Accademia d'Italia
La Reale Accademia d'Italia è stata un'istituzione culturale italiana, operante tra il 1929 e il 1944, fondata durante il regime fascista e sua diretta emanazione. Con la legge 755 del 1939 la Reale Accademia entrò in possesso del patrimonio dell'Accademia Nazionale dei Lincei, i cui soci vennero inseriti nell'organico come semplici soci aggregati. L'Accademia dei Lincei riacquistò la propria autonomia solo dopo la soppressione dell'Accademia d'Italia.
Fondata con il compito di promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservare puro il carattere nazionale, secondo il genio e le tradizioni della stirpe e di favorirne l'espansione e l'influsso oltre i confini dello Stato (art. 2 dello Statuto).
«Eccellenze, signore, signori! Sono fiero di aver fondato l'Accademia d'Italia: Sono certo che essa sarà all'altezza del suo compito nei secoli e nei millenni della nostra storia. Sono lieto d'inaugurare ufficialmente l'Accademia d'Italia nel simbolo del Littorio e nel nome augusto del Re»
Così Mussolini conclude, il 28 ottobre del 1929, il discorso con cui l'Accademia d'Italia «entra ufficialmente nella scena del mondo, si mette senz'altro al lavoro».
Storia
modificaL'Accademia nasce con il regio decreto-legge del 7 gennaio 1926, ma è inaugurata solo il 28 ottobre del 1929 all'interno dello stabile di Villa Farnesina a Roma. Nei primi anni di vita la preoccupazione principale è rappresentata dalla raccolta dei fondi necessari allo svolgimento delle attività istituzionali, e se ne trovano presso i fratelli Mario, Aldo e Vittorio Crespi (proprietari del Corriere della Sera) che istituiscono quattro premi annuali, intestati a Mussolini, ciascuno di 50.000 lire; e presso la Società Edison, che dona dieci milioni di lire per una Fondazione dedicata ad Alessandro Volta.
Secondo Mussolini il ritardo era da attribuirsi al ripristino della Villa e a una "preparazione spirituale".
La ragione però va ricercata nel fatto che le componenti del fascismo rimaste fedeli alle sue origini popolane e scamiciate, futuriste e antiretoriche mal digeriscono la feluca e Mussolini teme il ridicolo. Su Politica Sociale Margherita Sarfatti aveva espresso le sue perplessità nell'articolo: "Può l'Accademia non essere accademica?". Probabilmente contribuisce al ritardo anche il fatto che hanno rifiutato di entrarvi intellettuali come il filosofo Benedetto Croce ed il commediografo Roberto Bracco.
Ma alla fine del 1929 il regime, sentendosi più forte, specialmente dopo l'avvenuta conciliazione con la Santa Sede, può completare la rete delle iniziative e dei provvedimenti con cui tende a dominare tutta la vita culturale: in precedenza ha riorganizzato la Società Italiana degli Autori ed Editori e costituito la Federazione Nazionale Fascista dell'Industria Editoriale, ha regolamentato la stampa, ha dato vita ad una serie di riviste legate alle gerarchie del regime, ha fascistizzato la Federazione delle biblioteche popolari, ha fondato l'Istituto fascista di cultura.
Insieme all'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, fondato nel 1925 e che dal 1929 inizia la pubblicazione dell'omonima opera, l'Accademia d'Italia completa il sistema di condizionamento culturale della società italiana, svolgendo una funzione di propaganda, specialmente all'estero, e aiutando a stringere buoni rapporti tra il potere e le forze intellettuali, prima tiepide o anche contrarie al regime.
Giorgio Galli ha scritto ne I partiti politici: "l'Accademia d'Italia, trasforma quelli che erano stati gli intellettuali critici e innovatori in personaggi ufficiali paludati sul modello di quelli tipici della Francia borghese (gli pseudo immortali dell'Académie)".
Scopo
modificaSecondo l'art. 2 dello statuto, "L'Accademia d'Italia ha per iscopo di promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservarne puro il carattere nazionale, secondo il genio e le tradizioni della stirpe e di favorirne l'espansione e l'influsso oltre i confini dello Stato".[1]
Organizzazione
modificaGli accademici saranno sessanta, nominati a vita con decreto reale su proposta del capo del governo. Godranno di un assegno annuo di 36.000 lire oltre ai gettoni di presenza. Nelle pubbliche funzioni e cerimonie indosseranno l'uniforme. Il primo gruppo di trenta accademici proviene in prevalenza dai Lincei; successivamente saranno cooptati idealisti, nazionalisti, spiritualisti e futuristi. Nel corso degli anni trenta si registra l'inserimento di ecclesiastici, da Lorenzo Perosi al cardinale Pietro Gasparri. L'Accademia viene divisa in quattro classi di quindici membri ciascuna: scienze fisiche, matematiche e naturali; scienze morali e storiche; lettere; arti.
L'Accademia promosse dal 1931 il Premio Mussolini, assegnato ogni anno per ciascuna delle quattro classi.
I primi accademici
modificaI primi accademici, tutti nominati nel 1929 direttamente da Mussolini, con Decreto presidente del Consiglio 18 marzo 1929, furono: Antonio Beltramelli, Pietro Bonfante, Filippo Bottazzi, Armando Brasini, Pietro Canonica, Francesco Coppola, Giotto Dainelli Dolfi, Salvatore Di Giacomo, Enrico Fermi, Carlo Formichi, Umberto Giordano, Alessandro Luzio, Antonio Mancini, Filippo Tommaso Marinetti, Pietro Mascagni, Francesco Orestano, Alfredo Panzini, Nicola Parravano, Marcello Piacentini, Luigi Pirandello, Pietro Romualdo Pirotta, Ettore Romagnoli, Giulio Aristide Sartorio, Francesco Severi, Bonaldo Stringher, Alfredo Trombetti, Giancarlo Vallauri, Gioacchino Volpe e Adolfo Wildt[2].
Presidenti
modificaTommaso Tittoni 1929-1930 |
Guglielmo Marconi 1930-1937 |
Gabriele D'Annunzio 1937-1938 |
Luigi Federzoni 1938-1943 |
Giovanni Gentile 1943-1944 |
Giotto Dainelli Dolfi 1944-1945 |
La vicenda dell'Accademia d'Italia è segnata da tre presidenze significative: Marconi, D'Annunzio e Federzoni. Guglielmo Marconi succede, il 19 settembre 1930, alla breve presidenza di Tommaso Tittoni, uomo della vecchia destra liberale, ministro degli Esteri con Giolitti. Alla morte improvvisa di Marconi, Mussolini decide di affidare la presidenza a D'Annunzio, una presidenza breve ma non priva di curiosi risvolti.
D'Annunzio non aveva mai preso la tessera del partito (se si prescinde da un'iniziale, effimera adesione al fascio di Fiume), e d'altra parte a molti fascisti dava fastidio la sua cultura "infranciosata" e decadente, il suo erotismo che aveva l'aria di una versione corrotta della virilità romana, l'atteggiamento indisciplinato e anarcoide. Per anni aveva giurato che mai avrebbe accettato di diventare membro dell'Accademia (che chiamava: la "mangiatoia degli Acca") ma non ha la forza di rifiutarne la presidenza. Tenta dapprima di limitarla a quella onoraria, ma il 20 settembre del 1937 Mussolini gli scrive: "non credo sia il caso. Tu non puoi né devi scendere a questo compito di figurante. Non è nel tuo stile e nemmeno nel mio". La presidenza del D'Annunzio, però, si limita, per quello che riguarda le sue funzioni di ordinaria amministrazione, alla nomina di un vice; il poeta non mette mai piede alla Farnesina. Allorché Vittorio Emanuele emette il decreto di nomina, il Vate gli manda un messaggio: "Gli anni e le malattie hanno resa la mia voce rauca e fievole; forse ritornerà alta e bella nell'ultima parola formulata dalla Morte". Al funerale del poeta, scomparso nel marzo del 1938, Mussolini vestirà l'uniforme dell'Accademia.
Nell'aprile 1938 è nominato presidente Luigi Federzoni, presidente del Senato e più volte ministro, il quale è tutt'altro che soddisfatto perché deve lasciare il Senato per l'incompatibilità delle cariche. Con Federzoni, l'apparente autonomia della cultura dalla politica, che sembrava caratterizzare l'azione di Marconi, lascia il posto alla piena e palese accettazione del compito "imperiale" di dare una base culturale alle imprese dell'Italia di Mussolini (realizzando, per dirla con il linguaggio del consiglio direttivo dell'istituzione, "la perfetta aderenza dell'Accademia ai problemi relativi alla posizione storica della nazione"). Pur non cessando di dare buoni frutti culturali, l'Accademia si allinea a tutte le battaglie del regime: quella del "voi" contro il "lei", quella contro le "parole esotiche", quella per l'architettura piacentiniana.
La legge n. 755 dell'8 giugno 1939 sancisce la fusione della Reale Accademia nazionale dei Lincei con la Reale Accademia d'Italia. Di fatto l'Accademia Nazionale dei Lincei è sciolta e assimilata dall'Accademia d'Italia, e i suoi membri aggregati a quest'ultima[3].
Il 22 maggio 1940, alla vigilia dell'entrata in guerra, l'alto consesso approva all'unanimità un messaggio che esprime al Duce "la certezza delle nuove e più alte mete alle quali egli condurrà la Patria Fascista", e pone al servizio di questa tutte le proprie energie di fede, di pensiero e di opere per unirsi allo sforzo compatto ed appassionato dell'intero popolo italiano. Poi le esigenze della guerra prendono il primo posto e culturalmente scende la notte.
La presidenza di Federzoni si chiude il 25 luglio 1943: avendo egli appoggiato l'Ordine del giorno Grandi, il 24 febbraio del 1944 un decreto del Duce lo destituisce da membro dell'Accademia (assieme ad Alberto De Stefani ed ai membri aggregati De Vecchi e Bottai).
Il suo posto è preso nel novembre 1943 da Giovanni Gentile, con il quale inizia l'ultimo capitolo dell'Accademia. Gli Alleati avanzano e nel gennaio del 1944 Gentile trasferisce a Firenze, in palazzo Serristori, la sede dell'istituzione. Da qui Gentile lavora all'emanazione di una serie di decreti vólti a riformarne l'organizzazione, tra cui quello che prevede la ricostituzione dell'Accademia dei Lincei come istituzione aggregata all'Accademia d'Italia (ora non più Reale). Questa e altre riforme non vedranno la luce, in quanto il 15 aprile dello stesso anno il filosofo cade vittima di un attentato gappista. A sostituirlo è chiamato Giotto Dainelli Dolfi, che ne è l'ultimo presidente.
La soppressione
modificaGiotto Dainelli Dolfi è nominato con "poteri commissariali per l'amministrazione ordinaria e straordinaria dell'Ente e delle istituzioni annesse"; ricopre contemporaneamente la carica di podestà di Firenze e non ha la notorietà dei predecessori, pur essendo un valente professore di geografia fisica. Egli prende con impegno la nomina ed il 21 aprile 1944 conferisce i premi annuali al matematico Leonida Tonelli e allo scrittore Marino Moretti. Nel giugno Dainelli decide di trasferire l'Accademia al nord, prima a Bergamo, poi a Villa Carlotta nei pressi di Tremezzo, sul lago di Como. Il camion per Bergamo viene centrato durante un bombardamento e si perdono così sull'Appennino i documenti dell'Accademia. Questa notizia si deve a una lettera, datata 20 giugno 1947, del cancelliere dell’Accademia dei Lincei, Raffaello Morghen al direttore generale delle accademie e biblioteche, G. Gaetani d’Aragona, che chiedeva informazioni relative ad alcune pubblicazioni di Antonio Baldacci, depositate nell’Accademia d’Italia, in cui si legge che “nell’ultima spedizione di materiali della segreteria da Roma a Firenze, (…) l’autocarro venne bombardato e incendiato tra Arezzo e Firenze e tutti i materiali andarono perduti”. Ma come precisano le curatrici dell'inventario dell'archivio dell'Accademia, riordinato e poi pubblicato nel 2005: "Fortunatamente questa affermazione si è rivelata infondata per quanto concerne la documentazione dell’archivio. Leggendo le carte precedenti i trasferimenti che l’accademia, per le note vicende storiche e politiche, dovette affrontare, prima a Firenze e poi a Tremezzo, emerge che particolare attenzione fu invece riservata alla conservazione della documentazione. Di certo alcuni materiali andarono perduti nel corso del viaggio a Firenze, si pensa soprattutto agli allegati delle domande per i premi" (p. LXI).
Il 28 settembre 1944, il Governo Bonomi II emana due decreti legislativi che sanciscono rispettivamente la soppressione dell'Accademia d'Italia e la ricostituzione dell'Accademia Nazionale dei Lincei[4], anche se, nell'ambito della Repubblica Sociale Italiana, l'Accademia proseguirà le sue attività[senza fonte] fino alla Liberazione.
L'uniforme degli accademici
modificaAlcune settimane prima dell'inaugurazione ufficiale dell'Accademia, nel settembre 1929, il regime incarica gli organi d'informazione quotidiana di divulgare la notizia relativa all'"uniforme" che i futuri accademici dovranno indossare nelle occasioni ufficiali con la nota seguente. La Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia pubblica il decreto che stabilisce l'uniforme degli accademici d'Italia e il suo uso nelle pubbliche funzioni e cerimonie. Tale uniforme consiste in un abito a spada in uso nelle uniformi civili, di panno turchino (bleu de roi) abbottonato con una sola fila di nove bottoni. Ricami d'argento su disegni di quercia al petto e sulle falde con ornamento, al posto delle tasche, collo e paramani, fioroni e bacchetta intorno all'abito, bottoni argentati, pantalone di panno turchino con bande di gallone d'argento, bicorno con nastro di seta nera, piumata in argento, coccarda nazionale, spada con elsa argentata e impugnatura d'avorio, porta spada a cartoccio. Il mantello è di panno con bavero di velluto. Quanto alle variante per il presidente ed i vice-presidenti, il primo aggiunge intorno al petto e al collo una guida uguale a quella delle falde, aggiunge sulle maniche sopra al paramano due guide simili e porta piuma bianca al cappello. I vice-presidenti aggiungono sulle maniche, sopra al paramano, una guida come sopra.
Accademici d'Italia
modificaElenco completo degli accademici dell'Accademia d'Italia aggiornato al luglio 1939[5].
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Note
modifica- ^ 1926 Fondazione della Reale Accademia d’Italia, su lincei-celebrazioni.it.
- ^ Direzione generale per gli archivi,Reale accademia d'Italia:inventario dell'archivio, 2005, Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma, pagina XXXIX (PDF) (archiviato dall'url originale il 7 settembre 2012).
- ^ Accademia dei Lincei - Cronologia - 1939 Fusione dell’Accademia dei Lincei con l’Accademia d’Italia, su lincei-celebrazioni.it. URL consultato il 25 maggio 2022.
- ^ Accademia dei Lincei - Cronologia - 1944, su lincei-celebrazioni.it. URL consultato il 25 maggio 2022.
- ^ Panorama 27 giugno 1939 pag 641
- ^ Annuario della Reale accademia d'Italia, Volumi 10-12, su books.google.it.
Bibliografia
modifica- Marinella Ferrarotto, L'Accademia d'Italia. Intellettuali e potere durante il fascismo, Liguori, 1977.
- Valerio Castronovo, La stampa italiana dall'Unità al fascismo, Laterza, 1973.
- Giuseppe Pianese, Accademico d’Italia, in Italo Farnetani, Mediterraneo. Un mare di salute da Ippocrate ai giorni nostri, Mazara del Vallo (Trapani), Città di Mazara del Vallo; Rotary Club di Mazara del Vallo, 2021, pp. 153-157, 162. http://www.italofarnetani.it/pdf/SI%20STAMPI%20LIBRO%20ROTARI%2014%20ottobre%202021.pdf
- Paola Cagiano de Azevedo, Elvira Gerardi (a cura di), Reale Accademia d'Italia. Inventario dell'archivio (PDF). URL consultato il 3 settembre 2017 (archiviato dall'url originale il 7 settembre 2012)., Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 2005.
- Cesco Giulio Baghino, Enzo Marino, L'Accademia d'Italia. Motore della cultura, Iiriti Editore, 2001.
Voci correlate
modificaCollegamenti esterni
modifica- Accademia d'Italia, su treccani.it. URL consultato il 5 settembre 2012.
- Archivio dell'Accademia d'Italia (PDF), su archivi.beniculturali.it. URL consultato il 16 maggio 2009 (archiviato dall'url originale il 7 settembre 2012).
- 1926 Fondazione della Reale Accademia d’Italia, su lincei-celebrazioni.it.
- Mussolini inaugura l'Accademia d'Italia. Una fastosa cerimonia in Campidoglio. articolo di G.B. Angioletti, La Stampa, 29 ottobre 1929. p. 3, Archivio storico. URL visitato il 6/09/2012
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