Carodnia

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Carodnia è un genere estinto di mammifero xenungulato vissuto nel Paleocene del Brasile e dell'Argentina, e l'Eocene del Perù.[3] Carodnia è posto all'interno dell'ordine degli Xenungulata insieme ad Etayoa e Notoetayoa.[4]

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Carodnia[1]
Ricostruzione di Carodnia vieirai
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Mammalia
Sottoclasse Theria
Infraclasse Eutheria
Superordine † Meridiungulata
Ordine † Xenungulata
Paula Couto, 1952
Famiglia Carodniidae
Paula Couto, 1952
Genere Carodnia
Simpson, 1935
Nomenclatura binomiale
† Carodnia feruglioi
Simpson, 1935
Sinonimi
  • Ctalecarodnia Simpson, 1935
specie
  • C. vieirai
    Paula Couto 1952
  • C. cabrerai
    Simpson 1935
  • C. feruglioi
    Simpson 1935
  • C. inexpectans[2]
    Antoine et al., 2015

Carodnia rappresenta il più grande mammifero noto dal Paleocene del Sud America. Il corpo dell'animale era pesante e robusto e la bocca dell'animale era dotata di due grandi canini e di molari crestati, come gli uintateri, a cui potrebbero essere imparentati.[3] In vita l'animale raggiungeva le dimensioni di un tapiro. Inoltre aveva molte somiglianze con i Dinocerata, pur non avendo zanne o ossiconi.

Descrizione modifica

Secondo le prime interpretazioni di Simpson, Carodnia assomigliava al primitivo uintateride Probathyopsis. Paula Couto fece lo stesso confronto, e inserì Carodnia nel nuovo ordine degli Xenungulata. Nel 1985, Gingerich concluse che Probathyopsis avesse caratteristiche dentali differenti da Carodnia, e che in quest'ultimo la dentatura anteriore era ben più ridotta: il primo premolare e la seconda inferiori e superiori sono ingranditi e appuntiti, e il primo e il secondo molare sono più lofodonti. Gingerich pensò che le differenze avrebbero potuto giustificare una famiglia separata per Carodnia, ma propose che dovesse essere incluso nei Dinocerata. Nel 1983, Cifelli raggruppò Carodnia nei Pyrotheria, ma in seguito concluse che si trattava di un errore.[5]

Carodnia è caratterizzato per essere un bilofodonte, con i primi e i secondi molari e i più lophati nel complesso dei terzi molari, il che suggerisce un possibile collegamento con piroteri, uintateri e arctocionidi. Le ossa del piede sono corte e robuste e le falangi terminano in unghie ampie e piatte, simili a zoccoli, a differenza di qualsiasi altro meridiungulato conosciuto.[6]

Le specie C. feruglioi e C. cabrerai[5] sono conosciute per pochi resti dentali. La specie C. vieirai[5] è invece nota da resti dentali, cranici e postcraniali molto più completi, compresa una mandibola quasi completa, molte vertebre, e diverse ossa delle gambe.[7]

Quando Simpson descrisse Carodnia e Ctalecarodnia, il primo era noto solo da un molare inferiore sinistro che mancava nel secondo, rendendo il confronto molto difficile. Nel 1952, Paula Couto basandosi su resti considerevolmente più completi, concluse che i molari e premolari di entrambi sono indistinguibili e quindi Ctalecarodnia è un sinonimo di Carodnia. Paula Couto ha anche osservato che le dentature di C. cabrerai e C. feruglioi sono simili tranne per le dimensioni, e che C. feruglioi può essere un esemplare giovane di C. cabrerai, ma le due specie sono state comunque lasciate distinte.[8]

Note modifica

  1. ^ Carodnia, su paleobiodb.org. URL consultato il maggio 2013.
  2. ^ Pierre-Olivier Antoine, Guillaume Billet, Rodolfo Salas-Gismondi, Julia Tejada Lara, Patrice Baby, Stéphane Brusset e Nicolas Espurt, A New Carodnia Simpson, 1935 (Mammalia, Xenungulata) from the Early Eocene of Northwestern Peru and a Phylogeny of Xenungulates at Species Level, in Journal of Mammalian Evolution, in press, 2015, DOI:10.1007/s10914-014-9278-1.
  3. ^ a b Pantodonts, uintatheres and xenungulates: The first large herbivorous mammals, su paleocene-mammals.de, Paleocene Mammals, agosto 2005. URL consultato il maggio 2013.
  4. ^ Xenungulata, su palaeocritti.com, Palaeocritti. URL consultato il maggio 2013 (archiviato dall'url originale l'11 aprile 2011).
  5. ^ a b c Gingerich, 1985, pp. 130–1.
  6. ^ Rose, 2006,  Xenungulata, p. 238.
  7. ^ Paula Couto, 1952
  8. ^ Paula Couto, 1952

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