Adalberto II di Ballenstedt

Adalberto II di Ballenstedt (1030 circa – 1076/1083) fu graf (conte) in Sassonia e vogt dell'abbazia di Nienburg. Fu anche uno dei primi membri della dinastia ascanide.

Adalberto II
Conte di Ballenstedt
Stemma
Stemma
In carica1060 circa –
1076/1083
PredecessoreEsico di Ballenstedt
SuccessoreOttone di Ballenstedt
Nascita1030 circa
Morte1076/1083
DinastiaAscanidi
PadreEsico di Ballenstedt
MadreMatilde di Svevia
ConiugeAdelaide di Weimar-Orlamünde
FigliOttone il Ricco
Sigfrido di Ballenstedt

Biografia modifica

Adelberto, menzionato per la prima volta in un atto del 1033, nacque nel castello di Ballenstedt nello Schwabengau sassone, figlio del conte Esico di Ballenstedt († 1060 circa) e sua moglie Matilda, probabilmente da identificare con la figlia del duca Ermanno II di Svevia Matilde[1]. Intorno al 1068 sposò Adelaide di Weimar-Orlamünde, figlia del margravio Ottone I di Meißen della stirpe dei Weimar e della moglie Adela di Lovanio[2]. Essi ebbero due figli:

Adalberto fu l'erede di estesi possedimenti e, grazie ad essi, divenne uno dei principali nobili sassoni. Nel 1069 fu nominato conte nel Nordthüringgau, poi anche nella marca orientale sassone. Secondo il cronista Lamberto di Hersfeld, Adalberto sostenne il margravio Dedi I nel suo conflitto del 1069 con il re Enrico IV di Franconia. Dedi, appartenente alla dinastia Wettin, aveva sposato la suocera di Adalberto, Adela di Lovanio, vedova dal 1067, e rivendicava i possedimenti della Turingia del suo defunto marito, il margravio Ottone I di Meißen. La loro rivolta trovò scarso sostegno; entrambi dovettero arrendersi in breve tempo e furono perdonati nel 1070, ma Adalberto, tuttavia, rimase un feroce oppositore del re.

Dal 1072 in poi partecipò alla ribellione sassone guidata dal conte Ottone di Northeim e dal vescovo Bucardo II di Halberstadt[3], per la quale fu arrestato dopo la vittoria di re Enrico nella battaglia di Langensalza del 1075. Anche dopo il suo rilascio, circa due anni dopo, sostenne l'anti-re tedesco Rodolfo di Rheinfelden fino a quando non fu ucciso, forse in una faida, a Westdorf vicino ad Aschersleben dal nobile sassone Egeno II di Konradsburg[4].

La vedova di Adalberto, Adelaide, si risposò con il conte palatino Ermanno II di Lotaringia della dinastia Azzonide e successivamente si risposò ancora con il conte palatino Enrico II di Laach della casata di Lussemburgo, le quali proprietà, alla sua morte, andarono al figliastro (figlio di Adalberto II e di Adelaide) Sigfrido.

La leggenda modifica

La croce di pietra di Westdorf ricorda con una leggenda l'uccisione di Adalberto:

(DE)

«.. Durch den Klang einer Glocke verrathen fiel er Egeno dem Jüngeren von Konradsburg in die Hände und ward von ihm erschlagen .. das unglückliche Ende von Otto's Vater .. Otto von Ballenstedt sollte die Ausgleichung dieses langjährigen Haders bei welchem die Interessen seiner Familie so wesentlich betheiligt waren .. die Edelen von Konradsburg die Gründung eines Klosters für nöthig halten mochten um .. jene blutige That zu sühnen ...»

(IT)

«Tradito dal suono di una campana, [Adalberto] cadde nelle mani di Egeno il Giovane di Konradsburg e fu da lui picchiato a morte [...] la fine infelice del padre di Ottone [...] Ottone di Ballenstedt avrebbe dovuto risarcire per questa lunga disputa, in cui erano in gioco gli interessi della sua famiglia [...] i nobili di Konradsburg potrebbero considerare necessaria la fondazione di un monastero necessario per [...] espiare questo atto sanguinoso [...].»

La faida durò più di 40 anni e continuò per oltre 20 anni dopo la morte di Adelaide.

Ascendenza modifica

Genitori Nonni Bisnonni Trisnonni
 
 
 
 
 
 
 
Esico di Ballenstedt  
 
 
 
 
 
 
 
Adalberto II di Ballenstedt  
Corrado I di Svevia  
 
 
Ermanno II di Svevia  
 
 
 
Matilde di Svevia  
Corrado III di Borgogna Rodolfo II di Borgogna  
 
Berta di Svevia  
Gerberga di Borgogna  
Matilde di Francia Luigi IV di Francia  
 
Gerberga di Sassonia  
 

Note modifica

  1. ^ a b c Loud & Schenk 2017, p. XXVI.
  2. ^ Jackman 2012, p. 33.
  3. ^ Eldevik 2012, p. 241
  4. ^ Reuter 2010, p. 364.

Bibliografia modifica

Altri progetti modifica

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