Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene

Il Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene (nell'originale olandese, Korte Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand) è un'opera del filosofo Baruch Spinoza, composta probabilmente tra il 1661 e il 1662.

Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene
Titolo originaleKorte Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand
Spinoza in un ritratto (1664) di Franz Wulfhagen
AutoreBenedictus de Spinoza
1ª ed. originale1852-1862[1]
Generesaggio
Sottogenerefilosofia
Lingua originaleolandese

Storia dell'opera modifica

Non incluso nelle edizioni delle opere di Spinoza comparse subito dopo la sua morte, il Breve trattato tornò alla luce solo nel XIX secolo[2].

Un breve riassunto, sotto forma di annotazione manoscritta all'interno di una copia della biografia di Spinoza di Egmont Colerus, fu ritrovato nel 1851 e pubblicato l'anno seguente a E. Boehmer, con il titolo Benedicti de Spinoza tractatus de deo et homine eiusque felicitate lineamenta.

In seguito vennero trovate due copie manoscritte del testo completo, sulla base delle quali fu condotta la prima edizione, pubblicata nel 1862 da J. Van Voleten in Ad Benedicti de Spinoza opera quæ supersunt omnia supplementum[1].

Si tratta della prima esposizione organica del sistema filosofico spinoziano che comparirà con l'Etica dimostrata con metodo geometrico. Nella prima stesura provvisoria dell'Etica, completata nello stesso 1662, Spinoza avrebbe in effetti ripreso molti dei materiali del Breve trattato, pur organizzando la loro esposizione secondo un metodo assiomatico-deduttivo anziché secondo la comune forma discorsiva in prosa.[3]

Scritto originariamente in latino e solo in seguito tradotto in olandese (l'unica versione sopravvissuta) il testo è costituito da un insieme di frammenti forse scritti in tempi diversi che Spinoza inviò da Rijnsburg, dove s'era ritirato da Amsterdam, agli amici più intimi con l'avvertenza di mantenere segreto il suo contenuto e di non meravigliarsi delle novità della dottrina ivi esposta[4]:

«Per concludere tutto mi rimane ancora da dire agli amici per i quali scrivo questo (trattato): non meravigliatevi di queste novità, poiché sapete molto bene che una cosa non cessa di essere verità, solo perché non è accettata da molti. E poiché voi non ignorate neppure la condizione dell'epoca in cui viviamo, voglio ancora insistere pregandovi di essere bene attenti per quanto riguarda la comunicazione di queste cose ad altri.[5]»

Contenuto modifica

Se si volesse avanzare una teoria della concezione spinoziana dell'etica basandosi solo sul titolo di questa opera sembrerebbe che l'autore volesse fondare i valori morali dell'uomo indirizzati al conseguimento del bene riferendoli ai precetti della divinità.

In realtà nel Breve trattato Spinoza anticipa la dottrina esposta nell'Etica secondo la quale l'uomo coincide [con] la Natura e questa con Dio (Deus sive Natura). Scrive infatti che come Dio è causa sui «anche la Natura, che non deriva da alcuna causa e che tuttavia ben sappiamo che esiste», è causa sui ed è perfetta quanto Dio[6] così che, essendo le leggi della Natura le stesse leggi di Dio, l'uomo, parte della Natura, è effetto e strumento dell'azione divina: non può agire da solo ma dipende totalmente da Dio:

«Sia quando diciamo che tutte le cose avvengono secondo le leggi della natura, sia quando affermiamo che esse sono ordinate dal decreto e dalla direzione di Dio, noi diciamo la medesima cosa. Quindi siccome la potenza di tutte le cose naturali non è altro se non la stessa potenza di Dio, dalla quale solo tutte le cose sono prodotte e determinate, ne segue che tutto ciò che l'uomo, il quale è a sua volta parte della natura, si procura come aiuto alla conservazione del proprio essere, o anche tutto ciò che la natura spontaneamente gli offre, senza sua opera, tutto gli è largito soltanto dalla potenza divina, in quanto questa agisce sia tramite la natura umana, sia per mezzo di cose estranee alla natura umana[7]

La Natura è «un'Unità eterna, infinita, onnipotente, ecc.»[8] che «consiste di infiniti attributi ciascuno dei quali è perfetto nel suo genere: il che concorda perfettamente con la definizione che si dà di Dio»[9] ed allora in questa natura eterna, infinita e perfetta l'uomo, che è solo una parte finita di essa o «solo un modus degli attributi divini, non può fare neanche nulla da se stesso per la sua salvezza e il suo bene»[10] Vi è dunque una totale dipendenza dell'uomo da Dio tale che

«...noi siamo i servi, anzi gli schiavi di Dio, e che la nostra più grande perfezione è di essere tali necessariamente. Perché se invece fossimo considerati per noi stessi come indipendenti da Dio sarebbe molto poco o nulla ciò che potremmo compiere, e da questo trarremmo giustamente motivo per rattristarci. Proprio il contrario di ciò che attualmente vediamo che dipendiamo a tal punto da ciò che è sommamente perfetto, che siamo come una parte del tutto cioè di lui; e [vediamo] anche che contribuiamo, per così dire, alla produzione di tante opere ordinate e perfette, che da lui dipendono. In secondo luogo, questa dottrina fa sì che non diventiamo orgogliosi dopo aver compiuto qualcosa di eccellente ma, al contrario, che attribuiamo tutte le nostre azioni a Dio il quale è quindi la prima e unica causa di tutto ciò che compiamo e otteniamo.[10]»

Questa è la vera religione a cui deve servire l'uomo che, come strumento di Dio, deve assolvere al meglio alla sua funzione. Un'ascia è perfetta nella sua esistenza se adempie bene il compito per cui è stata fatta. Se il carpentiere non la usasse più «essa sarebbe distolta dal suo fine ed essa non sarebbe più un'ascia. Così anche l'uomo, finché è una parte della Natura, deve seguire le leggi della Natura: questa è la [vera] religione e finché egli agisce così permane nel suo bene.»[11]

Infatti l'uomo non può violare le leggi poste dalla perfezione divina nella natura: egli può trasgredire solo le sue leggi imperfette che sono nulla a fronte di quelle divine:

«Infatti le regole poste da Dio nella natura [...] sono tali che non possono essere mai trasgredite: il più debole deve cedere al più forte; nessuna cosa può produrre più di quanto abbia in se stessa e altre simili sono di tale natura che mai mutano ed iniziano ma tutto è sottomesso e subordinato ad esse. E per dire brevemente qualcosa su ciò: tutte le leggi che non possono essere trasgredite sono leggi divine [...] tutte le leggi che possono essere trasgredite sono leggi umane[12] Quando le leggi della Natura sono più potenti, le leggi degli uomini vengono annullate [...] Poiché, nonostante gli uomini facciano leggi per il loro stesso bene e non abbiano alcun altro fine se non promuovere con esse il loro bene, tuttavia questo loro fine (essendo subordinato ad un altro fine il quale mira ad un altro, che è sopra di loro e che in tal modo li lascia agire solo in quanto parte della Natura) può anche servire allo scopo di concorrere con quelle leggi eterne di Dio, stabilite dall'eternità e così contribuire con tutto il resto a produrre tutti gli effetti. Ad esempio: sebbene le api con tutto il loro lavoro e con l'ordine regolato che mantengono l'una sotto l'altra non mirino ad altro fine che procurarsi certe provviste per l'inverno, tuttavia l'uomo, essendo sopra di esse, mantenendole e avendone cura, ha un fine completamente diverso, cioè di ottenere il miele per sé. Così anche l'uomo, essendo una cosa particolare, non ha un fine ulteriore a quello che la sua essenza determinata può conseguire; ma essendo anche una parte e uno strumento di tutta la Natura, il suo fine non può essere il fine ultimo della Natura, poiché questa è infinita e si deve servire di quello, insieme a tutti gli altri, come di un suo strumento.[13]»

L'uomo crede invece che nella Natura ogni cosa si diriga verso la perfezione ed eviti la imperfezione così che noi valutiamo le cose in termini di utile, dannoso facendovi corrispondere bene, male, bello, brutto, attribuendo cioè a Dio una volontà finalistica, simile alla nostra, che ha creato il mondo in vista del bene per l'uomo. Ma non è così: la valutazione del bene e del male non rientra nelle possibilità umane ma in quelle del sommo artefice:

«Ad esempio: se qualcuno ha costruito un orologio per suonare e indicare le ore con esattezza, e questo oggetto corrisponde perfettamente all'intenzione dell'artefice, allora si dice che è buono, e se no, si dice che è cattivo. Ciononostante esso potrebbe essere egualmente buono se l'intento dell'artefice fosse stato [...] di farlo battere fuori tempo.[14]»

Dio, invero, ha creato solo se stesso coincidendo con la Natura e noi dobbiamo vivere nel mondo non cercando un fine e pensando di poterlo trovare liberamente ma convincendoci che l'uomo, parte della Natura, è compartecipe della sostanza divina e che qui risiede il bene e la sua felicità.

Note modifica

  1. ^ a b (EN) A. Wolf, Spinoza's Short Treatise on God, Man and His Well-Being, London, Adam and Charles Black, 1910, pp. cv-cvi, ISBN non esistente. URL consultato il 22 novembre 2013.
  2. ^ Nadler, pp. XIII, 212.
  3. ^ Emanuela Scribano, Guida alla lettura dell'"Etica" di Spinoza, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 4, ISBN 978-88-420-8732-8.
  4. ^ (FR) Geraldine Sheridan, Aux origines de l'"Essai de métaphysique du comte de Boulainvillier: le "Korte Verhandeling", in Wiep Van Bunge, W. N. A. Klever (a cura di), Disguised and overt Spinozism around 1700 – Papers presented at the international colloquium, held at Rotterdam, 5-8 October 1994, Leiden, E.J. Brill, 1996, p. 327, ISBN 90-04-10307-4. URL consultato il 22 novembre 2013.
  5. ^ Spinoza.
  6. ^ Spinoza, p. 13.
  7. ^ Spinoza, p. 33.
  8. ^ Spinoza, p. 17.
  9. ^ Spinoza, p. 11 sg. 40.
  10. ^ a b Spinoza, p. 82.
  11. ^ Spinoza, p. 84.
  12. ^ Gli uomini hanno istituito leggi credendo di essere distinti dalla Natura-Dio e perciò le loro possono essere giuste o sbagliate mentre quelle stabilite da Dio sono sempre giuste (N. d. R.)
  13. ^ Spinoza, pp. 103-104.
  14. ^ Spinoza, p. 31.

Bibliografia modifica

  • Benedictus de Spinoza, Korte verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand = Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene, introduzione, edizione, traduzione e commento di Filippo Mignini, edizione critica del testo olandese, L'Aqila, Japadre, 1986.
  • Steven Nadler, Baruch Spinoza e l'Olanda del Seicento, Torino, Einaudi, 2002, ISBN 978-88-06-19938-8.
  • Marco Ravera, Invito al pensiero di Spinoza, Milano, Mursia, 1987.

Collegamenti esterni modifica

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