Concilio di Roma (680)

sinodo cristiano del 680
Concilio di Roma del 680
Concilio delle Chiese cristiane
Data 27 marzo 680
Accettato da cattolici e ortodossi
Concilio precedente
Concilio successivo
Convocato da Papa Agatone
Presieduto da Papa Agatone
Partecipanti 125 vescovi
Argomenti eresia monotelita
Documenti e pronunciamenti

Il concilio di Roma fu tenuto il 27 marzo 680 nel monastero di San Martino, presso San Pietro,[1] sotto la presidenza di papa Agatone.

Il contesto storico modifica

Il concilio romano del 680 fu occasionato dal prolungarsi della crisi monotelita, che ancora nella seconda metà del VII secolo divideva la cristianità. Già nel concilio lateranense del 649, papa Martino I e i 105 padri sinodali si espressero a favore di una netta condanna dell'eresia monotelita. Il papa pagò con la prigione e l'esilio la sua presa di posizione, in opposizione a quella ufficiale adottata dall'imperatore bizantino Costante II.

La situazione mutò con l'avvento al trono di Costantino IV Pogonato nel 668. Questi, desideroso di ristabilire la pace religiosa nell'impero, inviò a papa Dono, nell'agosto 678, una lettera con la quale sollecitava l'invio a Costantinopoli di una delegazione di vescovi, prelati e monaci occidentali per discutere della questione monotelica ed arrivare a sanare la frattura interna alla Chiesa cristiana. La lettera giunse a Roma quando Dono era già morto e gli era succeduto papa Agatone. Il nuovo pontefice non rispose subito all'invito di Costantino IV, nell'intento di raccogliere il maggior consenso possibile fra le Chiese dell'Occidente nella lotta contro l'eresia monotelica.

In questo contesto, papa Agatone convocò a Roma una grande assemblea di vescovi occidentali, per lo più della penisola italiana e della Sicilia, ma con rappresentanti delle Chiese della Gallia e della Britannia. Un altro concilio fu celebrato a Hatfield, nel Sussex, su invito del papa,[2] allo scopo di raccogliere il consenso della Chiesa inglese sulla condanna del monotelismo.

Il concilio modifica

Secondo la Vita Wilfridi I episcopi Eboracensis di Stefano di Ripon,[3] il concilio romano si celebrò il 27 marzo 680. Gli atti del concilio sono andati perduti; tuttavia si conservano due importanti documenti, che furono portati a Costantinopoli dai legati papali e vennero annessi agli atti del concilio ecumenico del 680/681.

Il primo documento è la lettera personale che il papa scrisse all'imperatore[4], nella quale Agatone, attraverso un lungo discorso teologico, con fondamenti tratti dalle Sacre Scritture, dai Padri della Chiesa e dalla tradizione apostolica, esprime la fede della Chiesa di Roma nella duplice volontà e nella duplice operatività in Cristo, rispettivamente contro il monotelismo e il monoenergismo affermato dagli eretici. Secondo Karl Josef von Hefele[5], sono tre i punti di questa lettera degni di attenzione:

  • la sicurezza e la chiarezza con le quali Agatone espone la dottrina duofisita;
  • la fermezza con la quale il pontefice ricorda e proclama l'infallibilità della Chiesa romana;[6]
  • l'insistenza nel ripetere che tutti i suoi predecessori hanno sempre sostenuto la retta dottrina.

Il secondo documento è la lettera sinodale firmata dal papa e da tutti i 125 vescovi presenti al concilio.[7] In questo testo i padri conciliari esprimono la fede cattolica attraverso un simbolo che ripete in sintesi la dottrina delle due volontà e delle due operatività in Cristo già ricordata da papa Agatone e già affermata dalle Chiese d'Occidente nel concilio tenuto a Roma nel 649 sotto papa Martino I.

Questi due testi furono portati a Costantinopoli da una delegazione composta da tre gruppi eterogenei.[8] Come delegati della Chiesa romana, c'erano i preti Teodoro e Giorgio, il diacono Giovanni (futuro papa Giovanni V) e il suddiacono Costantino (futuro papa Costantino). In qualità di delegati delle Chiese d'Occidente, c'erano i vescovi Giovanni di Reggio in Calabria, Abbondanzio di Tempsa, e Giovanni di Porto. Il terzo gruppo era costituito dai rappresentanti dei monasteri greci di Roma, richiesti dall'imperatore nella lettera del 678.

L'inserimento della lettera sinodale tra gli atti del terzo concilio di Costantinopoli, iniziato il 7 novembre 680, ha provocato un equivoco, in quanto ha indotto in passato molti storici ad inserire i firmatari della lettera sinodale fra i partecipanti del concilio ecumenico. In realtà a questo concilio furono presenti solo tre vescovi occidentali, ossia i tre delegati inviati nella capitale imperiale da papa Agatone.[9]

I partecipanti modifica

Oltre a papa Agatone, al concilio presero parte 125 vescovi, provenienti quasi tutti dall'Italia e con rappresentanti delle Chiese della Gallia e della Britannia. Il seguente elenco è quello riportato da Mansi nella sua Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio[10], che riproduce nell'ordine le firme dei segnatari della lettera sinodale:

Note modifica

  1. ^ Datazione e luogo di celebrazione del concilio nella voce Agatone, santo della Enciclopedia dei Papi.
  2. ^ Durante il concilio lateranense del 679.
  3. ^ Vita Wilfridi, edizione di Wilhelm Levison, nº 53, p. 248.
  4. ^ Mansi, Sacrorum conciliorum..., coll. 234-286.
  5. ^ Hefele, Histoire des Conciles, III/1, p. 481.
  6. ^ Vedi Dictionnaire de Théologie catholique, I, coll. 560-561.
  7. ^ Mansi, Sacrorum conciliorum..., coll. 286-315.
  8. ^ Dalla voce Agatone, santo della Enciclopedia dei Papi.
  9. ^ Hefele, Histoire des Conciles, III/1, p. 478.
  10. ^ Vol. XI, coll. 298-315.
  11. ^ Nell'edizione critica di Rudolf Riedinger Clarenzio è indicato come episcopus sanctae ecclesiae Balbisis (p. 147, nº 39).
  12. ^ Oreste è il nome riportato da Mansi. L'edizione critica (Concilium universale Constantinopolitanum Tertium. Pars prima - Concilii actiones I-XI, p. 147, nº 40, riga 9) riporta la seguente espressione: «Crescis exiguus episcopus sanctae ecclesiae Vibonensis...»
  13. ^ Così Mansi. Gli editori dell'edizione critica degli atti del terzo concilio di Costantinopoli, omettono questo vescovo, benché documentato da alcuni manoscritti e in alcune varianti. Concilium universale Constantinopolitanum Tertium. Pars prima - Concilii actiones I-XI, p. 147, righe 17-22, e nota.
  14. ^ L'edizione di Mansi (coll. 309-310) omette, nel testo latino, forse per refuso tipografico, il nome della sede di appartenenza di Custodito; nel testo in greco è riportato il termine Balentinocasrou. Nell'edizione critica degli atti del terzo concilio di Costantinopoli, è riportata la dizione latina di ecclesiae Castrovalentanae (Concilium universale Constantinopolitanum Tertium. Pars prima - Concilii actiones I-XI, p.153, nº 81, riga 17). Ughelli attribuisce questo vescovo alla diocesi di Castro nel Lazio (Italia sacra, vol. I, seconda edizione, col. 579).
  15. ^ Così nell'edizione critica degli Atti del concilio di Rudolf Riedinger (p. 153, riga 21). Già Duchesne (Le sedi episcopali nell'antico ducato di Roma, in Archivio della romana società di storia patria, Volume XV, Roma 1892, p. 497) assegnava il vescovo Vitaliano alla diocesi della Tuscia viterbese. Mansi invece, e molti degli autori che da lui dipendono, riporta la lezione sanctae ecclesiae Tusculanensis, ossia la sede suburbicaria di Frascati.
  16. ^ Ceneda, ossia Vittorio Veneto, è la sede a cui tradizionalmente si attribuisce il vescovo Ursino (Mansi). Nell'edizione critica degli atti del terzo concilio di Costantinopoli, è riportata invece la dizione ecclesiae Censesis provinciae Istriae, ossia la diocesi di Cissa (Concilium universale Constantinopolitanum Tertium. Pars prima - Concilii actiones I-XI, p.155, nº 91, riga 13).
  17. ^ Nell'edizione di Mansi è riportata la dicitura: ecclesiae Vejentanae. Nell'edizione critica degli atti del terzo concilio di Costantinopoli, è riportata invece la dizione latina di ecclesiae Celeianae (Concilium universale Constantinopolitanum Tertium. Pars prima - Concilii actiones I-XI, p.155, nº 92, riga 15).
  18. ^ Bennato sottoscrisse gli atti come episcopus opiterginus, ossia vescovo di Oderzo. Tuttavia questa città era stata saccheggiata nel 636 e poi distrutta nel 669 dai Longobardi; i vescovi avevano trasferito la loro sede a Eraclea, nella laguna, sotto la protezione dei bizantini, continuando per un certo periodo a portare il titolo di "vescovi di Oderzo".

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica