Collezione Pamphilj

raccolta di opere d'arte

La collezione Pamphilj è stata una collezione d'arte nata nella metà del Seicento a Roma, durata solo poco più di un secolo e appartenuta alla famiglia dei Pamphilj.[1]

Stemma della famiglia Pamphilj sulla fontana dei Quattro Fiumi, Roma
Ritratto di Innocenzo X, Diego Velazquez

La collezione, accresciuta grazie soprattutto a Camillo Francesco, nipote di papa Innocenzo X, e Giovan Battista, si componeva prevalentemente di opere pittoriche commissionate, acquistate o pervenute in dote (come nel caso di quella Aldobrandini e Facchinetti) che spaziano dall'epoca medievale fino a quelle del Sei-settecento, tra cui alcuni dei massimi capolavori dell'arte. Estinto il casato nel 1763, la collezione è poi confluita tramite matrimoni e discendenze tra le proprietà della neocostituita famiglia Doria Landi Pamphilj, i cui eredi ne restano i legittimi proprietari tutt'oggi nel XXI secolo.[2]

Le opere che erano collocate in origine tra le varie e numerose proprietà familiari dislocate sul territorio romano è oggi raggruppata tutta nel palazzo di via del Corso a Roma, dov'è la storica collezione seicentesca dei Pamphilj.[3] La villa Pamphilj del Gianicolo è divenuta nel tempo luogo di rappresentanza dello Stato italiano,[4] il palazzo di piazza Navona fu acquistato dallo Stato brasiliano nel 1960 ed è oggi sede della sua ambasciata in Italia,[5] quello di Valmontone è riadattato come palazzo-museo, pressoché spoglio di opere della collezione, il palazzo di Albano Laziale versa in stato di abbandono, quello di San Martino al Cimino è destinato a eventi culturali mentre quello di Nettuno, infine, è riutilizzato come istituto religioso.

La raccolta, che comprendeva pitture, antichità rinvenute tra i feudi di Anzio, Albano Laziale e Nettuno, arredi e statue, costituiva una delle più importanti collezioni della Roma barocca, includendo tra gli altri capolavori di Velazquez, Caravaggio, Gian Lorenzo Bernini, Jacopo Tintoretto, Tiziano, Raffaello Sanzio, Correggio, Guercino, Parmigianino, Gaspard Dughet, Jan Brueghel il Vecchio.[6][3]

Storia modifica

Seicento modifica

L'ascesa sociale della famiglia con la nomina papale di Innocenzo X modifica

 
Palazzo Pamphil di piazza Navona (Roma)

Originaria di Gubbio, la famiglia Pamphilj era già affermata in ambito ecclesiastico con Girolamo, nominato cardinale nel 1604 da papa Clemente VIII. La definitiva ascesa nella società del tempo e, più in particolare, nella nobiltà romana, avvenne tuttavia con Giovan Battista Pamphilj, il quale, già nunzio apostolico a Napoli tra il 1621 e il 1625, fu nominato papa nel 1644 col nome di Innocenzo X, rimanendovi in carica fino alla sua morte, avvenuta nel 1655.[7] Questi fu quindi l'iniziatore della collezione con la raccolta delle prime opere d'arte, per lo più dipinti di matrice devozionale del Cavalier d'Arpino e di Francesco Albani.

Il palazzo di piazza Navona a Roma costituiva in quel momento l'edificio di rappresentanza: fu realizzato nel 1630 in sostituzione di preesistenti fabbricati di proprietà della famiglia e venne chiamato per le decorazioni interne Pietro da Cortona, il quale compì nella galleria, tra il 1651 e il 1654, il grande ciclo di affreschi con le Storie di Enea. Al suo interno dimoravano papa Innocenzo X e suo fratello Pamphilio Pamphilj con la moglie, Olimpia Maidalchini, personalità quest'ultima molto influente nella Roma del tempo, che avrà un ruolo determinante anche nelle logiche familiari interne dei Pamphilj.[7] Il papa in quegli anni si occupò di restaurare non solo il suddetto palazzo, ma anche tutta la piazza antistante l'edificio, chiedendo a Gian Lorenzo Bernini la realizzazione di un'opera da collocare al centro dello spazio, utile anche a testimoniare il successo "morale" del pontefice; per l'occasione fu dunque compiuta dallo scultore la fontana dei Quattro Fiumi, realizzata tra il 1648 e il 1651.[8]

La famiglia entrò in possesso del palazzo romano di via del Corso solo nel 1647 (dopo aver dimorato per un breve periodo nella villa Aldobrandini di Frascati) edificio innalzato nel Cinquecento per volontà del suo primo proprietario, il cardinale Santoro, poi passato ai Della Rovere e poi, nel 1601, agli Aldobrandini.[9][10] L'edificio pervenne infatti tra le proprietà Pamphilj con il matrimonio nello stesso anno tra Olimpia Aldobrandini e Camillo Francesco Maria Pamphili, figlio di Pamphilio e Olimpia Maidalchini, quindi nipote di papa Innocenzo X.[10]

 
Villa Pamphilj al Gianicolo (Roma)

Con l'acquisizione per dote del palazzo di via del Corso, furono realizzati nel contempo anche lavori di ammodernamento degli ambienti interni, in particolare furono realizzati quelli che si affacciano sul cortile del Collegio Romano, il cosiddetto Appartamento Nuovo.[10] Al suo interno ebbero dimora Camillo Francesco e la moglie Olimpia, seguitati nei secoli successivi anche dai figli di questi e da tutta la dinastia che succederà nel tempo.[10] Il palazzo di piazza Navona, infatti, dopo Innocenzo X e Pamphilio Pamphilj con famiglia, perderà sempre più peso nelle dinamiche familiari, con le opere raccolte fino a quel momento e ivi custodite che, una volta ereditate da Camillo Francesco, verranno di volta in volta spostate tra le varie residenze della famiglia, in particolar modo tra quella del Corso e quella del Gianicolo.[10]

 
Busto di papa Innocenzo X, Gian Lorenzo Bernini (Galleria Doria Pamphilj)

Il capolavoro della collezione, secondo l'opinione generale, era sin dal principio il Ritratto di papa Innocenzo X, opera di Velázquez (oggi alla Galleria Doria Pamphilj), registrato in un inventario del 1666 (anno della morte di Camillo Francesco) proprio nel fabbricato su piazza Navona.[11] La commessa spettò con ogni probabilità al papa stesso, forse su indicazione della cognata Olimpia Maidalchini, nonché sua stretta confidente e consigliere e, secondo alcuni, amante.[11] Il ritratto fu eseguito verso il 1650 e venne ritenuto dal pontefice stesso "Troppo vero!" per la grande qualità d'esecuzione.[11] Allo stesso giro di anni risalgono inoltre altri due capolavori della ritrattistica, entrambi scultorei e destinati sempre all'edificio su Navona: uno venne richiesto, sempre per fini elogiativi del nuovo papa, a Gian Lorenzo Bernini, il quale eseguì il busto in cui è ritratto il pontefice (lo scultore era già avvezzo a questo tipo di opere avendo eseguito al tempo già i ritratti di papa Paolo V, di papa Urbano VIII, di Scipione Borghese e di altri illustri prelati), dove per l'occasione vennero realizzate due versioni coeve del 1650, in quanto la prima presentò un difetto marmoreo accidentale (entrambe oggi alla Galleria Doria-Pamphilj); un altro venne invece compiuto tra il 1646 e il 1647 da Alessandro Algardi, che realizzò il Busto di Olimpia Maidalchini (oggi anche questo alla Galleria Doria-Pamphilj).[11] Tra il 1652 e il 1653, intanto, entrarono nella raccolta del palazzo di piazza Navona anche opere di Guercino, donate dal marchese Albergati, come il Martirio di sant'Agnese e il San Giovanni Battista alla fonte (entrambe oggi alla Galleria Doria Pamphilj).[12]

Il successo economico e sociale che investì la famiglia durante gli anni del pontificato di Innocenzo X è testimoniato anche da altri edifici acquistati o realizzati ex novo durante lo stesso periodo, come il palazzo di Valmontone, acquistato dal cardinal-nipote Camillo Francesco nel 1650 circa e utilizzato come residenza estiva della famiglia,[13][14] quello di Nettuno, o come la sontuosa villa del Gianicolo, cosiddetta "del Belrespiro", acquistata già da Pamphilio Pamphilj il 23 ottobre 1630, ma riprogettata come villa Nuova dallo scultore Alessandro Algardi e dal pittore Giovanni Francesco Grimaldi, che vi lavorarono tra il 1644 e il 1652.[15]

La collezione del cardinal-nipote Camillo Francesco Pamphilj modifica

 
Riposo durante la fuga in Egitto, Caravaggio
 
Buona Ventura, Caravaggio

Con la salita al trono papale di Innocenzo X, nel 1644, questi istituì un primo fidecommisso allo scopo di vincolare le opere al nipote, Camillo Francesco Pamphilj, cardinale e principe di San Martino al Cimino, figlio di Pamphilio Pamphilj e Olimpia Maidalchini (la coppia avrà anche altre due figlie, Costanza e Maria, che andrà in nozze con Andrea Giustiniani, I principe di Bassano).[15] Costui, oltre a ereditare le opere raccolte dagli esponenti della famiglia in occasione della loro morte, Innocenzo X morì nel 1655 mentre la madre nel 1657, dalla cui collezione di lei pervennero diverse opere (come l'Ermina che ritrova Tancredi ferito del Guercino),[16] fu il vero selezionatore e mecenate d'arte che, massivamente, si adoperò nel mercato per accaparrare quante più opere possibili secondo i propri gusti personali.[15]

 
Guercino, Erminia ritrova Tancredi ferito
 
Concerto, Mattia Preti

A Camillo Francesco (più specificatamente alla madre, Olimpia Maidalchini) si devono gli inserimenti nella raccolta di almeno quattro opere del Caravaggio, di cui una prima, il San Giovanni Battista, in pendant con la sua "replica" caravaggesca (entrambe oggi alla Galleria Doria Pamphilj), fu lasciate dal cardinale Filonardi nel 1644 di sua sponte, mentre la Buona Ventura (oggi al Louvre di Parigi, in quanto poi donata successivamente a Luigi XIV), la Maddalena penitente e il Riposo durante la fuga in Egitto, furono acquistate per appena 90 scudi nel 1650 dalla collezione di Caterina Vittrice, la quale ebbe in eredità diverse opere raccolte dal fratello, il vescovo Alessandro.[17] Tuttavia secondo una parte della critica non vi è certezza che le due opere oggi nella Galleria Doria Pamphilj siano effettivamente di provenienza Vittrice, in quanto nella collezione Aldobrandini, che in gran parte sarà donata a Giovan Battista nel 1681 dalla madre Olimpia, sono segnalate due opere di pari soggetto assegnate anch'esse al Merisi.[18]

Sempre a Camillo si devono anche gli acquisti di svariate opere caravaggesche di autori come Matthias Stomer, Wolfgang Heimbach, Mattia Preti, di cui il San Giovanni Battista e la Maddalena penitente acquistate entrambe nel 1657 per 300 scudi, Carlo Saraceni, Giacomo Massa, nonché di altre di natura fiamminga, come le svariate tavole di Pieter Brueghel il Vecchio e Jan Brueghel il Vecchio, acquistate nel mercato di Parigi tra il 1654 e il 1656,[19] e infine di tavole di piccolo formato della scuola italiana del Quattrocento.[15] Il principe era un buon collezionista seppur non mancavano alcune pecche nella sua attività di mecenate, infatti era ritenuto di «borsa [...] assai ritenuta, e delicata», in quanto era noto per pagare in maniera non adeguata le opere e le commesse che avanzava.[15] Altra caratteristica del cardinale era che questi non si circondò dei grandi maestri (riconosciuti tali al tempo) del Seicento romano, come i classicisti Guido Reni o i barocchi Guercino, due tra i più noti autori attivi in quegli anni a Roma, bensì si dimostrò proiettato per lo più alla pittura paesaggistica, circondandosi quindi di opere di Claude Lorrain, Herman van Swanevelt, Paul Bril e Jan de Momper.[15]

Per le decorazioni ad affresco delle residenze familiari che man mano si andavano innalzando o ammodernando negli anni a cavallo tra il 1654 e il 1658, invece, Camillo Francesco impiegò per la loro decorazione il lavoro di autori "minori": ad esempio nel palazzo di Valmontone, tra il 1657 e il 1661, ricevettero l'incarico di eseguire gli affreschi artisti quali Pier Francesco Mola, Gaspard Dughet, Guillaume Courtois e Francesco Cozza, seppur tra il 1661 e il 1664 ebbe la commessa addirittura Mattia Preti, che vi realizzò l'Allegoria dell'Aria sulla volta della sala omonima.[13][14][15]

Nel primo inventario di opere, stilato nel 1650, risultano registrati più di 300 dipinti, organizzati tra la villa del Belrespiro, dov'erano segnalate le due del Saraceni, il San Rocco e il San Giovanni Battista, il palazzo del Corso e quello di piazza Navona, dove erano i due busti di Innocenzo X (del Bernini) e quello di Olimpia Maidalchini (dell'Algardi), nonché il ritratto del pontefice di Velzquez, e dove, inoltre, da lì a breve, sarebbe avvenuta la commessa a Pietro da Cortona, al quale si avrebbe dato compito di realizzare il grande ciclo della volta della galleria, con le Storie di Enea.[15] Il cospicuo numero di tele inventariate nella collezione non fu dovuto solo alle commesse o agli acquisti effettuati da Camillo Francesco e papa Innocenzo X, ma anche a donazioni o lasciti in blocco da altre collezioni che sono poi entrate a far parte di quella Pamphilj, tra cui quelle Bentivoglio, Barberini, Chigi, Colonna, Filonardi.[10]

Un ulteriore inventario dei beni Pamphilj venne poi stilato alla morte di Camillo Francesco, nel 1666.

La collezione sotto Giovan Battista e Benedetto Pamphilj modifica

 
Lotta di putti, Guido Reni

I due figli di Camillo Francesco e Olimpia, Giovanni Battista Pamphilj, II principe di San Martino al Cimino e Valmontone e il cardinale Benedetto, continuarono dalla fine del XVII secolo e fino ai primi decenni del XVIII, a collezionare opere, commissionate o acquistate, in linea con quello che fu l'indirizzo del padre.[2]

Grazie al cardinale Benedetto, personalità molto colta che rivestì un ruolo di primo piano nella vita culturale e artistica romana del XVII e XVIII secolo, testimoniata anche dall'appartenenza alla prestigiosa accademia dell'Arcadia, con una propensione anche per l'opera lirica, entrarono nella raccolta Pamphilj opere di natura fiamminga e soprattutto reperti archeologici rinvenuti durante gli scavi eseguiti tra Anzio, Albano Laziale e Nettuno (località quest'ultima in cui il prelato aveva abituale dimora nel palazzo di famiglia), che poi per sua volontà furono successivamente spostati nella villa di Belrespiro a Roma.[2]

Giovan Battista, invece, continuò a raccogliere un cospicuo numero di tele paesaggistiche o comunque ad acquistare opere già in altre collezioni, come alcune provenienti dalla raccolta Ludovisi, che venivano disposte per lo più tutte sul palazzo di via del Corso.[2] Tuttavia gli aspetti più rilevanti della sua attività di mecenate si ebbero con l'acquisizione di due collezioni: una, avuta in dote dalla moglie Violante Facchinetti, comprendente opere quali il San Girolamo e la Susanna e i vecchioni di Annibale Carracci, la Lotta di putti di Guido Reni, nonché una serie di tele di Francesco e Jacopo Bassano (oggi tutte alla Galleria Doria Pamphilj), l'altra acquisita per eredità dalla madre, Olimpia Aldobrandini, che costituirà il momento più importante per lo sviluppo della collezione Pamphilj.[2]

Il lascito della collezione Aldobrandini (1681) modifica

 
Salomé con la testa del Battista, Tiziano

La famiglia Pamphilj acquisì per dote, grazie al matrimonio di Olimpia Aldobrandini con Camillo Francesco nel 1647, il palazzo di su via del Corso; un anno dopo la morte della nobile (deceduta nel 1681) avvenne l'ingresso nella raccolta Pamphilj di una fetta della cospicua collezione d'arte della donna (mentre un'altra parte, in misura più ridotta, fu donata ai figli avuti in prime nozze con Paolo Borghese, che andrà poi a nutrire per l'appunto la collezione Borghese), tra le più notevoli del tempo, oltre che svariate proprietà immobiliari dissipate nel territorio emiliano.[9][10]

 
Paesaggio con la fuga in Egitto, Annibale Carracci

Le opere che erano in collezione Aldobrandini, quest'ultima già nota e prestigiosa nel Cinquecento grazie all'acquisizione a sua volta di opere provenienti dalla collezione d'Este, e che poi sono confluite nella collezione Pamphilj (circa un centinaio di dipinti) erano per quantità e qualità decisamente più rilevanti di quelle collezionate fino a quel momento dal papa, dal cardinal-nipote Camillo Francesco e dai figli Giovanni Battista e Benedetto (seppur fa eccezione il capolavoro del Velazquez).[10]

Con il lascito pervennero nella raccolta romana opere di Raffaello, di cui il Ritratto di Andrea Navagero e Agostino Beazzano, di Domenico Beccafumi, Giovanni Bellini, di cui il Festino degli dei (oggi alla National Gallery di Washington), Jan Brueghel il Vecchio, Giuliano Bugiardini, Ludovico Carracci, del Correggio, di cui il bozzetto dell'Allegoria della Virtù, del Parmigianino, di cui le due tavole della Natività e della Madonna col Bambino, di Andrea Mantegna, di cui l'Adorazione dei pastori (oggi al MET di New York), e infine di Tiziano, di cui la Salomé con la testa del Battista,[20] che costituirà uno dei pezzi più pregiati dell'intera collezione, e Il Bacco e Arianna (oggi alla National Gallery di Londra).[21]

Tra i dipinti donati vi erano anche alcuni del Caravaggio, di cui il Riposo durante la fuga in Egitto, la Maddalena penitente e forse anche le Sante Marta e Maddalena, questa che risulta inventariata a Magnanapoli fino al 1797, per poi passare in altra collezione privata in un momento non ancora precisato;[22] tuttavia la mancanza di informazioni precise circa gli autori dell'inventario Aldobrandini e la similitudine con i titoli delle opere già in collezione Vittrice acquistate da Olimpia Maidalchini e Camillo Francesco nel 1650 non consentono di chiarire con certezza se queste tele Aldobrandini erano copie o originali, né si sa se le due opere oggi giunte alla Galleria Doria Pamphilj siano quelle effettivamente già Aldobrandini, ancorché la critica più recente afferma che si trattino di quadri provenienti dalla collezione Vittrice.[23]

Tra le principali opere trasferite vi era poi il gruppo di lunette (cosiddette Lunette Aldobrandini) con le Storie di Cristo, della cerchia di Annibale Carracci, di cui autografe sono il Paesaggio con la fuga in Egitto e il Paesaggio con la Sepoltura di Cristo, e le quattro assegnate a Francesco Albani, quindi il Paesaggio con l'Assunzione della Vergine, il Paesaggio con la Visitazione, il Paesaggio con l'adorazione dei Pastori e il Paesaggio con l'Adorazione dei Magi (oggi tutte alla Galleria Doria Pamphilj).[24]

Nel 1683 Giovan Battista acquisì, sempre in eredità dalla madre, anche la villa Aldobrandini di Frascati e quella sul Quirinale a Magnanapoli.

Settecento modifica

Il trasferimento delle antichità nella collezione Albani modifica

Due inventari del 1708 e del 1718 descrivono lo stato dell'arte per quanto concerne le opere antiche inserite nella Villa Pamphilia, testo che catalogava tramite incisioni i 22 ritratti e le circa 50 statue presenti nelle raccolte familiari, rinvenute per lo più negli scavi della villa di Belrespiro.[25]

Di questo nucleo di opere, arricchite intorno al 1682 e anche nei primi del Settecento, molte sono state trasferite nella collezione Albani, confluendo quindi successivamente nelle raccolte dei Musei Capitolini dal 1733, mentre altre finirono nelle collezioni germaniche o in quelle d'oltralpe.[25] Non si sa il motivo per cui avvenne questa alienazione, se per motivi economici o per motivi di cortesia verso il cardinal nipote del papa regnante.[25] Di fatto le opere trasferite dall'una all'altra raccolta erano: il bassorilievo con Perseo e Andromeda, un altro con la caccia calidonia (che però è moderno), il sarcofago col mito di Prometeo, la statua con Leda e il cigno, la testa di Nerva, il ritratto di Omero, quello di Lucio Vero e svariati altri busti.[25]

L'estinzione della famiglia Pamphilj modifica

 
Galleria degli Specchi, palazzo Pamphilj di via del Corso (Roma)

Girolamo Pamphili, IV principe di San Martino al Cimino e Valmontone, assieme al fratello maggiore Camillo Filippo, morti il primo nel 1760 e il secondo nel 1747, entrambi figli di Giovanni Battista e Violante Facchinetti, costituiscono l'ultima linea maschile Pamphilj.[2]

 
Palazzo Pamphilj di Valmontone

Camillo Filippo fu proattivo nell'acquisizione delle lastre dipinte da Giuseppe Maria Crespi con le Storie di Bertoldo e inoltre si occupò tra il 1725 e il 1735 di seguire i lavori di ammodernamento richiesti per il palazzo su via del Corso: furono infatti erette altre ali dell'edificio e furono realizzati diversi cicli di affreschi lungo le pareti e le volte del medesimo, su tutti il ciclo che decora la galleria degli Specchi con le Storie di Ercole di Aureliano Milani, databili al 1732.[2] Al 1734-1736 risalgono invece i motivi a grottesche (chinoiserie) lungo le pareti dei corridoi, opera di Ginesio Del Barba, mentre altre decorazioni floreali sui soffitti di svariate sale del palazzo furono opera del 1735 di Pompeo Aldobrandini.[2] Tra le opere pittoriche più notevoli invece, a Camillo Filippo si deve il reperimento nel 1743 (per donazione dal cardinale Pico della Mirandola) del Concerto di Lionello Spada (oggi alla Galleria Borghese).[2]

Girolamo, di contro, continuò l'accaparramento di opere paesaggistiche e ebbe il merito di riuscire a reperire la serie dei Sette Sacramenti di Nicolas Poussin (oggi sparsa in svariati musei del mondo) dalla collezione di Cassiano dal Pozzo, seppur per breve tempo (dal 1732 al 1743), in quanto il "bottino" fu poi riscattato dalla sua proprietaria (erede di Cassiano), Maria Laura dal Pozzo.[2]

Nel 1760 la famiglia Pamphilj si estinse con la morte di Girolamo Pamphili (Camillo Filippo morì già nel 1747); pertanto i titoli e le proprietà del casato furono inclusi (a seguito anche di una controversia in tribunale con le famiglie Borghese e Colonna che in qualche modo erano storicamente imparentate anch'esse con i Pamphilj) tra i possedimenti della famiglia di origine genovese Doria-Landi (a loro volta frutto dell'unione di altre due famiglie), i quali acquisirono i successi della famiglia romana grazie alle nozze intercorse già nel 1671 tra Anna Pamphilj (figlia di Camillo Francesco e Olimpia Aldobrandini, quindi sorella del principe Giovanni Battista e del cardinale Benedetto) e Giannandrea III Doria-Landi.[2]

La collezione sotto il casato Doria modifica

 
Lo stemma Doria-Landi-Pamphilj, di cui i simboli rispettivamente al centro, a destra e a sinistra

La fusione tra la famiglia romana e quella genovese si concretizza nel 1763 con il trasferimento nella capitale pontificia del figlio di Anna e Giannandrea III, Giannandrea IV, e soprattutto del figlio di quest'ultimo, Andrea Doria Landi Pamphili (che succederà al padre nel 1764 dopo l'improvvisa morte di questi). Con il loro arrivo al palazzo di via del Corso si inaugura una nuova fase decorativa dell'edificio, dove su tutti si segnala l'intervento del 1768 di Stefano Pozzi, che compi una serie di tre tele lungo le pareti della galleria degli Specchi, nelle quali rappresentò gli elementi naturali (Terra, Acqua e Fuoco).[26] Intorno al 1765-1770 la collezione d'arte fu quindi riorganizzata in ordine ad un progetto espositivo studiato dall'architetto Francesco Nicoletti, che rispondeva sia alla moda del momento, dove i quadri erano organizzati "ammassati" tra loro senza lasciare spazi vuoti, sia ad una esigenza estetica, che voleva che si riempissero le pareti il più possibile.[27][26]

Con la scomparsa del ramo originario Pamphilj la collezione subì diverse dismissioni che hanno interessato un cospicuo numero pezzi, pratica comunque già avviata alla morte di Camillo Filippo, di cui l'inventario del 1747 registra infatti solo 200 opere circa nella raccolta, delle quali un gran numero di queste erano provenienti dalla collezione Aldobrandini.[26]

Nel 1769 la villa Aldobrandini di Frascati e molte opere già in collezione, tra cui il Concerto di Lionello Spada (oggi alla Galleria Borghese di Roma), l'Adorazione dei pastori di Andrea Mantegna (oggi al MET di New York), il Festino degli dei di Giovanni Bellini e il Bacco e Arianna del Tiziano (queste due oggi alla National Gallery di Washington la prima, in quella di Londra la seconda), furono prelevate dalla famiglia Borghese (che intanto rivendicarono con successo i titoli Aldobrandini, in quanto anche loro avevano discendenza, tramite Giovanni Battista, da Olimpia, acquisendone i diritti).[21][28][26]

Ottocento e Novecento modifica

 
Palazzo Pamphilj di via del Corso (Roma), sede della Galleria Doria-Pamphilj

Nel corso dell'Ottocento furono eseguiti alcuni lavori nel palazzo Pamphilj del Corso: l'architetto Andrea Busiri Vici realizzò diversi camerini lungo l'asse del corridoio che affaccia su via del Corso, dove uno di questi fu dedicato ad ospitare il Ritratto di Innocenzo X di Velazquez.

Nel 1819 venne istituito l'ultimo fidecommesso dedicato alla collezione, ancora valido fino al XIX secolo, del cui vincolo risultavano interessati 584 dipinti. A ridosso degli anni '50 del XIX secolo la collezione si arricchì con la famiglia Doria di diverse opere del Quattrocento europeo che, ancora oggi, costituiscono alcuni dei maggiori capolavori della galleria, come il Compianto su Cristo morto di Hans Memling e l'Annunciazione di Filippo Lippi.[27][29] Dal 1850 la Galleria della ormai nuova famiglia proprietaria, Doria-Pamphilj fu aperta con una certa stabilità alla visita di forestieri, venendo citata dai maggiori scrittori e storici del tempo (Goethe, Stendhal).[29]

Nella prima metà del XX secolo vi furono altre vendite di pezzi della collezione, più o meno legittimate dai proprietari; in occasione dell'anno giubilare del 1950, infine, la collezione di Roma è stata aperta per la prima volta al pubblico per volontà del principe Filippo Andrea VI Doria Pamphilj, portando così alla nascita della Galleria Doria-Pamphilj.

Elenco parziale delle opere modifica

Archeologica modifica

 
Ulisse che fugge sotto una capra di polifemo

Scultura modifica

 
Alessandro Algardi, Busto di Olimpia Maidalchini

Pittura modifica

 
Caravaggio, Maddalena penitente
 
Caravaggio, San Giovanni Battista
 
Annibale Carracci, Domine, quo vadis?
 
Domenichino, Paesaggio con guado
 
Giovanni Lanfranco, Galatea e Polifemo
 
Lorenzo Lotto, Ritratto di gentiluomo trentasettenne
 
Parmigianino, Natività con angeli
 
Jusepe de Ribera, San Girolamo
 
Raffaello, Doppio ritratto (Beazzano e Navagero)
  Lo stesso argomento in dettaglio: Catalogo dei dipinti della Galleria Doria Pamphilj.

Albero genealogico degli eredi della collezione modifica

Segue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione Pamphilj, dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito, o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti alla collezione d'arte. Per semplicità, il cognome Pamphilj viene abbreviato a "P.".

 Camillo P.
 
   
 Papa Innocenzo X
(1574-1655)
(nato Giovanni Battista P.)
Pamphilio P.
(1564-1639)
(sposato con Olimpia Maidalchini)
...e altri 7 fratelli/sorelle
 
   
 Camillo Francesco P.
(1622-1666)
(cardinal-nipote, lasciò la porpora per sposarsi con Olimpia Aldobrandini; a lui si devono le immissioni nella collezione delle opere di Caravaggio)
Costanza P.
(sposata con Niccolò I Ludovisi)
Maria P.
(sposata con Andrea Giustiniani)
 
    
 Giovan Battista P.
(1648-1709)
(acquisì in dote gran parte della collezione della madre; sposato con Violante Facchinetti, acquisì in dote anche la sua collezione d'arte)
Benedetto P.
(1653-1730)
 Anna P.
(1652-1728)
(sposata con Giannandrea III Doria-Landi, da cui si darà avvio alla dinastia Doria-Landi-Pamphilj)
... e altre due sorelle
  
     
Girolamo P.
(1678-1760)
(ultimo esponente del casato, alla sua morte si avviò una lite giudiziaria tra i possibili eredi della famiglia Borghese, Colonna e Doria, vinti da quest'ultimi)
Camillo Filippo P.
(1675-1747)
Olimpia P.
(1672-1731)
(andò in nozze con Filippo II Colonna)
Innocenzo P.
(1673-1695)
Giovanni Andrea IV Doria Landi P.
(...-1764)
(alla morte di Girolamo P. avviò una lite giudiziaria con le famiglie Borghese e Colonna per ottenere il riconoscimento dei beni e dei titoli P.)
 
   
 Andrea IV Doria Landi P.
(1747-1820)
(alla morte di Girolamo P. ereditò la collezione P. con anche i palazzi di proprietà; in forza di un Decreto Pontificio che obbligava i titolari di ingenti patrimoni immobiliari di risiedere entro il territorio dello Stato fu il primo della nuova casata a trasferirsi stabilmente a Roma)
Antonio Maria Doria P.
(1749-1821)
(cardinale)
Giuseppe Maria Doria P.
(1751-1816)
(cardinale)
 
 
 La collezione P., passata di eredi in eredi nel corso del tempo, è tutt'oggi proprietà privata della famiglia Doria Landi P.

Note modifica

  1. ^ De Marchi, p. 9.
  2. ^ a b c d e f g h i j k De Marchi, pp. 15-16.
  3. ^ a b De Marchi, p. 9.
  4. ^ Villa Doria Pamphilj | Sovrintendenza, su sovraintendenzaroma.it. URL consultato il 27 settembre 2021.
  5. ^ Ambasciata del Brasile a Roma (XML), su roma.itamaraty.gov.br. URL consultato il 27 settembre 2021.
  6. ^ De Marchi, p. 21.
  7. ^ a b BIOGRAFIE ROMA, su Doria Pamphilj - da 500 anni contemporanei all'arte. URL consultato il 29 novembre 2021.
  8. ^ Fontana dei Quattro Fiumi in piazza Navona | Sovrintendenza, su sovraintendenzaroma.it. URL consultato il 29 novembre 2021.
  9. ^ a b De Marchi, p. 10.
  10. ^ a b c d e f g h De Marchi, pp. 14-15.
  11. ^ a b c d De Marchi, p. 384.
  12. ^ De Marchi, pp. 218-219.
  13. ^ a b Barbara Fabjan e Monica Di Gregorio, Palazzo Doria Pamphilj a Valmontone, 2004,
  14. ^ a b G. Pontecorvo, Il Pittore ed il Principe (narrazione attorno alla lite per mercede) con 97 illustrazioni, 2006, Carabba edit
  15. ^ a b c d e f g h De Marchi, pp. 12-14.
  16. ^ De Marchi, p. 220.
  17. ^ De Marchi, pp. 97-98.
  18. ^ Il dubbio sussiste perche le opere citate in entrambi i due inventari hanno medesimo titolo. Ad ogni modo, le fonti più aggiornate sulla Galleria museale riconducono la provenienza a quella Vittrice.
  19. ^ De Marchi, p. 82.
  20. ^ TIZIANO VECELLIO, su Doria Pamphilj - da 500 anni contemporanei all'arte. URL consultato il 18 settembre 2021.
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Bibliografia modifica

Voci correlate modifica