Complesso di Santa Caterina

complesso museale di Treviso

Il complesso di Santa Caterina, formato dall'ex complesso conventuale dei Servi di Maria e dall'annessa ex chiesa dedicata a santa Caterina d'Alessandria, è una delle tre sedi dei Musei civici di Treviso.

Complesso di Santa Caterina
Ubicazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàTreviso
IndirizzoPiazzetta Mario Botter 1, 31100 Treviso
Coordinate45°40′01.3″N 12°15′01.97″E / 45.667028°N 12.250547°E45.667028; 12.250547
Caratteristiche
Istituzione2003
FondatoriEugenio Manzato, Emilio Lippi
Apertura2003
DirettoreEmilio Lippi
Visitatori6 000 (2022)
Sito web

Storia modifica

Il convento di Santa Caterina sorse sulle rovine del palazzo dei Da Camino, signori di Treviso dal 1283 al 1312.

Nel 1346 il Comune concesse l'area del palazzo ai Serviti, perché vi costruissero il convento e la chiesa dedicata a santa Caterina.

La chiesa fu realizzata in due fasi successive: dal 1346 al 1348 fu costruita la zona absidale e parte del corpo longitudinale; tra la fine del XIV secolo e l'inizio del XV furono completati i lavori. Per l'iniziativa di committenti privati furono aggiunte al corpo della chiesa diverse cappelle gentilizie, delle quali oggi rimane soltanto quella intitolata agli Innocenti martiri, realizzata dove un tempo si ergeva la torre dei Da Camino.

Dopo la soppressione del convento nel 1772 gli edifici, divenuti proprietà demaniale, furono aggiudicati all'asta alle terziarie regolari francescane di Belfiore. Nel 1806 chiesa e convento, per effetto delle leggi napoleoniche, furono di nuovo demanializzati e destinati ad usi militari.

A partire dal secondo dopoguerra si avviarono significativi interventi di restauro e recupero del complesso, che oggi è una delle sedi principali dei Musei civici di Treviso. A favorire la decisione di recuperare l'intero complesso a funzioni culturali fu l'intervento del restauratore Mario Botter il quale, a seguito dei gravi danni subiti durante i bombardamenti del 7 aprile 1944 e del 10 marzo 1945, riportò alla luce il tesoro pittorico nascosto da secoli sotto gli anonimi intonaci che imbiancavano le pareti della chiesa di Santa Caterina.

Negli anni settanta, visto il successo di una grande mostra su Arturo Martini allestita da Carlo Scarpa nel complesso conventuale (1967),[1] l'amministrazione comunale decise di stipulare una convenzione con lo Stato per trasformare in museo tutto il complesso, affidando il progetto, nel 1974, allo stesso architetto.

Accantonato però il progetto dell'architetto veneziano, e perduti anche parte degli interventi che erano già stati portati a compimento (in particolare la fontana nel chiostro grande), dopo lunghi ed impegnativi lavori di restauro, il complesso divenne finalmente sede dei Musei Civici trevigiani.[2] In corrispondenza della superficie del chiostro grande venne ricavato un ampio ambiente ipogeo, destinato dal 2006 alle esposizioni temporanee.

A novembre 2011 fu completato il restauro di un vicino edificio in via Commenda, adibito a deposito della pinacoteca del museo di Santa Caterina.[3]

Negli anni 2015-2018 il complesso museale è stato oggetto di un ulteriore intervento di restauro e adattamento: la sala ipogea realizzata sotto al chiostro grande e l'ala est dell'edificio conventuale sono stati adattati per ospitare esposizioni temporanee, mentre la pinacoteca è stata riallestita al primo piano dell'ala meridionale (la "manica lunga"), che al piano terra accoglie invece la collezione archeologica.

Sezioni espositive modifica

 
Facciata in piazzetta Mario Botter
 
Percorso espositivo della pinacoteca
 
Facciata della chiesa e della cappella degli Innocenti
 
Planimetria della chiesa, con la cappella degli Innocenti

Ex-complesso conventuale di Santa Maria modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Convento di Santa Maria (Treviso).

Gli spazi dell'ex convento dei Servi di Maria, articolati attorno a due chiostri, ricalcano fedelmente l'impianto di un precedente edilizio trecentesco, ma ricevettero l'impronta architettonica attuale verso la metà del Cinquecento.

Sezione archeologica modifica

Il percorso di visita, curato dell'architetto Dinah Casson ed inaugurato il 29 giugno 2007, si snoda tra il piano terra ed il piano interrato dell'ex convento[4].

Al piano interrato sono esposte le collezioni di età preistorica e protostorica: di particolare interesse le spade di bronzo di tipo Sauerbrunn, Boiu e ad antenne, di produzione etrusca o imitate localmente, rinvenute lungo il corso del Sile e del Piave; gli importanti manufatti figurati in lamina di bronzo sbalzata e rifinita a bulino dalla necropoli paleoveneta di Montebelluna, in particolare la cista con scena di aratura, e i cinque dischi votivi rappresentanti una dea clavigera.

Al piano terra sono esposti i reperti rinvenuti nel corso degli scavi effettuati nel centro storico di Treviso dalla seconda metà del Novecento ai giorni nostri, e che abbracciano un arco cronologico compreso tra l'Età del bronzo recente e l'epoca romana.

Il percorso di visita è completato, nel corridoio adiacente al chiostro grande, dalle collezioni antiquarie del fondatore dei Musei civici, l'abate Luigi Bailo, costituite da bronzetti e parti di monumenti lapidei di età greca e romana, in precedenza conservate al Museo Bailo, ora museo di arte moderna e contemporanea.

Galleria d'arte medievale, rinascimentale e moderna modifica

Negli ambienti al primo piano dell'antico convento è visibile una parte delle collezioni di arte medievale e rinascimentale, prevalentemente di artisti veneti.[5]

Resta ancora da esporre gran parte della raccolta delle opere del Seicento e Settecento.

Ex-chiesa di Santa Caterina modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di Santa Caterina (Treviso).

L'edificio in stile gotico, eretto tra il 1346 e la fine del XV secolo, ad un'unica navata ad aula unica con tre cappelle terminali e copertura a capriate lignee, conserva numerosi affreschi eseguiti tra la seconda metà del XIV e i primi decenni del XV secolo.

Tra gli affreschi trecenteschi si ricordano l'immagine di Santa Caterina con il dello della città di Treviso, un riquadro frammentario con una Madonna col Bambino, con a lato san Giovanni Battista, attribuita a Gentile da Fabriano o ad uno dei suoi allievi, forse Pisanello.

Tra gli affreschi emergono anche una Madonna dell'Umiltà, la scena in cui Sant'Eligio scaccia il diavolo travestito da donzella e i particolari di un'Annunciazione.

Sono oggi qui esposte le Storie di sant'Orsola di Tomaso da Modena (1355-1358), recuperate dell'abate Bailo dalla chiesa di Santa Margherita degli Eremitani. L'edificio, eretto dai frati agostiniani tra il 1282 e i primi anni del Trecento e sconsacrato durante le soppressioni napoleoniche, fu parzialmente demolito e nell'altra parte adibito a stalla e maneggio militare. Nel 1883, durante questi lavori di abbattimento, Luigi Bailo riuscì a salvare quasi interamente il ciclo di affreschi, attuando la tecnica dello stacco con spadoni di metallo. Le singole scene staccate furono trasferite su telai lignei e ricoverate nel nascente museo cittadino. Di particolare interesse sono gli appunti circa l'opera di stacco degli oltre 120 m² di superficie pittorica, scritti a pennello dall'abate stesso sul retro dei grandi pannelli. I dodici pannelli, per molti anni ricoperti da velinature protettive, sono stati restaurati nel 2008-2009 da Antonio Bigolin e collocati al centro dell'aula.

Le Storie di sant'Orsola costituiscono uno dei capolavori di Tomaso, realizzato durante il suo soggiorno trevigiano dopo la grande peste. Il pittore si affida alla lettura diretta della leggenda della santa secondo la versione fornita da Jacopo da Varazze nella sua Legenda aurea. Secondo queste narrazioni, forse fondate su qualche traccia di realtà storiche ma arricchite e deformate da moltissimi particolari irrealistici e sicuramente inventati, Orsola fu martirizzata dagli Unni all'inizio del V secolo d.C.. Nei riquadri, Tomaso narra la vicenda di questa principessa, figlia di un re cristiano di Bretagna, chiesta in sposa dal figlio di un re pagano d'Inghilterra e barbaramente uccisa dagli Unni nei pressi di Colonia. La narrazione si svolge come una "cronaca vera", in cui i personaggi sono vestiti convenzionalmente secondo la moda del basso Medioevo e riflettono il mondo cortese contemporaneo.

A sud della chiesa di Santa Caterina, verso la facciata, sorge la Cappella degli Innocenti, edificata nei primi anni del XV secolo per volontà del giurista Alberto della Motta da Conegliano, che qui è sepolto. L'edificio a pianta quadrangolare è diviso in due campate coperte da volte a crociera, e conserva uno dei più importanti cicli pittorici tardogotici, datato intorno al 1430. Sulle pareti sono dipinte le Storie della Vergine e dell'infanzia di Gesù Cristo e una Crocifissione; sulle volte, invece, si vedono i simboli degli evangelisti e le immagini dei Dottori della Chiesa.

Note modifica

  1. ^ Archivio Carlo Scarpa - Biografia Archiviato il 29 marzo 2013 in Internet Archive.
  2. ^ museicivicitreviso.it
  3. ^ tribunatreviso.it, su tribunatreviso.gelocal.it. URL consultato il 28 giugno 2012 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2014).
  4. ^ Per approfondire cfr. la descrizione sul sito museicivicitreviso.it
  5. ^ Per approfondire cfr. la descrizione sul sito museicivicitreviso.it

Bibliografia modifica

  • Giovanni Netto, Guida di Treviso, Trieste, LINT, 1988.
  • Il ritorno di Orsola: affreschi restaurati nella chiesa di Santa Caterina, Dosson di Casier, [1993].
  • Il museo di Santa Caterina: progetti e proposte, Dosson di Casier, 1998.
  • Emilio Lippi e Maria Elisabetta Gerhardinger (a cura di), Orsola svelata: il restauro del ciclo di affreschi di Tomaso da Modena nel Museo di Santa Caterina, Comune di Treviso, 2009. URL consultato il 31 agosto 2018. (Relazione del restauro degli affreschi, con ampio apparato iconografico).

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