Genocidio cambogiano

morte di circa un quarto della popolazione cambogiana a causa delle scelte ed azioni del regime comunista dei khmer rossi, dal 1976 al 1979
(Reindirizzamento da Autogenocidio cambogiano)

Con genocidio cambogiano (riportato in lingua khmer របបប្រល័យពូជសាសន៍) e di minoranze etniche e religiose cambogiane o autogenocidio cambogiano ci si riferisce al processo di epurazione del popolo cambogiano avvenuto tra il 1975 e il 1979, ovvero nell'arco dell'esistenza della Kampuchea Democratica, sotto la dittatura di Pol Pot. La storiografia ha appurato che durante l'esistenza della Kampuchea Democratica sono stati uccisi da 1,5 a 3 milioni di cambogiani. Per le proporzioni del fenomeno e l'impatto sulla popolazione complessiva, il genocidio in questione può essere considerato come un caso unico e senza precedenti nella storia dell'umanità.

Teschi delle vittime del genocidio cambogiano

I khmer rossi volevano trasformare il paese in una repubblica socialista agraria, fondata sui principi del maoismo.[1][2][3] Pol Pot e Khmer Rossi erano stati a lungo sostenuti dal Partito Comunista Cinese (PCC) e dal Presidente del PCC Mao Zedong, e furono influenzati dalla Rivoluzione Culturale Cinese.[4][5][6][7][8] Si stima che almeno il 90% degli aiuti esteri ai Khmer Rossi provenisse dalla Cina, con il solo 1975 che ha visto almeno 1 miliardo di dollari in aiuti economici e militari senza interessi dalla Cina.[7][9] Pol Pot e altri funzionari Khmer Rossi si incontrarono con Mao a Pechino nel giugno 1975, ricevendo approvazione e consigli, mentre funzionari di alto rango del PCC come Zhang Chunqiao si recarono in seguito in Cambogia per offrire aiuto.[5][10][11] Economicamente, i Khmer rossi hanno dato il via al "Maha lout ploh", una frase presa in prestito dal cinese "Grande balzo in avanti".[12][13]

Nel 1976 i khmer rossi cambiarono il nome del paese in Kampuchea Democratica. Per realizzare i loro obiettivi, essi svuotarono le città e molti cambogiani furono deportati in campi di lavoro, dove una grande quantità di persone scomparve a seguito di esecuzioni di massa, lavori forzati, abusi fisici, malnutrizione e malattie. Circa il 25% della popolazione totale della Cambogia fu ucciso e praticamente ogni famiglia cambogiana ha perso uno o più componenti durante gli anni delle deportazioni.[14][15] All'incirca 20.000 persone passarono attraverso il centro di tortura di Tuol Sleng (noto anche come S-21), una delle 196 prigioni gestite dai khmer rossi,[16][17] e solo sette adulti sopravvissero.[18] Gli oppositori venivano portati nei Killing Fields, dove venivano giustiziati (spesso con attrezzi contadini come picchetti o asce, per risparmiare proiettili) e sepolti in fosse comuni. Il rapimento e l'indottrinamento dei bambini era diffuso e molti bambini e ragazzi, nel pieno della loro incoscienza e immaturità, ignari di ciò che facevano, venivano persuasi o costretti a commettere veri e propri atti di sadismo.[19] L'invasione vietnamita della Cambogia pose fine al genocidio con la sconfitta dei khmer rossi nel 1979.[20]

Il 2 gennaio 2001 il governo cambogiano istituì il Tribunale speciale della Cambogia, con l'intento di processare i membri del regime responsabili del genocidio cambogiano. Le udienze cominciarono il 17 febbraio 2009.[21] Il 7 agosto 2014 Nuon Chea e Khieu Samphan sono stati condannati all'ergastolo per crimini contro l'umanità durante il genocidio. A partire dal 2009, la ONG cambogiana Centro cambogiano di documentazione ha mappato circa 23.745 fosse comuni contenenti circa 1,3 milioni di presunte vittime dell'esecuzione. Si stima che l'esecuzione diretta rappresenti circa il 60% del bilancio totale delle vittime durante il genocidio,[22] mentre le rimanenti vittime morirono di fame o malattia.

Mappa realizzata con i teschi delle vittime del regime, un tempo esposta presso il Museo del genocidio di Tuol Sleng.

Descrizione modifica

Il conteggio delle vittime dei khmer rossi ha prodotto risultati che variano da un minimo di 800.000 a un massimo di 3.300.000 morti. Questo conteggio riguarda le vittime delle esecuzioni, delle carestie e dell'assenza di cure mediche.

 
Teschi provenienti dai Killing Fields di Choeung Ek

Ideologia modifica

L'ideologia ha avuto un ruolo di primo piano nel genocidio. Pol Pot e gli khmer rossi miravano a riportare la Cambogia indietro al suo "passato mitico" del potente Impero khmer, e a frenare l'influenza negativa degli aiuti stranieri e della cultura occidentale, e ricondurre il paese a una società agraria. Gli sforzi compiuti per realizzare questi obiettivi furono i fattori chiave che portarono al genocidio.[24][25] In proposito, un capo degli khmer rossi affermò che le uccisioni erano necessarie per la "purificazione della popolazione."[26]

Gli khmer rossi costrinsero quasi tutto il popolo cambogiano a lavorare in gruppi di lavoro mobili.[27] Michael Hunt affermò che si trattava di "un esperimento sociale di mobilizzazione unico nelle rivoluzioni del XX secolo."[27] Gli khmer rossi costrinsero la popolazione a turni estenuanti e condizioni di lavoro disumane, a morte per fame, spostamenti coatti, collettivizzazione delle terre e terrore di stato al fine di tenere la popolazione sotto giogo.[27]

Lo storico Ben Kiernan ha messo a confronto il genocidio cambogiano con il genocidio armeno, perpetrato dall'Impero ottomano, e con l'Olocausto, perpetrato dalla Germania nazista. Pur essendo sostanzialmente diverse, avevano alcuni tratti comuni. Il razzismo era una componente preponderante delle ideologie di tutti e tre i regimi. Tutti e tre presero di mira minoranze religiose e cercarono di usare la forza delle armi per espandersi in quello che credevano essere il loro territorio (rispettivamente l'Impero khmer, il Turkestan e il (DE) Lebensraum), così come tutti e tre i regimi "idealizzarono la loro classe contadina come la vera classe 'nazionale'", il substrato etnico su cui il nuovo stato sarebbe cresciuto".[28]

Torture ed esperimenti medici modifica

Il regime degli khmer rossi è anche noto per avere praticato torture ed esperimenti medici. Le persone venivano imprigionate e torturate solo perché erano sospettate di essere contro il regime o perché altri prigionieri avevano fornito i loro nomi sotto tortura. Insieme con loro, le loro intere famiglie (inclusi neonati e bambini) finirono in prigione sotto tortura, perché gli khmer rossi temevano che i loro parenti avrebbero cercato di vendicarli; una frase di Pol Pot afferma che "se si vuole estirpare l'erba, bisogna estirpare le radici".[29] La maggior parte dei prigionieri non sapeva neanche per quale motivo fosse stata imprigionata e, qualora avessero avuto il coraggio di chiedere alle guardie, esse avrebbero risposto che Angkar (Il Partito Comunista di Kampuchea) non commette mai errori e che c'era sicuramente qualcosa di illecito che avevano fatto.[30]

Ci sono molte testimonianze di efferate torture negli archivi di S-21 e negli atti del processo. Come raccontato dal sopravvissuto Bou Meng nel suo libro (scritto da Huy Vannak), le torture erano tanto atroci ed efferate che i prigionieri cercavano in tutti i modi di suicidarsi, persino utilizzando dei cucchiai, e le loro mani erano costantemente legate dietro la schiena proprio per evitare che si suicidassero o cercassero di fuggire. Quando si riteneva che non potessero fornire ulteriori informazioni, venivano bendati e inviati nei cosiddetti Killing Fields, cioè delle fosse comuni dove i deportati venivano uccisi di notte con utensili da contadini quali ad esempio falci o chiodi con martello (dal momento che i proiettili erano troppo costosi per il regime) e le loro urla erano coperte da altoparlanti che suonavano musica propagandistica della Kampuchea Democratica oltre che dai gruppi elettrogeni.

 
L'albero di Chankiri situato a Choeung Ek. Sul cartello c'è scritto "L'albero di Chankiri contro il quale i boia scaraventavano i bambini"

Il semplice indossare degli occhiali, ritenuti dai Khmer Rossi come simbolo identificativo degli intellettuali, era sufficiente per essere deportati e uccisi.[31] Un trattamento particolare era riservato ai neonati e ai bambini dei prigionieri, i quali venivano sottratti con la forza alle loro madri, portati nei Killing Fields e scaraventati con violenza contro i cosiddetti alberi di Chankiri, al fine di ucciderli.

Le torture non furono praticate solo all'interno di S-21, che era una dei tanti centri di prigionia sparsi sul territorio cambogiano, e non avevano solo lo scopo di costringere il prigioniero a confessare, ma erano anche praticate come passatempo dalle guardie. Esse temevano di diventare esse stesse prigionieri qualora avessero trattato meglio i prigionieri.[32] Inoltre, diversamente dagli altri regimi totalitari (come il nazismo) in cui i soldati e le guardie erano adulti e spesso soffrivano di stress psicologico quando dovevano compiere omicidi di massa con fucili (il che fu una delle ragioni che portò all'adozione delle camere a gas), le guardie delle prigioni del regime degli khmer rossi erano spesso dei ragazzini incattiviti, non mostravano inibizioni e non erano coscienti in pieno delle loro azioni.

Durante il regime degli khmer rossi, i medici del precedente regime furono uccisi o mandati nelle campagne affinché lavorassero come contadini, e la biblioteca della Facoltà di medicina di Phnom Penh fu bruciata[senza fonte]. Il regime istituì i cosiddetti "medici bambini" ((EN) child medics), che in realtà non erano altro che ragazzi con nessuna o pochissima formazione ed esperienza in quel campo. Non avevano nozioni di medicina occidentale (che era vietata in quanto considerata un'invenzione capitalista e riservata solo ai gerarchi di quel regime), e dovevano compiere esperimenti medici per conto loro e progredire autonomamente. Non possedevano neanche medicinali occidentali (dal momento che la Cambogia, secondo gli khmer rossi, doveva essere autosufficiente) e tutti gli esperimenti medici erano condotti sistematicamente senza una vera e propria anestesia.[33]

Un medico che lavorò all'interno di S-21 affermò che a una ragazza di 17 anni fu tagliata la gola e il suo addome fu forato, e successivamente fu percossa e messa in acqua per tutta la notte. La procedura fu ripetuta molte volte e fu compiuta senza anestesia.[34]

In un ospedale della provincia di Kampong Cham, dei medici bambini tagliarono l'intestino di una persona viva non consenziente e unirono le terminazioni per studiare il processo di guarigione. Il paziente morì tre giorni dopo l'"operazione".[33]

Nello stesso ospedale, altri "medici" istruiti dal regime degli khmer rossi aprirono il petto di una persona viva per vedere il suo cuore battere. L'operazione portò alla morte immediata del paziente.[33] Altre testimonianze, così come la politica stessa del regime degli khmer rossi, fanno pensare che questi non fossero solo casi isolati.[35][36][37] Furono praticati anche test di "medicinali", per esempio iniettando succo di cocco nel sangue di una persona viva per studiarne gli effetti. L'iniezione di succo di cocco era spesso letale.[33]

Gli esperimenti medici praticati dagli khmer rossi furono paragonabili a quelli effettuati dalla dittatura nazista, i quali per la maggior parte riguardavano test di medicinali, accoppiamento, eugenetica.

Risposta internazionale modifica

Il libro (FR) Cambodge année zéro ("Cambogia anno zero"), scritto da François Ponchaud, fu pubblicato nel 1977 e tradotto in inglese nel 1978.[38] Ponchaud è stato uno dei primi autori a far conoscere al mondo il genocidio cambogiano.[39] Ponchaud scrisse che il genocidio "era soprattutto la trasposizione in azione della particolare visione di un uomo [sic]: una persona ridotta alla fame da un regime corrotto non può essere riformata, dev'essere eliminata fisicamente dalla fratellanza dei puri."[40] Il più famoso libro dal titolo Murder of a Gentle Land: The Untold Story of a Communist Genocide in Cambodia, scritto da John Barron e Anthony Paul fu anch'esso pubblicato nel 1977.[41] Il libro era basato sulle testimonianze dei rifugiati, e una sua versione ridotta, pubblicata all'interno del Reader's Digest, ebbe ampia diffusione e ne divulgò le storie.[42]

Nel 1973, Kenneth M. Quinn, dell'ambasciata degli Stati Uniti, esternò le sue preoccupazioni per le atrocità commesse dagli khmer rossi durante la guerra civile cambogiana. In una relazione, egli affermò che il regime degli khmer rossi aveva "molto in comune con i regimi totalitari della Germania nazista e dell'Unione sovietica".[43] Quinn ha anche scritto, a proposito degli khmer rossi, che "ciò che emerge come spiegazione del terrore e della violenza che ha sconvolto la Cambogia durante gli anni '70, è che uno sparuto gruppo di intellettuali alienati, esasperati dalla loro percezione di una società corrotta e pervasi dal piano maoista di creare un puro ordine socialista nel più breve tempo possibile, reclutarono ufficiali giovanissimi, poveri e invidiosi, li educarono a metodi severi e brutali imparati da esperti stalinisti, e li usarono per annientare fisicamente le basi della civiltà khmer e per imporre una nuova società attraverso purghe, esecuzioni e violenza".[44]

All'epoca del genocidio, la Cina divenne il principale finanziatore degli khmer rossi, per esempio fornendo "più di 15000 consulenti militari"[senza fonte] e buona parte degli aiuti esterni.[45] In seguito all'opposizione cinese e occidentale all'invasione vietnamita del 1978-1979, gli khmer rossi continuarono a mantenere i seggi presso le Nazioni Unite fino al 1982, dopodiché i seggi furono colmati da una coalizione comandata da khmer rossi, nota come Governo di coalizione della Kampuchea Democratica.[46] A causa della sua opposizione al Vietnam, la Cina addestrò soldati del regime degli khmer rossi sul suo suolo dal 1979 fino al 1986, "accampò consulenti militari con le truppe degli khmer rossi fino al 1990,"[46] e "fornì almeno un miliardo di dollari in aiuti militari" durante gli anni '80.[47] Dopo gli accordi di pace di Parigi del 1991, la Thailandia continuò a consentire agli khmer rossi di "commerciare e muoversi lungo il confine thailandese per sostenere le loro attività... sebbene la disapprovazione internazionale, particolarmente da parte degli Stati Uniti e dell'Australia... costringesse allora la Thailandia a disconoscere qualsiasi supporto militare diretto."[48] Si ipotizza anche che gli Stati Uniti possano avere fornito aiuti, direttamente o indirettamente agli khmer rossi al fine di indebolire l'influenza del Vietnam nel Sud-est asiatico.[49][50][51]

Impiego di ragazzi modifica

I khmer rossi utilizzarono migliaia di giovani ragazzi incattiviti e costretti ad arruolarsi nel pieno della loro adolescenza per commettere omicidi di massa e altre atrocità durante e dopo il genocidio.[19] L'organizzazione continuò sistematicamente a usare ragazzi almeno fino al 1998, spesso reclutandoli con la forza.[52] In questo periodo, i ragazzi furono impiegati in ruoli di supporto non pagati, ad esempio per portare munizioni o come combattenti.[52] Molti ragazzi erano scappati dai khmer rossi senza alcun mezzo di sussistenza, e credevano che unirsi alle forze governative avrebbe consentito loro di sopravvivere, sebbene i comandanti locali spesso negassero loro lo stipendio.[52]

I processi per crimini di guerra modifica

 
Il complesso principale del tribunale con l'aula della corte

Il 15 luglio 1979, in seguito alla caduta del regime degli khmer rossi, il nuovo governo cambogiano emanò il "Decreto legge n° 1". Questo consentì il processo a Pol Pot e a Ieng Sary per il crimine di genocidio. Fu loro concesso un avvocato americano come avvocato difensore, Hope Stevens,[53] e furono processati in contumacia e giudicati colpevoli di genocidio.[54] A gennaio del 2001, l'Assemblea nazionale cambogiana legiferò affinché si istituisse un tribunale per processare altri membri degli khmer rossi.[55]

Nel 1999 Kang Kek Iew (detto "Duch") fu intervistato da Nic Dunlop e Nate Thayer e ammise le sue colpe per i crimini commessi nella prigione di Tuol Sleng, dove circa 17,000 prigionieri politici furono torturati e giustiziati. Duch espresse rimorso per le sue azioni, affermando che era disposto ad affrontare il processo e a testimoniare contro i suoi ex-colleghi. Durante il processo, a febbraio e marzo del 2009, Duch ammise di essere responsabile dei crimini avvenuti a Tuol Sleng. Il 26 luglio 2010 fu giudicato colpevole per i reati di crimini contro l'umanità, tortura e omicidio e fu condannato a 35 anni di prigione.[56] Il 3 febbraio 2012, la precedente sentenza fu commutata in ergastolo.[57]

Nuon Chea (chiamato "fratello numero due") fu arrestato il 19 settembre 2007.[58] Alla fine del suo processo, nel 2013, negò tutte le accuse, affermando che non aveva mai dato ordini di "maltrattare o uccidere persone, di privarle di cibo o di commettere un genocidio". Fu giudicato colpevole nel 2014 e condannato all'ergastolo. Ha mostrato rimorso e ha accettato la responsabilità morale dei suoi crimini, affermando: "mi scuso sinceramente con il pubblico, le vittime, i familiari e tutto il popolo cambogiano".[59]

Dopo essersi trasferito in una facoltosa villa a Phnom Penh, Ieng Sary fu arrestato il 12 novembre 2007 e accusato di crimini contro l'umanità assieme a sua moglie Ieng Thirith, che era stata una sorta di consigliera del regime.[60] Il 17 novembre 2011, in seguito al parere dei medici, Thirith fu giudicata non in grado di affrontare un processo a causa di una patologia mentale.[61] Sary morì di attacco cardiaco nel 2013 mentre il suo processo era ancora in corso.[62]

Un altro leader, Khieu Samphan, fu arrestato il 19 novembre 2007 e accusato di crimini contro l'umanità.[63] Fu giudicato colpevole nel 2014 e condannato all'ergastolo. Durante un'udienza il 23 giugno 2017, Samphan espresse il desiderio di inchinarsi alla memoria delle sue vittime innocenti, ma aggiunse che soffriva per coloro che avevano combattuto per il loro ideale di avere un futuro migliore.[64] Fu anche fatto appello contro la sentenza emessa, ma il 22 settembre 2022 il tribunale ha confermato la condanna.

Negazionismo modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Negazionismo del genocidio cambogiano.

Alcuni mesi prima della sua morte il 15 aprile 1998,[65] Pol Pot fu intervistato da Nate Thayer. Durante l'intervista, affermò che aveva la coscienza pulita e che negava di essere responsabile per il genocidio. Pol Pot affermò che lui era venuto "per portare avanti la lotta, non per uccidere la gente". Secondo Alex Alvarez, Pol Pot "si vedeva come una figura incompresa e ingiustamente umiliata".[66] Nel 2013, il primo ministro cambogiano Hun Sen emanò una legge che proibisce il negazionismo del genocidio cambogiano e altri crimini di guerra commessi dagli khmer rossi. La legge passò nonostante i commenti del leader dell'opposizione Kem Sokha, presidente del Partito nazionale di soccorso cambogiano. Sokha affermò che gli oggetti del Museo del genocidio di Tuol Sleng erano stati creati ad arte dai vietnamiti dopo l'invasione del 1979. Sokharty ha poi affermato che le sue affermazioni erano state tolte dal loro contesto.[67]

Riferimenti nella cultura di massa modifica

Il regista Rithy Panh, un sopravvissuto al genocidio, è "considerato da molti la voce cinematografica della Cambogia". Panh ha realizzato molti documentari sul genocidio, incluso S-21: The Khmer Rouge Killing Machine, che è stato acclamato dai critici perché "ci consente di osservare come la memoria e il tempo possono collassare e mostrarci il passato come se fosse presente e, così facendo, rivelarci il consueto volto del male."[68] Il genocidio è mostrato nel film del 1984 Urla del silenzio, vincitore del premio Oscar.[69] e nel romanzo del 2012 di Patricia McCormick Never Fall Down.[70]

Il genocidio è raccontato anche da Loung Ung nella sua memoria Il lungo nastro rosso (2000).[70][71] Dal libro è stato tratto il film Per primo hanno ucciso mio padre (2017), diretto da Angelina Jolie. Ambientato nel 1975, il film racconta la storia di una bambina di 5 anni, Loung Ung, che è costretta ad addestrarsi come soldato bambino, mentre i suoi fratelli sono mandati in campi di lavoro dal regime degli khmer rossi.[72]

Galleria d'immagini modifica

Note modifica

  1. ^ jackson, pag. 219.
  2. ^ staub-1989, pag. 202.
  3. ^ revolution-1983.
  4. ^ Sebastian Strangio, China’s Aid Emboldens Cambodia, su Università Yale. URL consultato il 7 aprile 2021.
  5. ^ a b (EN) The Chinese Communist Party’s Relationship with the Khmer Rouge in the 1970s: An Ideological Victory and a Strategic Failure, su Woodrow Wilson International Center for Scholars. URL consultato il 7 aprile 2021.
  6. ^ (EN) Steven J. Hood, Beijing's Cambodia Gamble and the Prospects for Peace in Indochina: The Khmer Rouge or Sihanouk?, in Asian Survey, vol. 30, n. 10, 1º ottobre 1990, pp. 977-991, DOI:10.2307/2644784. URL consultato il 7 aprile 2021.
  7. ^ a b Dan Levin, China Is Urged to Confront Its Own History, in The New York Times, 30 marzo 2015. URL consultato il 26 novembre 2019.
  8. ^ Il genocidio cambogiano – Ricognizioni, su ricognizioni.it. URL consultato il 7 aprile 2021.
  9. ^ (EN) Ben Kiernan, The Pol Pot Regime: Race, Power, and Genocide in Cambodia Under the Khmer Rouge, 1975-79, Yale University Press, 1º ottobre 2008, ISBN 978-0-300-14299-0. URL consultato il 7 aprile 2021.
  10. ^ China-Cambodia Relations, su Radio Free Asia. URL consultato il 7 aprile 2021.
  11. ^ A Personal Reflection on Norodom Sihanouk and Zhou Enlai: An Extraordinary Friendship on the Fringes of the Cold War (PDF), su Università della California - Berkeley. URL consultato il 7 aprile 2021 (archiviato dall'url originale il 1º ottobre 2015).
  12. ^ (EN) David P. Chandler, Brother Number One: A Political Biography Of Pol Pot, Routledge, 2 febbraio 2018, ISBN 978-0-429-98161-6. URL consultato il 7 aprile 2021.
  13. ^ (EN) David Chandler, A History of Cambodia, Routledge, 4 maggio 2018, ISBN 978-0-429-96406-0. URL consultato il 7 aprile 2021.
  14. ^ etcheson-2005,  pag. 119.
  15. ^ heuveline-1998,  pag. 49-65.
  16. ^ Henri Locard, State Violence in Democratic Kampuchea (1975-1979) and Retribution (1979-2004), in European Review of History, vol. 12, n. 1, marzo 2005, p. 134.
    «Dal 1979, il regime di Pol Pot è stato equiparato a Hitler e ai nazisti. Questo è il motivo per cui la parola "genocidio" (associata al nazismo) è stata usata per la prima volta in un regime chiaramente comunista dagli invasori vietnamiti per prendere le distanze da un governo che avevano rovesciato. Simbolo del genocidio è forse la terribile prigione S-21, ora divenuta Museo del genocidio di Tuol Sleng. Ce n'erano più di 150 dello stesso tipo sparse su tutto il territorio cambogiano, almeno una per ogni distretto.»
  17. ^ Mapping the Killing Fields, in Documentation Center of Cambodia. URL consultato il 6 giugno 2018 (archiviato dall'url originale il 26 marzo 2016).
    «Attraverso interviste e ispezioni in loco, DC-Cam ha identificato 19.733 fosse comuni, 196 prigioni che hanno funzionato durante il periodo della Democrazia Kampuchea (DK) e 81 monumenti commemorativi costruiti dai sopravvissuti del regime.»
  18. ^ Ben Kiernan, The Pol Pot Regime: Race, Power, and Genocide in Cambodia Under the Khmer Rouge, 1975–79, Yale University Press, 2014, p. 464, ISBN 978-0-300-14299-0.
    «Like all but seven of the twenty thousand Tuol Sleng prisoners, she was murdered anyway.»
  19. ^ a b D. Southerland, Cambodia Diary 6: Child Soldiers — Driven by Fear and Hate, su rfa.org, 20 luglio 2006. URL consultato il 28 marzo 2018.
  20. ^ mayersan-2013, pag. 182.
  21. ^ mendes-2011, pag. 13.
  22. ^ seybolt-aronson-fischoff,  pag. 238.
  23. ^ Rummel, RJ, "Statistics of Cambodian Democide: Estimates, Calculations, And Sources.", su hawaii.edu. URL consultato il 27 luglio 2010.
  24. ^ alvarez-2001, pag. 50.
  25. ^ alvarez-2007, pag. 16.
  26. ^ hannum-1989, pag. 88-89.
  27. ^ a b c Michael H. Hunt, The World Transformed: 1945 to the Present, New York, NY, Oxford University Press, 2014, p. 377, ISBN 978-0-19-937102-0.
  28. ^ kiernan-2003, pag. 29.
  29. ^ https://nowornever2015.wordpress.com/2015/07/01/dealing-with-cambodias-past-and-life-nowadays/
  30. ^ huyvannak-2010, Huy Vannak (2010), pp. 32-35.
  31. ^ Un nome che evoca morte ed orrore, su repubblica.it, 22 ottobre 1997.
  32. ^ https://www.nytimes.com/2009/03/01/world/asia/01iht-guard.1.20501994.html
  33. ^ a b c d Copia archiviata (PDF), su d.dccam.org. URL consultato il 29 settembre 2018 (archiviato dall'url originale il 7 aprile 2014).
  34. ^ http://www.cambodiatribunal.org/2016/06/16/propaganda-torture-and-french-colonial-heritage-looking-into-the-methods-of-the-khmer-rouge/
  35. ^ https://thediplomat.com/2012/08/chilling-evidence-in-khmer-rouge-trial/
  36. ^ https://www.phnompenhpost.com/national/barbarous-kr-medical-experiments-uncovered
  37. ^ Copia archiviata, su cambodiadaily.com. URL consultato il 29 settembre 2018 (archiviato dall'url originale il 17 febbraio 2019).
  38. ^ beachler-2011, pag. 45.
  39. ^ bartrop-2012, pag. 261.
  40. ^ tyner-2012, pag. 145.
  41. ^ barron-1977.
  42. ^ mayersan-2013, pag. 183-184.
  43. ^ power-2002, pag. 96.
  44. ^ hinton-2004, pag. 23.
  45. ^ kurlantzick-2008.
  46. ^ a b pokempner-1995.
  47. ^ brinkley-2011.
  48. ^ pokempner-1995.
  49. ^ haas-1991, pp. 17–18, 28–29.
  50. ^ thayer-1991, pp. 180, 187–189.
  51. ^ brinkley-2011.
  52. ^ a b c Coalition to Stop the Use of Child Soldiers, Global Report on Child Soldiers, su child-soldiers.org, 2001. URL consultato il 16 maggio 2018 (archiviato dall'url originale il 25 maggio 2019).
  53. ^ etcheson-2005, p. 14.
  54. ^ donlon-2012, p. 103.
  55. ^ stanton-2013, p. 41.
  56. ^ bartrop-2012, pp. 166-167.
  57. ^ ECCC-kaing.
  58. ^ corfield-2011, p. 855.
  59. ^ notizia-5gen2014.
  60. ^ mackinnon-2007.
  61. ^ reyes-2012, p. 1.
  62. ^ Ieng Sary, Khmer Rouge Leader Tied to Genocide, Dies at 87, in The New York Times. URL consultato il 14 marzo 2013.
  63. ^ munthit-2007.
  64. ^ Seith Mydans, Khmer Rouge Trial, Perhaps the Last, Nears End in Cambodia, su nytimes.com, The New York Times, 2017.
  65. ^ chan-2004, pag. 256.
  66. ^ alvarez-2001, pag. 56.
  67. ^ buncombe-2013.
  68. ^ boyle-2009, pag. 95.
  69. ^ The Killing Fields: authentically good, in The Guardian, London, 12 marzo 2009.
  70. ^ a b Debra Lau Whelan, SLJ Speaks to National Book Award Finalists, in School Library Journal, 10 ottobre 2012. URL consultato il 15 novembre 2012.
  71. ^ Ung, Loung., First they killed my father : a daughter of Cambodia remembers, 1st, New York, HarperCollinsPublishers, 2000, ISBN 0-06-019332-8, OCLC 41482326.
  72. ^ Peter Debruge, Telluride Film Review: 'First They Killed My Father: A Daughter of Cambodia Remembers', su variety.com, Variety, 3 settembre 2017. URL consultato il 20 settembre 2017.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

Controllo di autoritàLCCN (ENsh2009125749 · J9U (ENHE987007547895005171