Autolesionismo

procurare, consciamente o meno, danni rivolti alla propria persona, sia in senso fisico che in senso astratto
Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.

L'autolesionismo, o auto-danno intenzionale, è un atto che implica il procurare, consciamente o meno, danni rivolti alla propria persona, sia in senso fisico sia in senso astratto. Il termine "autolesionismo" deriva dal pronome greco αὐτός, che ha valore enfatico o riflessivo, e dal verbo latino laedo (danneggiare), letteralmente "danneggiare se stessi". L'atto più comune con cui si presenta l'autolesionismo è il taglio superficiale alla pelle ma esso comprende anche il bruciarsi, infliggersi graffi, colpire una o più parti del corpo, mordersi, tirarsi i capelli e l'ingestione di sostanze tossiche od oggetti.[1][2][3][4] Di solito i comportamenti associati all'abuso di sostanze e disturbi alimentari non sono considerati veri e propri atti di autolesionismo poiché il danno ai tessuti che ne risulta è collaterale e non volontario.[5] Tuttavia possono esserci dei comportamenti non direttamente collegati con l'autolesionismo, ma che risultano tali poiché hanno l'intenzione di causare danni diretti ai tessuti.

Autolesionismo
Cicatrici sull'avambraccio a seguito di un episodio di autolesionismo
Specialitàpsichiatria e psicologia clinica
Classificazione e risorse esterne (EN)
ICD-10X84
MeSHD016728

Il suicidio spesso non è il fine dell'autolesionismo, ma il rapporto tra suicidio e autolesionismo è piuttosto complesso poiché, talvolta, un comportamento autolesionista può essere pericoloso per la vita.[6] Vi è comunque un aumento del rischio di suicidio negli individui che praticano l'autolesionismo; infatti se ne trovano segni evidenti nel 40-60% dei suicidi.[7] Bisogna però tenere presente che collegare l'autolesionista con un potenziale suicida è nella maggior parte dei casi inesatto.[8][9]

Durante l'infanzia l'autolesionismo è piuttosto raro anche se dal 1980 i casi sono aumentati.[10] Esso è anche indicato dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV-TR) come un sintomo del disturbo di personalità borderline. Inoltre esso si manifesta anche in soggetti che soffrono di depressione, disturbi d'ansia, abuso di sostanze, disturbo post traumatico da stress, schizofrenia e disturbi alimentari. L'autolesionismo è più comune durante l'adolescenza o la tarda adolescenza; di solito appare tra i 12 e 24 anni.[11][12] Ma esso si può verificare a qualunque età,[13] anche in soggetti anziani;[14] in questo caso però l'autolesionismo è molto più pericoloso. Il fenomeno non riguarda solo gli esseri umani ma anche animali come uccelli e scimmie.[15][16]

Negli adolescenti di età compresa tra i 12 e i 16 anni si riscontrano spesso forme di autolesionismo, solitamente praticato con tagli o bruciature sulle braccia, le cui cicatrici vengono coperte con bracciali o bandane.

Storia modifica

 
Flagellanti praticano l'autofustigazione ai tempi della peste

Il termine automutilazione (self-mutilation) è comparso per la prima volta con gli studi di L.E. Emerson nel 1913[17] in cui si evidenzia che l'autolesionismo è una simbolica alternativa alla masturbazione. Il termine ricompare anche nell'articolo nel 1935 e nel libro nel 1938 di Karl Menninger dove egli perfeziona le proprie definizioni concettuali di automutilazione. Il suo studio sull'autodistruzione ha fatto una distinzione tra comportamenti suicidi e di automutilazione. Secondo Menninger l'automutilazione era espressione non letale di un desiderio di morte attenuato e quindi coniò il termine suicidio parziale. Egli individuò sei tipi di mutilazione:

  1. Nevrotico (mangiarsi le unghie, sottoporsi a inutili operazioni chirurgiche, depilazione eccessiva)
  2. Pratiche religiose auto-flagellanti e altre
  3. Riti praticati durante la pubertà (rimozione dell'imene, circoncisione, modificazione della clitoride)
  4. Psicotico (amputazioni estreme, rimozione dell'occhio o dell'orecchio, automutilazione dei genitali)
  5. Malattie organiche del cervello (sbattere la testa continuamente, mordersi la mano, rompersi un dito)
  6. Comuni (rasatura della barba, tagliare capelli o unghie).[18]

Nel 1969 Pao fece una differenziazione tra coloro che tagliano in modo "leggero" (bassa letalità) e coloro che tagliano in modo "grossolano" (alta letalità). Quelli che tagliano in modo attento sono giovani; generalmente producono tagli superficiali e soffrono di personalità borderline. Quelli che invece tagliano in modo meno preciso sono gli anziani e spesso soffrono di problemi psichici.[19] Nel 1979 Ross e McKay divisero le automutilazioni in nove possibili gruppi: tagli, morsi, abrasioni, recisioni, inserimento di corpi estranei, bruciature, ingestione o inalazione, colpi e costrizioni.[20] Dopo il 1970 l'attenzione circa l'autolesionismo fu spostata dagli impulsi psicosessuali del paziente scoperti da Freud.[21] Nel 1988 Walsh e Rosen crearono quattro categorie numerate secondo i numeri romani definendo forme di automutilazione le righe II, III, IV[22]:

Classificazione Esempio di comportamento Grado di danni fisici Stato psicologico Accettabilità sociale
I Piercing all'orecchio, mangiarsi le unghie, piccoli tatuaggi, chirurgia estetica (non è considerata autolesionismo dalla maggior parte della popolazione) Dal superficiale al lieve Benigno Per lo più accettato
II Piercing, cicatrici da lama, gruppo rituale di cicatrici Da lieve a moderato Da benigno ad allarmante Accettato da civiltà
III Tagli sul polso o corpo, bruciature da sigaretta, escoriazioni Da lieve a moderato Crisi psicologiche Accettato da alcune etnie e non dalla popolazione generale
IV Autocastrazione, asportazione chirurgica, amputazione Grave Scompenso psichico Inaccettabile

Nel 1993 Favazza e Rosenthal analizzarono centinaia di studi e divisero le automutilazioni in due categorie: automutilazioni stabilite culturalmente e automutilazioni patologiche.[23] Favazza ha anche creato due sotto categorie delle automutilazioni stabilite prima: rituali e pratiche. I rituali sono mutilazioni ripetute di generazione in generazione che riflettono le tradizioni, il simbolismo e le credenze di una società. Le pratiche invece sono storicamente passeggere ed estetiche come il piercing su lobi delle orecchie, naso, sopracciglia, così come la circoncisione maschile (per i non ebrei) mentre le automutilazioni patologiche sono l'equivalente dell'autolesionismo.[24]

Epidemiologia modifica

 
La mappa mondiale mostra gli anni di vita persi (DALY), per le ferite autoinflitte per 100 000 abitanti nel 2004.[25]

     nessun dato

     meno di 80

     80–160

     160–240

     240–320

     320–400

     400–480

     480–560

     560–640

     640–720

     720–800

     800–850

     più di 850

 
Morti da autotolesionismo per milione di persone nel 2012

     3–23

     24–32

     33–49

     50–61

     62–76

     77–95

     96–121

     122–146

     147–193

     194–395

È difficile trovare delle statistiche sicure e precise riguardo l'autolesionismo poiché la maggior parte delle persone tende a nascondere le proprie ferite e a vergognarsene.[26] I dati si basano sui ricoveri ospedalieri, sugli studi psichiatrici e su alcune indagini sulla popolazione.[27] Circa il 10% dei ricoveri nei reparti di medicina in Inghilterra sono dovuti all'autolesionismo; nella maggior parte dei casi a causa di un eccessivo abuso di sostanze (overdose). Tuttavia gli studi basati solo sui ricoveri ospedalieri potrebbero nascondere il grande numero di adolescenti autolesionisti perché non hanno bisogno e non cercano cure mediche. Infatti molti autolesionisti che si presentano in un ospedale qualsiasi presentano vecchie ferite che non sono state curate.[27]

I migliori studi attuali indicano che i casi di autolesionismo sono molto diffusi tra i giovani dai 12 ai 24 anni; mentre si sono verificati pochissimi incidenti di autolesionismo tra bambini di età compresa tra i 5 e 7 anni. Nel 2008, Affinity Healthcare ha suggerito che i casi di autolesionismo tra giovani potrebbe essere alto come il 33%.[28] Uno studio americano effettuato tra studenti universitari ha evidenziato che il 9,8% di loro, almeno una volta nella loro vita, ha avuto esperienze autolesioniste come tagli superficiali e bruciature. Quando parlando di autolesionismo ci si riferiva anche al battere la testa contro qualcosa o graffiare sé stessi la percentuale è salita al 32%.[29] Questo dimostra che l'autolesionismo non è proprio di individui affetti da disturbi psichiatrici ma anche tra persone comuni, come giovani studenti. In Irlanda, invece, uno studio ha dimostrato che le persone autolesioniste vivono per lo più in città che in campagna.[30] Inoltre, il CASE (Child & Adolescent Self-harm in Europe) ha evidenziato che il rischio di autolesionismo è 1:7 per le donne e 1:25 per gli uomini.[31]

Differenze di genere modifica

In generale, l'ultima ricerca aggregata non ha riscontrato differenze nella prevalenza di autolesionismo tra uomini e donne.[32] Tuttavia, ciò appare in contrasto rispetto agli studi fatti in passato in cui si era evidenziato che nelle femmine le esperienze di autolesionismo erano fino a quattro volte più frequenti rispetto ai maschi.[33] A fronte di ciò è necessaria una certa cautela nel vedere l'autolesionismo come un problema maggiore per le donne, dal momento che i maschi possono intraprendere atti, classificabili come autolesionistici, in diverse forme (ad esempio, colpendo sé stessi) che potrebbero essere più facilmente nascosti o spiegati come il risultato di circostanze diverse.[3][32] Quindi, rimangono opinioni ampiamente contrastanti sul fatto che la differenza di genere sia un fenomeno reale, o semplicemente la difficoltà e la parzialità nella raccolta di dati.[33]

Lo studio multicentrico WHO/EURO sul suicidio, istituito nel 1989, ha dimostrato che, per ciascun gruppo di età, il tasso di autolesionismo femminile supera quello dei maschi, con il picco nella fascia tra i 13 e i 24 anni per le donne e tra i 12 e i 34 per gli uomini. Tuttavia, questa discrepanza è nota per variare in modo significativo a seconda della popolazione e dei criteri metodologici, coerenti con ampie incertezze nel raccogliere e interpretare i dati relativi ai tassi di autolesionismo in generale.[34] Tali problemi sono stati talvolta oggetto di critiche nel contesto di una più ampia interpretazione psicosociale. Ad esempio, l'autrice femminista Barbara Brickman ha ipotizzato che le differenze di genere nei tassi di autolesionismo siano dovute a errori metodologici e campionatori deliberatamente socializzati, al fine di patologizzare il genere femminile.[35]

Questa discrepanza di genere appare spesso distorta in popolazioni specifiche dove i tassi di autolesionismo sono eccessivamente alti, il che può avere implicazioni sul significato e sull'interpretazione di fattori psicosociali diversi dal genere. Uno studio nel 2003 ha riscontrato una prevalenza estremamente elevata di autolesionismo tra 428 senzatetto e tra i ragazzi scappati di casa (età 16-19 anni) con il 72% degli uomini e il 66% delle donne in cui si è riscontrata una storia di autolesionismo.[36] Tuttavia, nel 2008, uno studio effettuato sui giovani e sull'autolesionismo ha riscontrato il divario di genere allargarsi nella direzione opposta, con il 32% delle adolescenti donne e il 22% dei giovani maschi che ammettono episodi di questo tipo.[37] Gli studi indicano anche che i maschi che si autolesionano possono anche essere maggiormente a rischio di suicidio.[38]

Non sembra esserci differenza nella motivazione dell'autolesionismo tra i maschi e femmine adolescenti. Ad esempio, per entrambi i sessi vi è un aumento incrementale di autolesionismo intenzionale associato a un aumento del consumo di sigarette, droghe e alcol. Fattori scatenanti come una bassa autostima e amici e familiari che si autolesionano sono anche comuni tra maschi e femmine.[39] Uno studio limitato ha rilevato che, tra gli adolescenti che praticano l'autolesionismo, entrambi i sessi hanno altrettante probabilità di usare il metodo del taglio della pelle.[40] Tuttavia, le donne che si tagliano hanno più probabilità dei maschi di raccontare la loro azione dicendo che volevano punire sé stesse. In Nuova Zelanda, risultano più donne ricoverate in ospedale per autolesionismo intenzionale rispetto ai maschi. Le femmine scelgono più comunemente metodi come l'auto-avvelenamento in quantità che generalmente non risultino fatali, ma comunque abbastanza gravi da richiedere l'ospedalizzazione.[41]

Negli anziani modifica

In uno studio effettuato presso un ospedale distrettuale del Regno Unito, il 5,4% di tutti i casi di autolesionismo riscontrati riguardavano pazienti di età pari o superiore a 65 anni. Il rapporto tra maschi e femmine era di 2:3, sebbene i tassi di autolesionismo per i maschi e le femmine di quell'età rispetto alla popolazione locale era identica. Oltre il 90% accusava anche aveva condizioni depressive e il 63% soffriva di una malattia fisica significativa. Meno del 10% dei pazienti aveva riportato una storia di autolesionismo, mentre sia la percentuale di ripetizione sia quella di suicidio erano molto basse, il che potrebbe essere spiegato dall'assenza di fattori noti per essere associati alla ripetizione, come il disturbo della personalità e l'abuso di alcool.[14] Tuttavia, la guida NICE sull'autolesionismo nel Regno Unito suggerisce che le persone anziane che si autolesionano corrono un rischio maggiore di suicidarsi, con 1 persona anziana su 5 che si autolesiona allo scopo di porre fine alla propria vita.[42] Uno studio completo compiuto in Irlanda ha dimostrato che gli adulti irlandesi più anziani avevano alti tassi di autolesionismo intenzionale, ma tassi di suicidio relativamente bassi.[30]

Nel mondo in via di sviluppo modifica

Solo di recente i tentativi di migliorare la salute nei Paesi in via di sviluppo si sono concentrati sulla salute mentale e non solo sulle malattie fisiche.[43] Nonostante gli studi siano ancora molto limitati, l'autolesionismo deliberato appare frequente anche in questi Paesi. Ad esempio un caso studio importante è stato effettuato nello Sri Lanka, un Paese che mostra un'alta incidenza di suicidi[44] e avvelenamenti auto inflitti con pesticidi agricoli o veleni naturali.[43] Molte persone hanno ammesso deliberatamente autoavvelenamenti durante uno studio di Eddleston et al.[43]: essi erano giovani e pochi esprimevano comunque il desiderio di morire.

Alcune delle cause dell'auto-avvelenamento deliberato negli adolescenti dello Sri Lanka includevano un evento luttuoso o una dura disciplina imposta dai genitori. Meccanismi di coping si stanno diffondendo nelle comunità locali in cui le persone sono circondate da altre che in precedenza si sono deliberatamente fatte del male o hanno tentato il suicidio.[43] Un modo per ridurre l'autolesionismo sarebbe limitare l'accesso ai veleni;[43] tuttavia molti casi riguardano pesticidi o semi di oleandri gialli e la riduzione dell'accesso a queste sostanze sarebbe difficile. Un grande potenziale per la riduzione dell'autolesionismo risiede nell'educazione e nella prevenzione, ma le limitate risorse disponibili nel mondo in via di sviluppo rendono questi metodi di difficile attuazione.[43]

Nei carcerati modifica

L'autolesionismo deliberato è particolarmente diffuso nella popolazione carceraria. Una spiegazione proposta per questo è che le carceri sono spesso luoghi violenti, e i detenuti che desiderano evitare scontri fisici possono ricorrere all'autolesionismo come uno stratagemma, sia per convincere gli altri prigionieri che sono pericolosamente pazzi e resistenti al dolore sia per ottenere protezione da parte delle autorità.[45] Tuttavia l'autolesionismo si verifica frequentemente anche nei detenuti che vengono messi in isolamento.[46]

Classificazione modifica

I termini autolesionismo, violenza autoinflitta, autolesionismo non suicidario o comportamento autoaggressivo (SIB), sono tutti termini per descrivere una condizione comportamentale in cui un soggetto si autoinfligge un danno fisico dimostrabile.[47] Da tale comportamento deriva un danno tissutale deliberato che di solito viene eseguito senza intenti suicidari. La forma più comune consiste nel tagliarsi la cute con un oggetto affilato, come ad esempio un coltello o una lama di rasoio. Talvolta può venire utilizzato il termine "automutilazione", anche se questa frase evoca connotazioni che alcuni ritengono preoccupanti, inaccurate o offensive.[47] "Ferite autoinflitte" è un termine specifico usato per indicare le ferite non letali auto inflittesi dai soldati al fine di ottenere l'allontanamento anticipato dal fronte.[48][49] Ciò differisce dalla comune definizione di autolesionismo, poiché il danno è inflitto per uno scopo secondario specifico. Una definizione più ampia di autolesionismo potrebbe includere anche coloro che infliggono danni ai loro corpi attraverso un'alimentazione disordinata.

La letteratura più antica ha usato termini diversi. Per questo motivo la ricerca negli ultimi decenni si è incentrata incoerentemente sul comportamento autolesionista senza e con intenti suicidari (compresi i tentativi di suicidio) con definizioni diverse che portano a risultati incoerenti e non chiari.[1]

L'autolesionismo non suicida è stato elencato come disturbo nel DSM-5 sotto la categoria "Condizioni per ulteriori studi".[50] Si noti che questa proposta di criteri diagnostici per una diagnosi futura non è una diagnosi ufficialmente approvata e non può essere utilizzata per uso clinico, ma è intesa solo a scopo di ricerca.[50] Il disturbo è definito come lesione volontaria autoinflitta senza l'intenzione di suicidarsi. I criteri per la sua identificazione comprendono cinque o più giorni in cui si sono verificati episodi di danno autoinflitto nel corso di un anno, senza intenti suicidari e il paziente deve essere stato motivato dalla ricerca di sollievo da uno stato negativo, risolvendo una difficoltà interpersonale o raggiungendo uno stato positivo.[51]

Una credenza comune riguardo l'autolesionismo è che si tratta di un comportamento tipico di chi cerca attenzione; tuttavia, in molti casi, ciò non corrisponde pienamente alla realtà. Molti autolesionisti sono consapevoli delle loro ferite e cicatrici e si sentono in colpa per il loro comportamento, portandoli a fare di tutto per nascondere agli altri ciò che hanno fatto.[3] Possono offrire spiegazioni alternative per le loro ferite o nascondere le loro cicatrici con i vestiti.[52][53] L'autolesionismo in tali individui non può essere associato a comportamenti suicidari o para-suicidari. Le persone che si autolesionano di solito non cercano di porre fine alla propria vita; è stato invece suggerito che stanno usando l'autolesionismo come meccanismo di coping per alleviare il dolore o il disagio emotivo o come tentativo di comunicare angoscia.[8][9]

Gli studi su individui con disabilità dello sviluppo (come la disabilità intellettiva) hanno dimostrato che l'autolesionismo dipende da fattori ambientali, come ottenere l'attenzione o fuggire dalle richieste.[54] Alcuni individui possono avere dissociazioni che nutrono il desiderio di sentirsi reali o di adattarsi alle regole della società.[55]

Segni e sintomi modifica

 
Esempio di autolesionismo mediante tagli dell'avambraccio

Nel 70% dei casi l'autolesionismo si presenta con il tagliare la pelle con un oggetto affilato (come lamette).[56][57] Tuttavia i modi con cui può essere effettuato sono limitati solo dall'inventiva dell'individuo e dalla reale intenzione e volontà di danneggiare il proprio corpo; per questo possiamo trovare anche casi di autolesionismo che si presentano con abuso di alcool, droghe, anoressia, bulimia. Di solito i tagli si presentano su aree del corpo che possono essere facilmente nascoste e/o non visibili dagli altri.[58] L'autolesionismo può essere definito in termini di danneggiamento del proprio corpo ma sarebbe più corretto definirlo in termini di scopo per affrontare un problema, un'angoscia emotiva. Né DSM-IV-TR, né l'ICD-10 forniscono dei precisi criteri per diagnosticare l'autolesionismo: si è visto che l'autolesionismo è spesso un sintomo di un disturbo sottostante. Tuttavia recentemente (nel 2010) è stata formalmente mossa la proposta di includere l'autolesionismo come diagnosi distinta nella quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5).[59] È difficile uscirne e colpisce molto spesso gli adolescenti fin dalla giovane età.

Frequenti fattori di autolesionismo sono il distress emotivo, l'abuso fisico e sessuale, favoriti da un contesto di isolamento sociale e inespressività delle emozioni interiori che a loro volta rinviano al disturbo noto come alessitimia. Il dolore procura un sollievo temporaneo che aiuta l'autolesionista nel prevenire atti più gravi e irreparabili che possono talora arrivare fino al suicidio.[60]

Cause modifica

Disturbi mentali modifica

Anche se di solito chi pratica l'autolesionismo non soffre di disturbi mentali, è stato dimostrato che gli individui che hanno sperimentato problemi di salute mentale sono più portati a praticarlo. Le malattie che più comportano ciò sono disturbo della personalità borderline, disturbo bipolare, depressione, fobie, disturbi comportamentali e anche la schizofrenia. Per quanto riguarda gli schizofrenici (soprattutto nei soggetti giovani) essi hanno un alto rischio di suicidio. Accanto a questi disturbi si trova anche l'abuso di sostanze e spesso anche la tendenza a non saper risolvere i propri problemi e l'impulsività. L'autolesionismo si può manifestare negli individui che soffrono della sindrome di Münchhausen; essi si sottopongono a continui esami e perfino a indagini invasive.[61] Nella psicoanalisi classica freudiana l'autolesionismo psichico è ricondotto alla cosiddetta pulsione di morte.

Fattori psicologici modifica

A livello emotivo gli ambienti in cui i genitori puniscono i figli o li feriscono possono generare nella persona una mancanza di fiducia e difficoltà a provare emozioni con il rispettivo aumento dell'autolesionismo.[62] Altri fattori che possono indurre all'autolesionismo sono abusi durante l'infanzia, la guerra e la povertà.[63][64] Inoltre il 30% circa degli individui che soffrono di autismo a un certo punto sfociano nell'autolesionismo, ad esempio mordendosi la mano, battendo la testa, tagliando la pelle.[65][66] Autori moderni hanno aperto alcuni dibattiti per discutere del fatto che l'autolesionismo può nascondere degli scopi psicologici: è stato dimostrato che alcuni individui usano l'autolesionismo per vivere abusi o traumi passati che non erano sotto il loro controllo. L'autolesionismo, quindi, può essere un modo per riavere il controllo sulla propria vita e riprendere la propria autonomia.[67]

Genetica modifica

La sindrome di Lesch-Nyhan è una rara malattia genetica la cui caratteristica più particolare è il verificarsi di episodi di autolesionismo, come mordersi e sbattere la testa.[68] La propria condizione genetica può contribuire al rischio di sviluppare altre condizioni psicologiche, come ansia o depressione, che a loro volta potrebbero portare a comportamenti auto-lesivi. Tuttavia, il legame tra genetica e autolesionismo in pazienti altrimenti sani è in gran parte non dimostrato.[2]

Abuso di sostanze modifica

L'abuso di sostanze, la dipendenza e l'astinenza sono associati con l'autolesionismo. Dipendenza da benzodiazepine o riduzione delle benzodiazepine si presenta soprattutto nei giovani. Un altro fattore di rischio da non sottovalutare è l'abuso di alcool. Al pronto soccorso dell'Irlanda del Nord si è visto come l'alcool è uno dei tanti modi con cui si presenta l'autolesionismo nel 63,8% dei casi. In Inghilterra e Norvegia sono stati fatti alcuni studi per capire l'effettivo legame tra l'assunzione di cannabis e l'autolesionismo; essi hanno evidenziato che nei giovani adolescenti non è un alto fattore di rischio.[69] Una più recente meta-analisi, che prende in considerazione il complesso della letteratura inerente all'associazione tra consumo di cannabis e autolesionismo, ha definito l'entità di tale associazione, che si presenta significativa sia a livello cross-sectional (odds ratio=1,569, 95% confidence interval [1,167–2,108]) sia a livello longitudinale (odds ratio=2,569, 95% confidence interval [2,207–3,256]), evidenziando inoltre come l'uso cronico della sostanza, la presenza di sintomi depressivi o di disturbi mentali pregressi possano incrementare ulteriormente il rischio di commettere atti autolesivi.[70]

Fisiopatologia modifica

 
Diagramma di flusso che mostra le due teorie dell'autolesionismo

L'autolesionismo non è un comportamento tipicamente collegato al suicidio anche se molte volte il danneggiamento del corpo può portare alla morte. L'autolesionismo, a volte senza che l'individuo ne sia consapevole, diventa spesso una risposta al lancinante dolore emotivo che non può essere risolto in altri modi. Le ragioni per cui si pratica l'autolesionismo sono varie in quanto esso serve per soddisfare funzioni diverse. Talvolta l'autolesionismo fornisce, a chi lo pratica, temporaneo sollievo da stress, ansia, depressione, senso di fallimento e disgusto per sé stessi. L'autolesionismo diventa, soprattutto nei soggetti vittime di abusi, un modo per controllare il dolore in contrasto con il dolore che si è provato in precedenza.[71] Talvolta però i motivi per cui si pratica l'autolesionismo non hanno niente a che vedere con la medicina come dimostra questo esempio:[72]

«Le mie motivazioni per l'autolesionismo sono svariate tra cui esaminare l'interno delle mie braccia per le linee idrauliche. Questo può sembrare davvero strano.»

Lo studio britannico ONS ha trovato solo due motivi per cui si pratica l'autolesionismo: rabbia verso sé stessi e ricerca di attenzioni. Per alcune persone danneggiare sé stessi può essere un modo per ricevere attenzioni dagli altri o di chiedere in modo indiretto aiuto, ma può essere anche un modo per manipolare gli altri. Tuttavia le persone croniche non ricercano attenzioni e perciò nascondono le cicatrici che si sono procurati.[73]

Per molte persone l'autolesionismo diventa un modo per "scappare" o dissociarsi, separando la mente dai sentimenti d'angoscia che provano. Ciò si verifica facendo credere alla mente che la sofferenza attuale che si percepisce è causata dall'autolesionismo e non dai problemi reali, preesistenti: il dolore fisico diventa quindi un modo per distrarsi da quello emotivo. Per completare questa teoria si può dire che dietro l'autolesionismo c'è il bisogno di "fermare" il dolore emotivo, una sensazione d'inquietudine o un'agitazione mentale.

"Una persona può essere ipersensibile e sopraffatta; molti pensieri brulicano nella sua mente ed egli può così decidere di fermare questi sentimenti oppressivi".[74]

Nei soggetti che hanno subito un abuso sessuale possono essere feriti deliberatamente gli organi sessuali come un modo per affrontare i sentimenti indesiderati legati alla sessualità.

Praticare l'autolesionismo può significare farsi del male e nello stesso tempo provare piacere, derivare da esso sollievo. Per alcuni tagliarsi può essere abbastanza problematico ma alla fine decidono di farlo lo stesso proprio perché pensano a quello che possono ottenere dopo. Questo sollievo per alcuni è psicologico; in altri esso è generato da endorfine beta rilasciate nel cervello. Le endorfine sono gli oppioidi endogeni che vengono rilasciate dopo una lesione fisica, agiscono come un antidolorifico naturale, inducono piacere e riducono lo stress emotivo e la tensione. Alcuni autolesionisti dicono di non provare nessun dolore mentre si feriscono; altri, invece, lo usano per provare piacere.

Al contrario, farsi del male significa per altri provare qualcosa, anche se la sensazione è dolorosa e per niente piacevole. Queste persone manifestano sensazioni di vuoto e intorpidimento (anedonia) e perciò il dolore fisico può essere un modo per provare sollievo.

Trattamento modifica

Si è molto incerti su quali trattamenti psicosociali e fisici siano utili per i soggetti che praticano l'autolesionismo; perciò sono necessari ulteriori studi clinici.[75] In queste persone sono comuni disturbi psichiatrici e della personalità; di conseguenza si può supporre che l'autolesionismo sia indotto da depressione e/o altri problemi psicologici. Se l'autolesionismo è indotto da una grave o moderata depressione clinica gli antidepressivi possono essere un'ottima soluzione. La psicoterapia cognitivo-comportamentale può essere utilizzata per i soggetti con problemi di depressione, disturbo bipolare, schizofrenia. Invece la terapia dialettico comportamentale può essere efficace per individui che soffrono di malattie mentali o che hanno un disturbo della personalità.

Terapia modifica

Non esiste un trattamento ben definito per il comportamento autoaggressivo nei bambini o negli adolescenti.[76] La terapia cognitivo comportamentale può essere utilizzata anche per aiutare coloro con diagnosi di Asse I, come depressione, schizofrenia e disturbo bipolare. La terapia dialettico comportamentale (TDC) può avere successo in coloro che presentano un disturbo di personalità e potrebbe potenzialmente essere usata in quelli che hanno altri disturbi mentali che manifestano comportamenti auto-lesivi. La diagnosi e il trattamento delle cause di autolesionismo sono considerate da molti l'approccio migliore per trattare l'autolesionismo, ma in alcuni casi, in particolare nelle persone con disturbo della personalità, ciò non risulta abbastanza efficace, quindi sempre più specialisti medici considerano l'approccio con la TDC finalizzato a ridurre i comportamenti auto-lesivi.[9] I pazienti che compiono abitualmente atti di autolesionismo talvolta vengono ricoverati in ospedale, in base alla loro stabilità, alle loro capacità e soprattutto alla loro disponibilità a ricevere aiuto.[77]

Negli adolescenti la terapia multisistemica sembra essere promettente.[77][78] Trattamenti come la terapia cognitivo comportamentale, l'intervento familiare, la terapia interpersonale e varie terapie psicodinamiche si sono dimostrate efficaci nel trattamento del comportamento autoaggressivo nei bambini e negli adolescenti.[76] La farmacoterapia non è stata testata come trattamento per adolescenti che si autolesionano.[79]

Una meta-analisi ha evidenziato che la terapia psicologica è efficace nel ridurre l'autolesionismo. La percentuale di adolescenti che ricorre all'autolesionismo durante il periodo di follow-up risulta inferiore nei gruppi di intervento (28%) rispetto ai controlli (33%). Le terapie psicologiche con i risultati migliori sono state la terapia dialettico comportamentale, la terapia cognitivo comportamentale e il trattamento basato sulla mentalizzazione.[80]

Negli individui con disabilità dello sviluppo, si è dimostrato che l'insorgenza di autolesionismo è spesso correlata ai suoi effetti sull'ambiente, come ottenere l'attenzione o fuggire alle richieste. Poiché gli individui con disabilità dello sviluppo spesso hanno deficit comunicativi o sociali, l'autolesionismo può essere il loro modo di esprimersi e di ottenere ciò che altrimenti non riescono a ottenere nel modo socialmente appropriato. Quindi, un approccio per trattare l'autolesionismo consiste nell'insegnare una risposta alternativa e appropriata che ottenga lo stesso risultato che si voleva ottenere tramite gli atti auto-lesivi.[81][82][83]

Tecniche di elusione modifica

Convincere il paziente a intraprendere comportamenti alternativi all'autolesionismo è un metodo comportamentale efficace che viene usato per trattare questa condizione.[84] Le tecniche, mirate a tenersi occupati, possono includere lo scrivere un diario, fare una passeggiata, svolgere attività sportive o stare con gli amici, quando si sente il bisogno di farsi del male.[85] Anche la rimozione degli oggetti utilizzati per compiere tali atti può essere utile al fine di resistere agli impulsi autolesionistici.[85] La disponibilità di un contatto di emergenza con i servizi di consulenza, in caso di insorgenza di un impulso autolesionista, può anche contribuire a prevenire il fatto.[86] Il ricorso a metodi alternativi e più sicuri di autolesionismo che non portano a danni permanenti, ad esempio lo schiocco di un elastico al polso, possono anche aiutare a calmare la voglia.[85] L'uso del biofeedback può aiutare ad aumentare l'autoconsapevolezza di particolari stati mentali o stati d'animo che precedono il comportamento autolesionista,[87] aiutando così ad identificare le tecniche per evitare quelle situazioni che conducano al compiere tali atti. Qualsiasi strategia comportamentale o di coping deve essere appropriata alla motivazione e al motivo che il paziente ha per farsi del male.[88]

Società e cultura modifica

 
Il fiocco arancione, simbolo della giornata della consapevolezza dell'autolesionismo

L'autolesionismo è conosciuto per esser stato un rituale ripetitivo praticato da culture come quella dell'antica civiltà Maya nella quale i sacerdoti praticavano auto-sacrifici tagliando e perforando i loro corpi in modo tale da prelevare sangue.[89] Nella Bibbia ebraica si trova un riferimento ai sacerdoti di Baal che "si tagliavano con lame fino a che il sangue non scorreva".[90] Tuttavia, nel giudaismo tali pratiche sono proibite dalla legge di Mosè.[91]

L'autolesionismo è anche praticato dai sadhu e dagli asceti indù, nel cattolicesimo come mortificazione della carne, nell'antica Cananea come rituali di lutto e sono descritti nelle tavolette Shamra Ras; e nell'annuale rituale sciita di autoflagellazione, utilizzando catene e spade, che si svolge durante l'Ashura dove la setta sciita piange il martirio di Imam Hussein.[92]

Consapevolezza dell'autolesionismo modifica

Ci sono molti movimenti tra le varie comunità che si occupano di questo problema per sensibilizzare i professionisti e il pubblico in generale. Per esempio ogni 1º di marzo si svolge la giornata globale "Self-injury Awareness Day" (SIAD) per rendere più consapevoli le persone riguardo l'autolesionismo. Molte persone indossano per l'occasione un fiocco arancione simbolo di questa consapevolezza e per incoraggiare gli altri a essere più aperti riguardo al proprio problema con le persone che li circondano e per aumentare la conoscenza generale.[93]

Negli animali modifica

L'automutilazione negli altri mammiferi è una realtà consolidata, anche se non è un fenomeno largamente conosciuto e il suo studio in zoo e laboratori potrebbe portare a una migliore comprensione dell'autolesionismo negli esseri umani. Gli zoo di allevamento, laboratori e isolazione sono fattori importanti perché conducono a un aumento della suscettibilità e dell'autolesionismo nei mammiferi più grandi ad esempio macachi. I mammiferi più piccoli invece sono soliti mutilare sé stessi in laboratorio dopo la somministrazione di farmaci. Per esempio pemolina, la clonidina, anfetamine, e dosi molto elevate (tossiche) di caffeina o teofillina sono sostanze note perché inducono l'animale a praticare l'autolesionismo.[94][95] Nei cani, il disturbo canino ossessivo-compulsivo può portare all'autolesionismo, per esempio procurandosi una dermatite da leccamento. È noto che talvolta gli uccelli in cattività si strappano le piume, causando danni che possono variare dal danneggiamento di alcune di esse alla rimozione di molte o tutte le piume raggiungibili dall'animale, oppure alla mutilazione della pelle o del tessuto muscolare.

Note modifica

  1. ^ a b Klonsky, D., The functions of deliberate self-injury: A review of the evidence, in Clinical Psychological Review, vol. 27, n. 2, 2007, pp. 226–239, DOI:10.1016/j.cpr.2006.08.002, PMID 17014942.
  2. ^ a b Skegg, K., Self-harm, in Lancet, vol. 366, n. 9495, 2005, pp. 1471–1483, DOI:10.1016/s0140-6736(05)67600-3.
  3. ^ a b c Truth Hurts Report, Mental Health Foundation, 2006, ISBN 978-1-903645-81-9. URL consultato l'11 giugno 2008.
  4. ^ Truth Hurts Report, Mental Health Foundation, 2006, ISBN 978-1-903645-81-9, retrieved 2008-06-11.
  5. ^ Klonsky ED, Non-suicidal self-injury: an introduction, in J Clin Psychol, vol. 63, n. 11, 2007, pp. 1039–43, DOI:10.1002/jclp.20411, PMID 17932979.
  6. ^ Farber, S. et al. (2007), "Death and annihilation anxieties in anorexia nervosa, bulimia, and self-mutilation", Psychoanalytic Psychology 24 (2): 289–305, doi:10.1037/0736-9735.24.2.289.
  7. ^ Hawton K, Zahl D, Weatherall R, Suicide following deliberate self-harm: long-term follow-up of patients who presented to a general hospital, in Br J Psychiatry, vol. 182, 2003, pp. 537–42, PMID 12777346.
  8. ^ a b Fox, C e Hawton, K, Deliberate Self-Harm in Adolescence, London, Jessica Kingsley, 2004, ISBN 978-1-84310-237-3.
  9. ^ a b c Suyemoto, K. L., The functions of self-mutilation, in Clinical Psychology Review, vol. 18, n. 5, 1998, pp. 531–554, DOI:10.1016/S0272-7358(97)00105-0, PMID 9740977.
  10. ^ Thomas B; Hardy S; Cutting P (1997), Stuart and Sundeen's mental health nursing: principles and practice, Elsevier Health Sciences, p. 343, ISBN 978-0-7234-2590-8, retrieved 2011-03-12.
  11. ^ Schmidtke A, Bille-Brahe U, DeLeo D, Kerkhof A, Bjerke T, Crepet P, Haring C, Hawton K, Lönnqvist J, Michel K, Pommereau X, Querejeta I, Phillipe I, Salander-Renberg E, Temesváry B, Wasserman D, Fricke S, Weinacker B, Sampaio-Faria JG, Attempted suicide in Europe: rates, trends and sociodemographic characteristics of suicide attempters during the period 1989-1992. Results of the WHO/EURO Multicentre Study on Parasuicide, in Acta Psychiatr Scand, vol. 93, n. 5, 1996, pp. 327–38, PMID 8792901.
  12. ^ National Institute for Clinical Excellence (2004), National Clinical Practice Guideline Number 16: Self-harm, The British Psychological Society, retrieved 2009-12-13.
  13. ^ Swales, M., Pain and deliberate self-harm, The Welcome Trust, retrieved 2008-05-26.
  14. ^ a b Pierce, D., Deliberate self-harm in the elderly, in International Journal of Geriatric Psychiatry, vol. 2, n. 2, 1987, pp. 105–110, DOI:10.1002/gps.930020208.
  15. ^ Jones IH, Barraclough BM, Auto-mutilation in animals and its relevance to self-injury in man, in Acta Psychiatr Scand, vol. 58, n. 1, 1978, pp. 40–7, PMID 99981.
  16. ^ Avian & Exotic Animal Hospital, PLLC, http://www.avianexoticanimalhospital.com/documents/FeatherPluckingandSelf-Mutilation.pdf Archiviato il 7 luglio 2011 in Internet Archive., retrieved 2010-01-04.
  17. ^ Emerson, L.E. (1913), "The case of Miss A: A preliminary report of a psychoanalysis study and treatment of a case of self-mutilation", Psychoanalytic Review (William A. White, MD & Smith Ely Jelliffe, MD): 41–54, retrieved 2009-06-15.
  18. ^ Menninger, K. (1935), "A psychoanalytic study of the significance of self-mutilation", Psychoanalytic Quarterly: 408–466.
  19. ^ Pao, P.N. (1969), "The Syndrome of Delicate Self-cutting", British Journal of Medical Psychology Vol. 42: 195–206.
  20. ^ Ross, R.R., & McKay, H.B. (1979), Self-Mutilation, Lexington Books, ISBN 0-669-02116-4, retrieved 2011-03-12.
  21. ^ Dominique E. Roe-Sepowitz (2005), Indicators of Self-Mutilation: Youth in Custody, The Florida State University College of Social Work, pp. 8–10, 77–88, retrieved 2009-06-15.
  22. ^ Walsh, B.W., & Rosen, P.M. (1988), Self Mutilation: Theory, Research and Treatment, Guilford. of N..Y, NY., ISBN 0-89862-731-1.
  23. ^ Favazza AR, Rosenthal RJ, Diagnostic issues in self-mutilation, in Hosp Community Psychiatry, vol. 44, n. 2, 1993, pp. 134–40, PMID 8432496.
  24. ^ Favazza, A.R. (1996), Bodies Under Siege, 2nd ed, Baltimore: Johns Hopkins Press., ISBN 978-0-8018-5300-5, retrieved 2009-06-22.
  25. ^ "Mortality and Burden of Disease Estimates for WHO Member States in 2002" (xls), World Health Organization, 2002, retrieved 2009-12-13.
  26. ^ Bowen, A.C.L and John, A.M.H (2001), "Gender differences in presentation and conceptualization of adolescent self-injurious behaviour: implications for therapeutic practice", Counselling Psychology Quarterly 14 (4): 357–379, doi:10.1080/09515070110100956.
  27. ^ a b Rodham, K. et al. (2005), "Deliberate Self-Harm in Adolescents: the Importance of Gender", Psychiatric Times 22 (1).
  28. ^ New survey reveals almost one in three young females have tried to self-harm, Affinity Healthcare, 2008, retrieved 2009-12-13.
  29. ^ Vanderhoff, H., and Lynn, S.J. (2001), "The assessment of self-mutilation: Issues and clinical considerations", Journal of Threat Assessment 1: 91–109, doi:10.1300/J177v01n01_07.
  30. ^ a b Corcoran P, Reulbach U, Perry IJ, Arensman E, Suicide and deliberate self harm in older Irish adults, in Int Psychogeriatr, vol. 22, n. 8, 2010, pp. 1327–36, DOI:10.1017/S1041610210001377, PMID 20716390.
  31. ^ Madge et al (2008) Deliberate self-harm within an international community sample of young people: comparative findings from the Child & Adolescent Self-harm in Europe (CASE) Study. Journal of Child Psychology and Psychiatry 49: 667–677.
  32. ^ a b Kerr, P. L., Muehlenkamp, J. J. and Turner, J. M., Nonsuicidal Self-Injury: A Review of Current Research for Family Medicine and Primary Care Physicians, in The Journal of the American Board of Family Medicine, vol. 23, n. 2, 2010, pp. 240–259, DOI:10.3122/jabfm.2010.02.090110.
  33. ^ a b Bowen, A. C. L e John, A. M. H, Gender differences in presentation and conceptualization of adolescent self-injurious behaviour: implications for therapeutic practice, in Counselling Psychology Quarterly, vol. 14, n. 4, 2001, pp. 357–379, DOI:10.1080/09515070110100956.
  34. ^ O'Brien, A., Women and Parasuicide: a Literature Review, Women's Health Council. URL consultato il 26 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 28 aprile 2008).
  35. ^ Brickman, Barbara Jane, 'Delicate' Cutters: Gendered Self-mutilation and Attractive Flesh in Medical Discourse, in Body and Society, vol. 10, n. 4, 2004, pp. 87–111, DOI:10.1177/1357034X04047857.
  36. ^ Tyler, Kimberly A., Les B. Whitbeck, Dan R. Hoyt, and Kurt D. Johnson, Self Mutilation and Homeless Youth: The Role of Family Abuse, Street Experiences, and Mental Disorders, in Journal of Research on Adolescence, vol. 13, n. 4, 2003, pp. 457–474, DOI:10.1046/j.1532-7795.2003.01304003.x.
  37. ^ New survey reveals almost one in three young females have tried to self-harm (PDF), Affinity Healthcare, 2008. URL consultato il 13 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 1º dicembre 2008).
  38. ^ Hawton K., Zahl D. and Weatherall, R., Suicide following deliberate self-harm: long-term follow-up of patients who presented to a general hospital, in British Journal of Psychiatry, vol. 182, n. 6, 2003, pp. 537–542, DOI:10.1192/bjp.182.6.537, PMID 12777346.
  39. ^ Rodham, K., Deliberate Self-Harm in Adolescents: the Importance of Gender, in Psychiatric Times, vol. 22, n. 1, 2005.
  40. ^ Marchetto, M. J., Repetitive skin-cutting: Parental bonding, personality and gender, in Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice, vol. 79, n. 3, settembre 2006, pp. 445–459(15), DOI:10.1348/147608305X69795.
  41. ^ Hospitalisation for intentional self-harm, New Zealand Health Information Service. URL consultato il 3 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 15 ottobre 2008).
  42. ^ National Institute for Clinical Excellence, National Clinical Practice Guideline Number 16: Self-harm (PDF), The British Psychological Society, 2004. URL consultato il 13 dicembre 2009.
  43. ^ a b c d e f Eddleston, M., Deliberate self-harm in Sri Lanka: an overlooked tragedy in the developing world, in British Medical Journal, vol. 317, n. 7151, 1998, pp. 133–135, DOI:10.1136/bmj.317.7151.133.
  44. ^ Ministry of Health. Annual health bulletin, Sri Lanka, 1995. Colombo, Sri Lanka: Ministry of Health (1997)
  45. ^ Diego Gambetta. Codes of the Underworld. Princeton. ISBN 978-0-691-11937-3
  46. ^ Fatos Kaba, Andrea Lewis, Glowa-Kollisch Sarah, James Hadler, David Lee, Howard Alper, Daniel Selling, Ross MacDonald e Angela Solimo, Solitary Confinement and Risk of Self-Harm Among Jail Inmates (PDF), in American Journal of Public Health, vol. 104, n. 3, marzo 2014, pp. 442–447, DOI:10.2105/ajph.2013.301742, PMC 3953781, PMID 24521238. URL consultato il 18 marzo 2014.
  47. ^ a b Self Injury Awareness Book, S. l., FirstSigns, 2007, ISBN 0-9555506-0-2. URL consultato il 26 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2008).
  48. ^ Duffy, M., Example of Self-inflicted wounds in World War I. URL consultato il 26 maggio 2008.
  49. ^ Spartacus Educational, Reasons for Self inflicted wounds. URL consultato il 26 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 22 maggio 2008).
  50. ^ a b Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th Edition: DSM-5, APA, 27 maggio 2013, p. 803, ISBN 978-0-89042-555-8.
  51. ^ Medscape: Medscape Access, in medscape.com.
  52. ^ Helen Spandler, Who's Hurting Who? Young people, self-harm and suicide, Manchester, 42nd Street, 1996, ISBN 1-900782-00-6.
  53. ^ Pembroke, L. R. (ed.), Self-harm – Perspectives from personal experience, Chipmunka/Survivors Speak Out, 1994, ISBN 1-904697-04-6.
  54. ^ Iwata, B. A., Toward a functional analysis of self-injury, in Journal of Applied Behavior Analysis, vol. 27, n. 2, 1994, pp. 197–209, DOI:10.1901/jaba.1994.27-197, PMC 1297798, PMID 8063622.
  55. ^ Anne Claveirole e Martin Gaughan, Understanding Children and Young People's Mental Health, West Sussex, UK, John Wiley & Sons, 2011, p. 75, ISBN 978-0-470-72345-6. URL consultato il 9 febbraio 2011.
  56. ^ Greydanus DE, Shek D (September 2009), "Deliberate self-harm and suicide in adolescents", Keio J Med 58 (3): 144–51, doi:10.2302/kjm.58.144, PMID 19826208.
  57. ^ What self-injury is, FirstSigns, retrieved 2008-05-26.
  58. ^ Hodgson, Sarah (2004), "Cutting Through the Silence: A Sociological Construction of Self-Injury", Sociological Inquiry 74 (2): 162–179, doi:10.1111/j.1475-682X.2004.00085.x.
  59. ^ Proposed Revision=APA DSM-5, retrieved 2010-02-15.
  60. ^ Antonella Marchetti e Giulia Cavalli, Le difficoltà emotive nello sviluppo: il caso dell’alessitimia e dell’autolesionismo. Dalla ricerca psicologica e neuroscientifica alla psicoterapia (PDF), in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia, vol. 4, n. 3, Milano, Mimesis Edizioni, 2013, p. 346, ISSN 2039-4667 (WC · ACNP), OCLC 179825980. URL consultato il 16 maggio 2020 (archiviato il 16 maggio 2020). Ospitato su archive.is..
  61. ^ Humphries SR, Munchausen syndrome. Motives and the relation to deliberate self-harm, in Br J Psychiatry, vol. 152, 1988, pp. 416–7, PMID 3167380.
  62. ^ Martinson, D. (2002), Etiology (history and causes), Self published, retrieved 2008-05-26.
  63. ^ BBC news (1998-07-10), "Third World faces self-harm epidemic", BBC News, retrieved 2008-05-26.
  64. ^ BBC news (2004-12-06), Self-harm, British Broadcasting Corporation, retrieved 2010-01-04.
  65. ^ Johnson CP, Myers SM, Identification and evaluation of children with autism spectrum disorders, in Pediatrics, vol. 120, n. 5, 2007, pp. 1183–215, DOI:10.1542/peds.2007-2361, PMID 17967920.
  66. ^ Dominick KC, Davis NO, Lainhart J, Tager-Flusberg H, Folstein S, Atypical behaviors in children with autism and children with a history of language impairment, in Res Dev Disabil, vol. 28, n. 2, 2007, pp. 145–62, DOI:10.1016/j.ridd.2006.02.003, PMID 16581226.
  67. ^ Barker, P. ed. 2003. Psychiatric and mental health nursing: the craft and caring. London: Arnold. pp237.
  68. ^ Genetics Home Reference, Lesch-Nyhan syndrome, U. S. National Library of Medicine. URL consultato il 13 gennaio 2010.
  69. ^ Rossow I, Hawton K, Ystgaard M, Cannabis use and deliberate self-harm in adolescence: a comparative analysis of associations in England and Norway, in Arch Suicide Res, vol. 13, n. 4, 2009, pp. 340–8, DOI:10.1080/13811110903266475, PMID 19813111.
  70. ^ (EN) Andrea Escelsior, Martino Belvederi Murri e Giovanni Pietro Corsini, Cannabinoid use and self-injurious behaviours: A systematic review and meta-analysis, in Journal of Affective Disorders, vol. 278, 2021-01, pp. 85–98, DOI:10.1016/j.jad.2020.09.020. URL consultato il 29 novembre 2020.
  71. ^ Cutter, D., Jaffe, J. and Segal, J. (2008), Self-Injury: Types, Causes and Treatment, HELPGUIDE.org, retrieved 2008-05-26.
  72. ^ Pembroke, L.R. (ed.) (1994), Self-harm – Perspectives from personal experience, Chipmunka/Survivors Speak Out, ISBN 1-904697-04-6.
  73. ^ Myths about self harm, Harmless, retrieved 2009-12-13.
  74. ^ Precursors to Self Injury, FirstSigns, retrieved 2010-01-14.
  75. ^ Hawton, K. et al. (1998), "Deliberate self harm: systematic review of efficacy of psychosocial and pharmacological treatments in preventing repetition", British Medical Journal 317.
  76. ^ a b CR Glenn, JC Franklin e MK Nock, Evidence-based psychosocial treatments for self-injurious thoughts and behaviors in youth., in Journal of Clinical Child and Adolescent Psychology, vol. 44, n. 1, 2015, pp. 1–29, DOI:10.1080/15374416.2014.945211, PMC 4557625, PMID 25256034.
  77. ^ a b American Self-Harm Information Clearinghouse, Self-help – how do I stop right now?. URL consultato il 26 aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 16 dicembre 2001).
  78. ^ Ougrin D, Tranah T, Leigh E, Taylor L, Asarnow JR, Practitioner review: Self-harm in adolescents., in Journal of child psychology and psychiatry, and allied disciplines, vol. 53, n. 4, aprile 2012, pp. 337–50, DOI:10.1111/j.1469-7610.2012.02525.x, PMID 22329807.
  79. ^ Keith Hawton, Kate Saunders e Rory O'Connor, Self-harm and suicide in adolescents, in The Lancet, vol. 379, n. 9834, 2012, pp. 2373–2382, DOI:10.1016/S0140-6736(12)60322-5. Ospitato su Science Direct.
  80. ^ Dennis Ougrin, Troy Tranah, Daniel Stahl, Paul Moran e Joan Rosenbaum Asarnow, Therapeutic Interventions for Suicide Attempts and Self-Harm in Adolescents: Systematic Review and Meta-Analysis, in Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, vol. 54, n. 2, 2015, pp. 97–107, DOI:10.1016/j.jaac.2014.10.009.
  81. ^ Bird, F., Reducing severe aggressive and self-injurious behaviors with functional communication training, in American Journal on Mental Retardation, vol. 94, n. 1, 1989, pp. 37–48, PMID 2751890.
  82. ^ Carr, E. G., & Durand, V. M., Reducing behavior problems through functional communication training, in Journal of Applied Behavior Analysis, vol. 18, n. 2, 1985, pp. 111–126, DOI:10.1901/jaba.1985.18-111, PMC 1307999, PMID 2410400.
  83. ^ Sigafoos, J. e Meikle, B, Functional Communication Training for the Treatment of Multiply Determined Challenging Behavior in Two Boys with Autism, in Behavior Modification, vol. 20, n. 1, 1996, pp. 60–84, DOI:10.1177/01454455960201003, PMID 8561770.
  84. ^ Muehlenkamp, J. J., Empirically supported treatments and general therapy guidelines for non-suicidal self-injury, in Journal of Mental Health Counseling, vol. 28, n. 2, 2006, pp. 166–185, DOI:10.17744/mehc.28.2.6w61cut2lxjdg3m7.
  85. ^ a b c Klonsky, E. D. e Glenn, C. R., Resisting Urges to Self-Injure, in Behavioural and Cognitive Psychotherapy, vol. 36, n. 2, 2008, pp. 211–220, DOI:10.1017/S1352465808004128, PMID 29527120.
  86. ^ Hawton, K., Deliberate self harm: systematic review of efficacy of psychosocial and pharmacological treatments in preventing repetition, in British Medical Journal, vol. 317, n. 7156, 1998, pp. 441–447, DOI:10.1136/bmj.317.7156.441.
  87. ^ Biofeedback, FingerFreak.com. URL consultato il 2 giugno 2009 (archiviato dall'url originale l'8 maggio 2011).
  88. ^ Self harm – Towards Hope and Recovery, Harmless. URL consultato il 13 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 13 marzo 2012).
  89. ^ Gualberto, A. (1991), An Overview of the Maya World, Produccion Editorial Dante, pp. 207–208, ISBN 968-7232-19-6.
  90. ^ 1 Kings 18:28.
  91. ^ Maimonides, Mishneh Torah, Hilchot Khovel u-Mazik ch. 5, etc. See also Damages (Jewish law).
  92. ^ Ashura observed with blood streams to mark Karbala tragedy, retrieved Jan 17 2010.
  93. ^ FirstSigns webpages, FirstSigns, retrieved 2010-01-14.
  94. ^ Mueller K, Nyhan WL, Clonidine potentiates drug induced self-injurious behavior in rats, in Pharmacol. Biochem. Behav., vol. 18, n. 6, 1983, pp. 891–4, PMID 6684300.
  95. ^ Kies SD, Devine DP, Self-injurious behaviour: a comparison of caffeine and pemoline models in rats, in Pharmacol. Biochem. Behav., vol. 79, n. 4, 2004, pp. 587–98, DOI:10.1016/j.pbb.2004.09.010, PMID 15582667.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

  • (EN) self-mutilation, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  
  • Gli adolescenti e il corpo [1]- Incontro a Latina (LT), 29 aprile 2017
  • Incontro sull'autolesionismo all'Istituto Russell Newton [2]- Scandicci (FI), 25 aprile 2017
  • Autolesionismo, se i nostri ragazzi scacciano il dolore con il dolore [3] - Antonio Montanaro, Corriere Fiorentino, 21 aprile 2017
  • Sibric. - Portale di informazione, ricerca e supporto sui comportamenti autolesionistici (Self Harm & Self Injury). Offre servizi di supporto on-line quali consulenza di esperti tramite mail, gruppi di supporto e counseling.
Controllo di autoritàThesaurus BNCF 39557 · LCCN (ENsh2002009688 · J9U (ENHE987007561434705171 · NDL (ENJA01009587