Venere dormiente

dipinto di Giorgione, Gemäldegalerie Alte Meister Dresden

La Venere dormiente, nota anche come Venere di Dresda, è un dipinto a olio su tela (108,5 × 175 cm) di Giorgione, databile al 1507-1510 circa e conservato nella Gemäldegalerie di Dresda. Esso venne poi completato e in parte ridipinto da Tiziano dopo la morte di Giorgione, nel 1511-1512 circa[1].

Venere dormiente
AutoriGiorgione e Tiziano
Data1507-1510 circa
TecnicaOlio su tela
Dimensioni108,5×175 cm
UbicazioneGemäldegalerie Alte Meister, Dresda
Dettaglio

Storia modifica

L'opera venne vista in casa di Girolamo Marcello da Marcantonio Michiel verso il 1525. Forse venne commissionata subito dopo le nozze del committente, nel 1507. Nella descrizione del Michiel si cita anche un Cupido, che doveva trovarsi a destra, coperto da un restauro ottocentesco. Lasciata probabilmente incompleta alla morte del pittore nel 1510, venne ultimata da Tiziano negli anni immediatamente successivi, come riportò Giorgio Vasari[2]. Probabilmente a Tiziano fu richiesto di modificare il dipinto perché ritenuto troppo idealizzato, non adatto all'occasione matrimoniale: allora Tiziano inserì particolari che – come il morbido panneggio su cui posa il corpo nudo di Venere – accentuavano l'erotismo della rappresentazione[3].

La figura di Venere era stata probabilmente scelta per giustificare le pretese di discendenza della famiglia Marcello dalla Gens Iulia, che nell'Eneide è celebrata come stirpe nata dalla dea[4].

La composizione di quest'opera ebbe un'ampia risonanza innanzitutto a Venezia, dove venne ripresa da Tiziano (la celebre Venere di Urbino), Lorenzo Lotto (Venere e Cupido), Dosso Dossi (Pan e la ninfa), Domenico Campagnola e Palma il Vecchio (Ninfa in un paesaggio). Ispirò poi le generazioni di artisti seguenti, come Rubens, Ingres o Édouard Manet (Olympia)[5].

Nel 1697 il mercante C. Le Roy la vendette ad Augusto di Sassonia, con attribuzione a Giorgione. Nell'inventario del 1722 è invece riferita a Tiziano e in quello del 1856 è piuttosto registrata come copia del Sassoferrato da Tiziano. In seguito l'attribuzione si assestò su Giorgione, ammettendo l'intervento di Tiziano.

Descrizione e stile modifica

Ispirato a gemme antiche, o alle rappresentazioni scultoree greco-romane dell'Arianna dormiente e dell'Ermafrodito, la Venere dormiente di Giorgione iniziò un vero e proprio genere, ripreso da altri artisti veneziani. Forse si ispirò anche a una figura presente in una delle illustrazioni incise nella Hypnerotomachia Poliphili del 1499.

Il dipinto ritrae una donna nuda, languidamente addormentata all'aperto, distesa su un telo bianco e un cuscino coperto da un drappo rosso, sullo sfondo di un paesaggio aperto (le case sono identiche a quelle del Noli me tangere di Tiziano). Come hanno confermato le analisi ai raggi infrarossi, Tiziano dovette riparare alcuni danni riducendo il lenzuolo ed ampliando il manto erboso, con l'aggiunta del drappo rosso. I critici d'arte si sono trovati d'accordo sul fatto che la grande ombra scura dietro rappresenti l'orso bruno mediterraneo, chiaro simbolo di fortezza; inoltre curò il cielo e il paesaggio, che da allora usò come repertorio: si trova identico nel Noli me tangere di Londra e speculare nell'Amor Sacro e Amor Profano[2].

Nonostante il pesante intervento tizianesco, l'invenzione del soggetto è attribuita interamente a Giorgione, che dovette anche aver impostato l'andamento dolce del paesaggio che riecheggia le forme del corpo nudo. Sottili implicazioni erotiche si trovano nel braccio alzato di Venere e nel posizionamento della sua mano sinistra sul suo inguine, che riprende la posa della Venus pudica (Venere pudica), sebbene aggiornandola a una posizione distesa. Si tratta però di un'atmosfera misuratamente sensuale e sognante, molto diversa dalle interpretazioni che daranno gli artisti successivi del tema, dove la donna ben sveglia si rivolge spudoratamente allo spettatore, esibendo apertamente la propria nudità, a volte, pensate, senza neanche il gesto di coprirsi pudicamente[6].

Inoltre la Venere di Giorgione si distingue per la "brevità poetica", ovvero la capacità di condensare il significato mitologico in pochi attributi essenziali, ridotti a un messaggio di immediata e durevole presa emozionale suscitata dal nudo idealizzato, che non esclude però l'allusione a significati più complessi. In altre raffigurazioni successive invece si perderà questa selettività di riferimenti, simbolici, arricchendosi di molteplici segnali iconografici[6].

Note modifica

  1. ^ cfr., ad esempio, Charles Hope in David Jaffé (ed), Titian, The National Gallery Company/Yale, London 2003, pag. 13. ISBN 1 857099036
  2. ^ a b Fregolent, cit., pag. 106-107.
  3. ^ Gibellini, p. 28.
  4. ^ De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 175.
  5. ^ Fregolent, cit., pagg. 108-109.
  6. ^ a b Fregolent, cit. pag. 108.

Bibliografia modifica

  • Alessandra Fregolent, Giorgione, Electa, Milano 2001. ISBN 88-8310-184-7
  • Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999. ISBN 88-451-7212-0
  • Francesco Valcanover, L'opera completa di Tiziano, Rizzoli, Milano 1969.

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