. Il colloquio si svolse in piedi «senza alcun protocollo, senza silenzi, senza teatralità, ma in tutta la completa atmosfera di colpa di fronte al delitto. Mussolini non era commosso, né altro. Era spettro di terrore; io non implorai; domandai con poche parole fredde e sicure, alle quali egli oppose risposte che fedelmente non ricordo, ma fredde anch’esse. Le sicure che rammento sono queste: “un filo di speranza c’è. Io farò il mio dovere di cittadino”» .

Il corpo di Giacomo Matteotti fu ritrovato soltanto due mesi dopo, il 16 agosto, in una località del comune di Riano. Velia in quel momento si trovava a Roccaraso, dove aveva trascorso l'ultima vacanza con Giacomo ed i figli. Lo stesso giorno, il riconoscimento della salma fu fatto presso il cimitero di Riano. Erano presenti, tra gli altri, i cognati di Velia e i deputati Filippo Turati ed Enrico Gonzales. Turati scrisse ad Anna Kuliscioff: «Tutto è distrutto. Non c’è più neppure lo scheletro, ma soltanto tibie, femori, costole, ossa disperse e il teschio». Nonostante il parere contrario dei dirigenti socialisti, Velia  volle rispettare la volontà di Giacomo di riposare nel suo paese di origine, vicino ai suoi fratelli, anche perché temeva che un funerale a Roma avrebbe potuto produrre incidenti ed altri lutti. Velia acconsentì quindi all’immediato trasporto a Fratta Polesine dalla stazione di Monterotondo. Tuttavia Velia pretese che nessun fascista presenziasse alla partenza del feretro dalla stazione e che nessuna autorità accompagnasse la salma fino al luogo della sepoltura, nel cimitero di Fratta Polesine[8]: «Chiedo che nessuna rappresentanza della milizia fascista sia di scorta al treno, nessun milite fascista di qualunque grado o carica, comparisca, nemmeno sotto forma di funzionario in servizio. Chiedo che nessuna camicia nera si mostri davanti al feretro e ai miei occhi durante tutto il viaggio e a Fratta Polesine fino a tanto che la salma sarà sepolta. Voglio viaggiare come semplice cittadina italiana che compie i suoi doveri, per potere esigere i suoi diritti, quindi nessuna vettura salone, nessuno scompartimento riservato, nessuna agevolazione o privilegio, ma nessuna disposizione per modificare il percorso del treno, quale risulta dall’orario di dominio pubblico. Se ragioni di ordine pubblico impongono un servizio d’ordine, detto servizio sia affidato solamente ai soldati Italiani».  

il presidente della Camera dei deputati Alfredo Rocco ed il vice presidente del Senato Vittorio Italico Zupelli dovettero limitarsi a salutare la salma del parlamentare sul binario della stazione di Monterotondo[9].

Fino allo svolgimento del processo dinanzi all’Alta Corte di Giustizia, Velia Titta si costituì parte civile a nome dei tre figlioletti rimasti orfani[10]. In seguito però Velia Titta, pur facendo le più ampie riserve per l'esercizio delle azioni civili a lei spettanti nei confronti di tutti gli imputati, non intese avallare il depistaggio con cui le indagini sul delitto finirono a Chieti con un rinvio a giudizio compiacente e circoscritto agli autori materiali dell'omicidio del marito: perciò revocò la costituzione di parte civile a Giuseppe Emanuele Modigliani.

«Chiedo perciò mi sia concesso di estraniarmi dall’andamento di un processo che ha cessato di riguardarmi. […] Mi parrebbe, accedendo all’invito, di offendere la memoria stessa di Giacomo Matteotti, per il quale la vita era cosa terribilmente seria. Quella memoria nella quale e per la quale, e solo per educare i figli all’esempio ed alla fermezza paterna, vivo ancora appartata e straziata»

Il 29 marzo 1926 incaricò Pasquale Galliano Magno di seguire le pratiche per la restituzione delle cose sequestrate nel corso dell'istruttoria: con l'istanza, scritta di suo pugno e datata 29 marzo 1926, Velia Matteotti lamentava che non le era stato ancora restituito “ciò che apparteneva al suo defunto marito” e che “si trattava di altissimo valore morale specialmente per la vedova e gli orfani del defunto”. E più oltre scriveva: ”Salvo errore le cose da restituire sono le seguenti: -lettera ferroviaria -una ciocca di capelli -falangetta -giacca e pantaloni (compresa la manica staccata)”. A conclusione dell'istanza dichiarava: “la sottoscritta delega per il ritiro di quanto sopra l'avv. Pasquale Galliano Magno di Chieti”[11].

Successivamente il controllo delle autorità fasciste sulla famiglia Matteotti fu sempre strettissimo, provocando una dura protesta di Velia, che chiedeva libertà e rispetto. Rimasta sola, Velia subì le malversazioni dell'amministratore delle tenute di famiglia: risolse quindi di vendere le proprietà e di acquistare una grossa proprietà agricola, indebitandosi tanto che non sarebbe riuscita a far fronte al pagamento, senza la concessione di un grosso prestito a tasso agevolato, per il quale sembra certo che sia intervenuto lo stesso Mussolini.[12] Come emerge dai rapporti di polizia, nel 1936 la vedova vendette tutte le sue proprietà e fu in grado di estinguere il mutuo contratto con un istituto di Torino.

Gli ultimi anni e la morte modifica

Velia passò gli anni della vedovanza tra Fratta Polesine, con i figli e la suocera Isabella Garzarolo, e Roma. Si spense a Roma il 5 giugno 1938, a soli 48 anni, per i postumi di un'operazione chirurgica. Anche in occasione dei suoi funerali, svoltisi in forma strettamente privata a Fratta Polesine, le autorità fasciste disposero una sorveglianza minuziosa.[13] Fu sepolta a Fratta Polesine.[14] Dopo la sua morte i suoi figli furono affidati alla sorella Nella Titta, madre della partigiana e giornalista Francesca Laura Fabbri Wronowski.

Le opere modifica

Già nel 1908[15] aveva pubblicato due libriccini di versi, È l'alba e Primi versi, che risentono di influenze pascoliane e dannunziane. Nel 1920 uscì, per i tipi della casa editrice Fratelli Treves di Milano, il romanzo L'idolatra, pubblicato con lo pseudonimo di Andrea Rota, che suscitò ampio consenso[16]. Lavorò poi ad un altro romanzo, senza però portarlo a termine.[17]

Note modifica

  1. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 14.
  2. ^ a b c Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 15.
  3. ^ Giacomo Matteotti, Lettere a Velia, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 1986, p. 9.
  4. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 26.
  5. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 109.
  6. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 24.
  7. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 316.
  8. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 29.
  9. ^ La salma dell'onorevole Matteotti verso l'ultima dimora, Corriere della sera, 20 agosto 1924 Archiviato il 10 ottobre 2021 in Internet Archive..
  10. ^ Archivio storico del Senato della Repubblica, ASSR, Ufficio dell'Alta corte di giustizia e degli studi legislativi, 1.2.257.4.4 Notifica costituzione parte civile della vedova Velia Titta (12 marzo 1925).
  11. ^ All'avvocato Magno si rivolgeva così: “confermo fin d'ora la mia riconoscenza per quanto potrà fare in materia che tanto mi sta a cuore“. E si legge ancora: “Colgo l'occasione di ringraziarla per ciò che ella ha fatto in questo doloroso frangente, convinta che le venga resa tanta stima e considerazione da tutti coloro che ancora hanno e possono apprezzare la bontà d'animo e la dirittura della coscienza”. Seguiva la firma “Velia Matteotti” e la data “Roma 29 marzo 1926”.
  12. ^ Stefano Caretti, Il delitto Matteotti - Storia e memoria, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2004, p. 120-122.
  13. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 33.
  14. ^ Stefano Caretti, Il delitto Matteotti - Storia e memoria, Manduria - Bari - Roma, Lacaita, 2004, p. 132.
  15. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 16.
  16. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 20.
  17. ^ Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri Lischi, 2000, p. 21.

Bibliografia modifica

  • Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, Pisa, Nistri Lischi, 2000
  • Giacomo Matteotti, Lettere a Velia, Pisa, Nistri Lischi, 1986
  • Stefano Caretti, Il delitto Matteotti - Storia e memoria, Manduria - Bari - Roma, Lacaita, 2004
  • Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Bologna, Il Mulino, 2015
  • Aldo Parini, La vita di Giacomo Matteotti, Rovigo, Minelliana, 1998
  • Valentino Zaghi, Nella terra di Matteotti - Storia sociale del Polesine tra le due guerre mondiali, Rovigo, Minelliana, 2014.
  • Fernando Venturini, Il Giaki e il Chini. Cronache della vita di Giacomo Matteotti e Velia Titta, Caselle di Somma Campagna, Cierre, 2024.

Collegamenti esterni modifica

Controllo di autoritàVIAF (EN19899447 · ISNI (EN0000 0000 2250 7735 · SBN IEIV056361 · LCCN (ENn00037982 · GND (DE12276210X · BNF (FRcb144335840 (data) · WorldCat Identities (ENviaf-1250147373397741580004
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