Il figlio di Cincinnato è un personaggio della storia romana legato alla vicenda del padre, un alto componente della Curia ed esponente di una gens (la gens Quinctia) tanto potente nella Roma dell'epoca da fornire anche dei consoli, che si era ritrovato in così gravi ristrettezze economiche da essersi trasferito oltre il Tevere ed arare personalmente. Nonostante ciò il Senato di Roma, quando si ritrovò con un esercito e un console assediati sul Monte Algido, cercò proprio lui e gli affidò la difesa dell'Urbe.

Lex Terentilia modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Lex Terentilia.

Bisogna partire dal 462 a.C. quando Roma, dopo una serie particolarmente densa di vittoriose battaglie con i vicini, entrò in un periodo di pace esterna. E subito si trasformò in violenti contrasti politici fra i diritti dei patrizi e quelli dei plebei; (ricordiamo che le leggi non erano ancora state codificate nelle famose Leggi delle XII tavole). Il tribuno della plebe Gaio Terentilio Arsa presentò la sua legge (Lex Terentilia per molti anni poi discussa e mai approvata) che proponeva un comitato di cinque cittadini per stendere le norme che vincolavano il potere dei consoli, allora praticamente senza limiti. Il pretore Quinto Fabio con discorsi nel Foro e cavillando sull'assenza dei consoli riuscì a fermare la discussione, poi tornò il console Lucio Lucrezio Tricipitino, che con Tito Veturio Gemino Cicurino era sceso in campo contro i Volsci e gli Equi. Lucrezio riportò a Roma un abbondante bottino e la plebe gli attribuì il trionfo (a Veturio solo l'ovazione). Della Lex Terentilia, per quell'anno, non si parlò più.
Il successivo 461 a.C., con consoli Publio Volumnio Amintino Gallo e Servio Sulpicio Camerino Cornuto tutti i tribuni ripresentarono la Lex Terentilia. Ma ancora una volta giunse la voce che Volsci ed Equi facendo base ad Anzio avessero ripreso le armi. I consoli indissero la consueta leva militare e, di conseguenza, fu sospesa la discussione legislativa. I tribuni della plebe sbraitavano che questa era una mossa dei patrizi per fermare la discussione della legge, che i nemici erano appena stati pesantemente sconfitti e certo non volevano ricominciare le ostilità, vararono una generale renitenza alla leva difendendo quelli che su indicazione nominativa dei consoli, venivano afferrati dai littori. L'agone interno di Roma divenne rapidamente rovente.

Cæso Quinctius modifica

Tito Livio, lo storico padovano del I secolo così ce lo presenta:

(LA)

«Cæso erat Quinctius, ferox iuvenis qua nobilitate gentis, qua corporis magnitudine et viribus. Ad ea munera data a dis et ipse addiderat multa belli decora facumdiamque in foro, ut nemo, non lingua, non manu promptior in civitate haberetur. Hic cum in medio patrum agmine constitisset, eminens inter alios, velut omnes dictaturas consulatusque genrens in voce ac viribus suis, unus impetus tribunicios popularesque procellas substinebat. Hoc duce saepe pulsi foro tribuni, fusa ac fugata plebes est; qui obvius fuerat, mulcatus nudatusque abibat, ut satis appareret, si sic agi liceret, victam lege esse.»

(IT)

«Vi era un giovane, Cesone Quinzio, fiero della sua nobile discendenza e della sua corporatura imponente e robusta. A questi doni divini egli aveva saputo aggiungere molti meriti militari e un'arte oratoria che lo rendeva capace di parlare nel Foro: nessuno era considerato, in tutta la città, più pronto di lingua e di mano. Quando si piazzava in mezzo al gruppo dei patrizi egli torreggiava tra gli altri quasi che nelle sue parole e nella sua forza, fossero radunati tutti i consolati e tutte le dittature; lui, da solo, sosteneva tutti gli attacchi dei tribuni e del popolo. Più volte, quando egli ebbe in mano la situazione, i tribuni furono cacciati dal Foro, più volte la plebe (il popolo) fu dispersa e messa in fuga. Chi osava tenergli testa se ne andava malconcio e privo di ogni difesa ed era evidente che, se gli fosse stato permesso di agire in quel modo, per la legge non c'era speranza.»

I tribuni della plebe non erano certo dei "chierichetti" ma ben presto quasi tutti furono ridotti al silenzio. A contrattaccare fu l'ultimo rimasto.

Aulo Virginio modifica

Aulo Virginio mise Cesone sotto processo per capitis; omicidio. Nessun imprigionamento per Cesone; il giovane Quinzio fu lasciato libero di peggiorare la sua situazione. L'accusa lo fece diventare ancora più veemente nelle sue resistenze alla lex Terentilia. Virginio ogni tanto ripresentava la stessa legge, non tanto perché fosse approvata ma per dare esca alle reazioni di Cesone Quinzio che sembrava aver dichiarato guerra a tutta la plebe. Virginio aveva così facile agio nel sobillare poi i plebei, generando una vera e propria escalation di azioni violente e votazioni contrastate.

Secondo Livio, questo era una delle argomentazioni di Virginio:

(LA)

«Ecquid sentitis iam, vos, Quirites, Caesonem simul civem et legem quam cupitis habere non posse? Quamquam quid ego legem loquor? Libertati obstat; omnes Tarquinios superbia exsuperat. Expectate dum consul aut dictator fiat, quem privatum viribus et audacia regnantem videtis.»

(IT)

«Quiriti, non vi rendete conto che è impossibile avere contemporaneamente Cesone come concittadino e la legge approvata? Ma cosa parlo di legge, lui è nemico della libertà e batte in superbia tutti i Tarquini. Aspettate che diventi console o dittatore, questo che è un privato cittadino e si comporta, come potete constatare da re prepotente e tracotante.»

e Livio continua: Adsentiebantur multi... molti assentivano.

Processo modifica

Nell'avvicinarsi del giorno del processo Cesone cominciò a capire che, se fosse stato condannato sarebbe stata in gioco la sua libertà e che era giunto il momento di cambiare politica. Iniziò la ricerca di alleati e "cum multa indignitate prensabat singulos"; cioè "mortificandosi andava in giro a raccomandarsi". E non gli mancavano né gli alleati né supporti oggettivi.

(LA)

«T. Quinctius Capitolinus, qui ter consul fuerat, cum multa referret familiæque decora, adfirmabat necque in Quinctia gente necque in civitate Romana tantam indolem tam maturæ virtutis unquam existisse; suum primum militem fuisse, se saepe vidente pugnasse in hostem. Sp. Furius, missus ab Quinctio Capitolino sibi eum in dubiis suis rebus venisse subsidio; neminem unum esse cuius magis opera putet rem restitutam L.Lucretius, cinsul anni prioris, recenti gloria nitens, suas laudes participare cum Caesone, memorare pugnas, referre egregia facinora.»

(IT)

«Tito Quinzio Capitolino Barbato, che era stato tre volte console, ricordava i molti titoli di merito di Cesone e della famiglia, affermando che mai nemmeno a Roma si era avuto un ingegno così grande e precoce valore. Cesone era stato suo soldato di prima fila e aveva combattuto il nemico proprio sotto i suoi occhi. Spurio Furio ricordava che Cesone, mandato da Quinzio Capitolino era corso in suo aiuto in un frangente di grande pericolo; si diceva convinto, anche che nessuno più di Cesone avesse contribuito a risollevare le sorti della battaglia. Lucio Lucrezio, console l'anno precedente, e le cui gloriose imprese erano ancora ben vive nella memoria di tutti, divideva i suoi meriti con Cesone, ricordava gli scontri, enumerava le sue splendide azioni in missione e sul campo di battaglia.»

Il padre, Lucio Quinzio detto Cincinnato (riccioluto) chiedeva semplicemente comprensione per gli errori giovanili e un perdono basato sul fatto che lui Lucio Quinzio non aveva mai fatto male ad alcuno. I risultati furono poco incoraggianti e molti dei bastonati promettevano un giudizio poco clemente.
Come si nota, nessuna accusa e nessuna difesa per l'omicidio. A Roma si parlava d'altro. Quello che contava era la popolarità personale e la potenza politica della famiglia.

Marco Volscio Fittore modifica

Era stato tribuno della plebe qualche anno prima. E testimoniava che durante la peste, un gruppo di giovani vagabondava per la Suburra con intenzioni poco raccomandabili. Era nata una rissa e il fratello di Marco Volscio, colpito da un pugno di Cesone, era caduto ed era stato portato a braccia a casa sua dove era morto. Marco Volscio era convinto che fosse morto per il colpo subito ma non era stato possibile ottenere giustizia dai consoli degli anni precedenti.

(LA)

«Haec Volscio clamitate adeo concitati homines sunt in haud multum afuerit quin impetu populi Cæso interiret. Verginius arripi iubet hominem et vincula duci. Patricii vi conta vim resistunt.»

(IT)

«Volscio gridava queste accuse in tutte le occasioni, e l'animo della gente ne fu tanto inasprito che poco mancò che Cesone fosse linciato dal popolo. Virginio ordina che sia arrestato e messo in carcere. I Patrizi oppongono violenza a violenza.»

Tito Quinzio dichiara che essendo ancora non condannato non si poteva imprigionare Cesone. Il tribuno per contro lo vuole imprigionare con la scusa di evitare che si sottragga al processo con la fuga.

(LA)

«Apellati tribuni medio decreto ius auxilii sui expediunt: in vincla conici ventant; sisti reum pecuniamque ni sistatur populo promitti placere pronuntiant.»

(IT)

«I tribuni cui Cesone si era appellato esercitano il diritto di intercessione con una decisione che accontenta tutti: si oppongono alla sua carcerazione, deliberano che l'imputato compaia in giudizio e che, in previsione di una sua possibile fuga, fornisca una garanzia in denaro al popolo.»

Cauzione modifica

Per fissare l'importo della cauzione si dovette ricorrere al Senato e fino a quando non si fosse deliberato Cesone Quinzio doveva essere tenuto nel Foro. Fu deliberato che Cesone dovesse essere garantito da dieci mallevadori che versassero ognuno una cauzione di tremila assi. A quanto scrive Livio, questo fu il primo caso di malleveria fornita, al pubblico erario di Roma, da un imputato in un processo. A Cesone fu concesso di allontanarsi dal Foro.

Durante la notte andò esule in Etruria.

Il giorno del processo Cesone non si presentò e fu giustificato in quanto esule volontario. Ma la vendetta dei tribuni della plebe non mancò di colpire:

(LA)

«..nihilo minus Verginio comitia habente, collegæ apellati dimisere concilium. Pecunia a patre exacta crudeliter, ut divenditis omnibus bonis aliquandiu trans Tiberim veluti regulatus devio quondam tugurio viveret.»

(IT)

«Virginio volle tenere lo stesso i comizi, ma i suoi colleghi cui era stato interposto appello, sciolsero l'adunanza. Con grande rigore la cauzione fu richiesta al padre il quale fu costretto a vendere tutti i suoi beni e ad andare a vivere per un po' di tempo in un tugurio, oltre il Tevere, quasi fosse stato condannato al confino.»

E in quel tugurio, solo pochi mesi dopo, i senatori di Roma trovarono Cincinnato e la moglie quando dovettero nominare un dittatore, qualcuno di così bravo ed integro da sconfiggere i nemici della città ed evitare di vendicarsi.