Ambasciatore d'Italia in Cina

lista di un progetto Wikimedia

L'ambasciatore d'Italia in Cina (in cinese 意大利驻华大使) è il capo della missione diplomatica della Repubblica Italiana nella Repubblica Popolare Cinese. Dal 17 maggio 2023 l'ambasciatore d'Italia in Cina è Massimo Ambrosetti[1].

Storia modifica

Impero cinese modifica

I rapporti diplomatici tra il Regno d'Italia e l'Impero cinese ebbero inizio il 26 ottobre 1866[2], con la firma di un trattato commerciale (Trattato di amicizia, di commercio e navigazione) per mano dell'ammiraglio Vittorio Arminjon. Era il periodo in cui le potenze europee si affacciavano nel Paese asiatico per stipulare trattati commerciali, i cosiddetti trattati ineguali, privando di fatto la Cina della sua sovranità, uscita sconfitta dalla seconda guerra dell'oppio combattuta tra il 1856 e il 1860[3].

Alcuni mesi dopo si insediò il primo corpo diplomatico guidato da Sallier De La Tour, il quale stabilì la sua residenza in Giappone, riflettendo la priorità nella politica estera italiana. Solo nel dicembre 1878, con Ferdinando De Luca, la sede diplomatica venne spostata in territorio cinese, anche se alla capitale Pechino venne preferita Shanghai, vero cuore pulsante della Cina imperiale.

Tuttavia la Cina dell'epoca non rivestiva un ruolo centrale nelle politiche estere delle potenze mondiali, e il ruolo delle ambasciate andava poco oltre la facilitazione di accordi commerciali. In poche occasioni la rappresentanza diplomatica ebbe un ruolo attivo nelle vicende politiche del Paese, subendo tuttavia insuccessi imbarazzanti; nel 1884, allo scoppio della guerra franco-cinese, De Luca, all'epoca ministro plenipotenziario d'Italia, offrì protezione alle missioni cattoliche presenti in Cina, non più tutelate dalla Francia in guerra con il Paese ospitante, rilasciando ai missionari certificati di nazionalità italiana. Al termine del conflitto, tuttavia, la Francia pretese il ripristino del ruolo di protezione che storicamente si era arrogata; De Luca tentò di fare pressioni per mantenere il diritto acquisito ma per via dell'opposizione della Santa Sede, ancora mal disposta verso il regno d'Italia a causa della questione romana, l'iniziativa non si concretizzò.

Nel 1889 la rappresentanza fu trasferita nella capitale, dopo l'improvvisa morte di De Luca. In queste sede era stabilito il capo legazione Salvago Raggi allo scoppio della ribellione dei Boxer, una delle fasi più concitate dell'inizio del XX secolo. Di quel periodo scrisse il futuro capo missione Daniele Varè, descrivendo l'acquisto della nuova sede della legazione dopo l'incendio della prima durante l'assedio dei Boxer, rimarcando le considerevoli dimensioni della proprietà[4].

Dopo una serie di azioni diplomatiche poco felici, il primo successo si registrò con la partecipazione alla spedizione militare europea contro le provocazioni dei Boxers, ottenendo la concessione italiana di Tientsin nel 1902[5]. L'opportunità venne ancora una volta sprecata in quanto non furono mai sfruttate le potenzialità della concessione come testa di ponte per la penetrazione commerciale nel Paese asiatico; anzi già nel 1910 la concessione versava in uno stato di abbandono[6].

Rivoluzione Xinhai e repubblica di Cina modifica

L'Italia perpetuò il ruolo marginale per parecchi anni, compresi quelli della rivoluzione Xinhai, nel 1911, e della proclamazione della repubblica di Cina nel 1912. Con la salita al potere di Yuan Shikai l'influenza italiana nella regione aumentò, suffragata dai buoni rapporti personali del neo presidente con il plenipotenziario Carlo Sforza. Questo periodo fu breve e terminò con la morte dello stesso Yuan, che lasciò il Paese in balia dell'anarchia dei signori locali (i "signori della guerra")[7]. La situazione persistette durante la prima guerra mondiale e il periodo interbellico, durante la quale le potenze occidentali spostarono l'attenzione verso altri palcoscenici della politica internazionale, lasciando l'azione diplomatica all'iniziativa dei singoli ambasciatori.

Nuovi entusiasmi nella politica cinese vennero destati nel 1927 con la conquista del potere da parte di Zhang Zuolin, nella Cina del Nord, e poi di Chiang Kai-shek. Mussolini vedeva con ammirazione il modello politico-militare cinese e si adoperò presto a riconoscere il nuovo governo della Cina costituito a Nanchino[8].

A conferma del nuovo interesse per il nuovo corso cinese, nel 1927 un giovane Galeazzo Ciano fu inviato a Pechino come segretario di legazione, tornerà in Italia nel 1929 per rimettere piede in Cina successivamente come ambasciatore. Fu un periodo di ferventi scambi economici e culturali, mossi dall'allineamento politico delle due nazioni, ma anche dai rapporti personali di Ciano con l'establishment militare cinese. Nel 1934 la Legazione fu elevata ad Ambasciata[9].

Tuttavia nuovi eventi internazionali si frapposero nell'intreccio diplomatico. Nel 1935 infatti la Cina si espresse favorevolmente alla votazione delle sanzioni economiche della Società delle Nazioni contro l'Italia fascista in relazione alla guerra d'Etiopia. Nel 1937 invece, l'invasione giapponese in Cina e l'alleanza con il Giappone tranciò definitivamente i rapporti tra i due paesi un tempo amici, ponendoli su fronti opposti.

In questo contesto dovette operare l'ambasciatore Taliani de Marchio il quale, dopo l'avanzata giapponese in Cina e la costituzione del governo fantoccio filo-giapponese di Wang Jingwei, fu internato assieme alla moglie in un campo di concentramento giapponese, avendo rifiutato di giurare fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana[10][11].

Repubblica popolare cinese modifica

Con il Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 l'Italia perse la concessione di Tientsin, che ritornò sotto la bandiera cinese, seguendone le vicissitudini future.

Nel secondo dopoguerra, dopo una prima fase di stabilizzazione, il Paese fu unificato sotto il regime comunista verso la fine degli anni '40. In quel periodo era ambasciatore a Pechino Sergio Fenoaltea il quale, nominato nel marzo 1946, raggiunse la Cina solo qualche mese dopo a causa della situazione caotica sia in Cina, in balia degli scontri tra i nazionalisti di Chiang Kai-shek e i comunisti di Mao Zedong, che in Italia, dove era in atto la transizione da monarchia a repubblica nello scenario di ricostruzione post-bellica.

Fenoaltea fu richiamato in Italia nel 1949 dopo un breve periodo in cui il governo italiano mantenne una posizione attendista, tra le spinte delle forze social-comuniste favorevoli al riconoscimento del nuova repubblica popolare cinese e l'allineamento filo-americano restio ad accettare il nuovo corso cinese.

Con il rientro di Fenoaltea, l'incaricato d'affari divenne Ezio Mizzan, che spinse per una scelta ferma tra il riconoscimento della Cina comunista e la troncatura completa dei rapporti con la chiusura dell'ambasciata, i cui diplomatici, incluso lui stesso, non godevano più dell'immunità diplomatica, ed erano considerati dalla nuova autorità come semplici cittadini stranieri, se non addirittura "spie di governi stranieri ostili".[12][13][14]

Alla fine in Italia, come nella maggior parte dei Paesi del blocco occidentale[15], prevalse la scelta americana. L'Italia continuò a riconoscere come governo legittimo della Cina quello nazionalista di Chiang rifugiato a Taiwan, trasferendo nell'isola l'ambasciata fino al novembre del 1970. Con la chiusura degli uffici nel territorio della repubblica popolare parte della documentazione venne distrutta, mentre un'altra parte venne sigillata e archiviata presso la legazione elvetica in Cina; fu recuperata solo nel 1970[16].

Negli anni che seguirono la chiusura dell'ambasciata i rapporti bilaterali vennero congelati, tuttavia negli ambienti politici italiani più progressisti fu avanzata la proposta di riallacciare i rapporti diplomatici al fine di riavviare le relazioni commerciali di cui beneficiavano altri Paesi occidentali, quali la Germania occidentale, il Belgio, ma anche la Francia e il Regno Unito che avevano mantenuto le rispettive legazioni in territorio cinese.

Infine il 24 gennaio 1969 il ministro degli esteri Nenni annunciò l'intenzione italiana di riconoscere la Cina Popolare, portata a termine dal suo successore Aldo Moro, il quale prevedeva il ruolo di superpotenza della nazione che già all'epoca contava più di 800 milioni di abitanti[8].

I rapporti negli anni successivi furono un alternarsi di alti e bassi che rispecchiavano le direttrici della politica estera italiana. Negli anni '70 ad esempio si raffreddarono a causa degli accordi di Helsinki, avversati da Pechino in quanto prevedevano una distensione dei rapporti occidentali con l'Unione Sovietica, all'epoca in rotta con la Cina. Intanto nella Repubblica Popolare si gettavano i semi della futura potenza commerciale e i vertici del Partito Comunista Cinese cercavano accordi e relazioni diplomatiche con la comunità europea, attirando le attenzioni del mondo occidentale sull'"emergere della Cina potenza mondiale dalla carcassa della Cina colonizzata".

Lista degli ambasciatori modifica

Quella che segue è una lista degli ambasciatori italiani in Cina[17][18].

Nomina Fine mandato Titolo Capo missione Sede Nominato dal governo Accreditato da
Impero cinese
26 ottobre 1866 1866 Inc. d'affari Vittorio Arminjon La Marmora III Cixi
31 marzo 1867 1870 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Vittorio Sallier De La Tour Edo (Giappone) Ricasoli II Cixi
7 marzo 1870 1877 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Alessandro Fè d'Ostiani Edo (Giappone) Lanza Cixi
22 febbraio 1877 1878 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Raffaele Ulisse Barbolani Edo (Giappone) Depretis I Cixi
12 dicembre 1878 1883 Console Gen., Min. Res. con L.C. Ferdinando De Luca Shanghai[19] Cairoli I Cixi
16 novembre 1883 1889 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Ferdinando De Luca Shanghai Depretis V Cixi
5 dicembre 1889 1894 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Alberto Pansa Pechino Crispi II Guangxu
8 febbraio 1894 10 ottobre 1896 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Alessandro Bardi Pechino Crispi III Guangxu
6 marzo 1898 1899 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Renato de Martino Pechino di Rudinì IV Guangxu
23 marzo 1899 1900 Min. Res. con L.C. Giuseppe Salvago Raggi Pechino Pelloux I Cixi
25 novembre 1900 24 settembre 1901 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Giuseppe Salvago Raggi Pechino Saracco Cixi
19 dicembre 1901 5 dicembre 1904 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Vitale Giovanni Gallina Pechino Zanardelli Cixi
11 luglio 1904 19 novembre 1906 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Carlo Baroli Pechino Giolitti II Cixi
3 novembre 1907 1910 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Giulio Cesare Vinci Pechino Giolitti III Cixi
3 marzo 1910 1911 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Federico Barilari Pechino Sonnino II Pu Yi
11 maggio 1911 1915 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Carlo Sforza Pechino Giolitti IV Pu Yi
Repubblica di Cina
1 maggio 1916 1919 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Carlo Aliotti Pechino Salandra II Yuan Shikai
6 gennaio 1919 novembre 1919 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Carlo Garbasso[20] Pechino Orlando Xu Shichang
27 maggio 1920 1921 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Carlo Durazzo[20] Pechino Nitti II Xu Shichang
28 settembre 1922 10 giugno 1926 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Vittorio Cerruti Pechino Facta II Li Yuanhong
6 febbraio 1927 1931 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Daniele Varè[20] Pechino Mussolini Gu Weijun
26 maggio 1932 1933 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Galeazzo Ciano Shanghai Mussolini Lin Sen
19 settembre 1933 1934 Inv. Str. e Min. Plenip. con L.C. Raffaele Boscarelli Shanghai Mussolini Lin Sen
6 dicembre 1934 1937 Ambasciatore Vincenzo Lojacono Shanghai Mussolini Lin Sen
4 gennaio 1937 1937 Ambasciatore Giuliano Cora Shanghai Mussolini Lin Sen
22 giugno 1938 1946 Ambasciatore Francesco Maria Taliani de Marchio Shanghai Mussolini Lin Sen
6 marzo 1946 1949 Ambasciatore Sergio Fenoaltea Nanchino De Gasperi I Chiang Kai-shek
novembre 1949 dicembre 1951 Inc. d'affari Ezio Mizzan[14] Nanchino De Gasperi V Chiang Kai-shek
Repubblica Popolare Cinese
8 dicembre 1970 1971 Inc. d'affari Antonino Restivo Pechino Colombo Song Qingling
12 maggio 1971 1975 Ambasciatore Folco Trabalza Pechino Colombo Zhu De
4 settembre 1975 1980 Ambasciatore Marco Francisci Di Baschi Pechino Moro IV Zhu De
1 agosto 1980 1984 Ambasciatore Giulio Tamagnini Pechino Cossiga II Ye Jianying
30 gennaio 1984 1987 Ambasciatore Raffaele Marras Pechino Craxi I Li Xiannian
1 febbraio 1987 1990 Ambasciatore Alberto Solera Pechino Craxi II Li Xiannian
28 febbraio 1990 1994 Ambasciatore Oliviero Rossi Pechino Andreotti VI Yang Shangkun
23 aprile 1994 1998 Ambasciatore Alessandro Quaroni Pechino Ciampi Jiang Zemin
17 settembre 1998 2003 Ambasciatore Paolo Bruni Pechino Prodi I Jiang Zemin
30 aprile 2003 2006 Ambasciatore Gabriele Menegatti Pechino Berlusconi II Hu Jintao
11 dicembre 2006 2010 Ambasciatore Riccardo Sessa Pechino Prodi II Hu Jintao
27 ottobre 2010 2013 Ambasciatore Attilio Massimo Iannucci Pechino Berlusconi IV Hu Jintao
5 gennaio 2013 2015 Ambasciatore Alberto Bradanini Pechino Monti Hu Jintao
19 agosto 2015 2019 Ambasciatore Ettore Francesco Sequi Pechino Renzi Xi Jinping
2 gennaio 2020 2022 Ambasciatore Luca Ferrari Pechino Conte II Xi Jinping
17 maggio 2023 in carica Ambasciatore Massimo Ambrosetti Pechino Meloni Xi Jinping

Altre sedi diplomatiche d'Italia in Cina modifica

Oltre l'ambasciata a Pechino, esiste un'estesa rete consolare della repubblica italiana nel territorio cinese[21]:

Tipologia Sede Note
Consolato Generale d'Italia Shanghai http://www.consshanghai.esteri.it/[collegamento interrotto]
Consolato Generale d'Italia Canton http://www.conscanton.esteri.it/[collegamento interrotto]
    Corrispondente Consolare     Shenzhen dipendente dal Consolato Gen. a Canton
    Corrispondente Consolare     Hainan dipendente dal Consolato Gen. a Canton
    Corrispondente Consolare     Fujian dipendente dal Consolato Gen. a Canton
Consolato Generale d'Italia Chongqing http://www.conschongqing.esteri.it/[collegamento interrotto]
Consolato Generale d'Italia Hong Kong http://www.conshongkong.esteri.it/[collegamento interrotto]

Note modifica

  1. ^ Ambasciata d'Italia a Pechino. L'ambasciatore, su ambpechino.esteri.it. URL consultato il 4 giugno 2016 (archiviato dall'url originale il 3 giugno 2016).
  2. ^ AA.VV., 2013, p. 33.
  3. ^ V. Moccia, 2014, p. 10.
  4. ^ D. Varè, 1938, p. 104.
  5. ^ Amedeo Tosti, La spedizione italiana in Cina (1900–1901), Roma, Ministero della guerra - Ufficio Storico, pp. 23-24.
  6. ^ Giorgio Borsa, Tentativi di penetrazione dell'Italia fascista in Cina: 1932–1937, in Il Politico, vol. 44, n. 3, Rubbettino Editore, settembre 1979, p. 382.
  7. ^

    «Mancava però un governo cinese, o piuttosto ce n’erano tanti che non si sapeva a quale presentare le credenziali. Difatti non le presentai che due anni più tardi, a Chiang Kai-shek, a Nanchino.»

  8. ^ a b Carla Meneguzzi Rostagni, Italia e Cina – un secolo di relazioni (PDF), vol. 2, Budapest, Identità italiana e civiltà globale all'inizio del ventunesimo secolo, 2012, ISBN 978-963-08-3061-4.
  9. ^ AA.VV., 2013, p. 9.
  10. ^ Francesco Maria Taliani de Marchio, È morto in Cina, Mondadori, 1949.
  11. ^ TALIANI de MARCHIO Francesco Maria, su baldi.diplomacy.edu.
  12. ^ Storia & Diplomazia Rassegna dell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri (PDF), n. 2/2013, Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, pp. 40–43. URL consultato il 14 aprile 2021.
  13. ^ NANCHINO, APRILE 1952: DAI RAPPORTI RISERVATI DEL NOSTRO 'AMBASCIATORE' MIZZAN, su limesonline.com, Limes, 3 gennaio 1995. URL consultato il 13 aprile 2021 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2021).
  14. ^ a b Stefano Beltrame, Breve storia degli italiani in Cina, Luiss, 2019, p. 44; 240, ISBN 9788861053908.
  15. ^ Alla fine degli anni '50 solo solo 26 Stati riconoscevano la Cina comunista.
  16. ^ AA.VV., 2013, pp. 42-44.
  17. ^ AA.VV., 2013, p. 62.
  18. ^ Capi missione italiani in Cina[collegamento interrotto]
  19. ^ V. Moccia, 2014, p. 13.
  20. ^ a b c V. Moccia, 2014, p. 49.
  21. ^ Ambasciata d'Italia a Pechino. La rete consolare, su ambpechino.esteri.it. URL consultato il 4 giugno 2016 (archiviato dall'url originale il 9 giugno 2016).

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica

Collegamenti esterni modifica