La crociata del 1197, nota anche come crociata di Enrico VI o crociata tedesca (in tedesco Deutscher Kreuzzug) fu una spedizione organizzata dall'imperatore Enrico VI contro il Sultanato ayyubide e che perseguiva lo scopo di riconquistare Gerusalemme. La crociata era stata proclamata per rimediare al fallimento del padre di Enrico, l'imperatore Federico Barbarossa, il quale morì nel 1190 mentre era in marcia con il suo esercito per partecipare alla terza crociata.

Crociata del 1197
parte delle crociate
Il Vicino Oriente intorno al 1197
Data1197 - 1198
LuogoLevante (in particolare Siria e Libano)
Casus bellicrociata per riconquistare Gerusalemme
Esitoparziale vittoria crociata
Modifiche territorialiannessione di Beirut e di una piccola porzione della costa libanese al regno di Gerusalemme
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
60 000 (secondo stime coeve)[1]
tra 15 000 (compresi coloro partiti con Enrico VI o dalla Germania settentrionale)[2][3] e 17 500 secondo stime moderne[1]
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Anche Enrico VI perì ancor prima di arrivare in Terra santa, mentre i tedeschi che raggiunsero la destinazione si distinsero presto per il loro atteggiamento bellicoso e la loro sete di conquista. Ciò suscitò il disappunto del re di Gerusalemme Enrico II di Champagne, che era consapevole dei fragili equilibri politici nella regione e desiderava preservarli. Enrico venne poi succeduto da Amalrico II di Lusignano quando morì nel settembre del 1197, mese in cui le operazioni militari erano ancora in corso. Malgrado fossero riusciti a ritornare in controllo di Beirut e di alcuni insediamenti costieri del Libano, i combattenti cristiani si impantanarono nell'assedio della fortezza di Toron. Nei primi mesi del 1198, i tedeschi raggiunsero Tiro e ritornarono in patria dopo aver appreso la notizia della morte di Enrico VI. Con i musulmani fu dunque siglata una tregua che riproponeva i contenuti della pace di Ramla del 1192 stipulata tra Saladino e Riccardo I d'Inghilterra, ma si prevedeva che la sua validità avrebbe avuto effetto soltanto nel caso in cui non fosse giunto un nuovo sovrano di uno Stato europeo in Terra Santa.

Oltre alle piccole conquiste summenzionate, una delle conseguenze della crociata del 1197 fu la costituzione dell'Ordine teutonico, un ordine religioso cavalleresco la cui influenza crebbe moltissimo nei decenni successivi e le cui maggiori fortune si concretizzarono quando i suoi membri si concentrarono sugli sviluppi delle crociate del nord.

Antefatti modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Terza crociata.
 
Il Vicino Oriente nel 1190 alla vigilia dell'arrivo di Riccardo I d'Inghilterra

Il 2 ottobre 1187 il sultano ayyubide Saladino prevalse nell'assedio di Gerusalemme e conquistò così la città e poi gran parte degli Stati crociati.[4][5] Nel tentativo di salvare gli ultimi possedimenti cristiani in Terra Santa, papa Gregorio VIII sollecitò la partecipazione a una terza crociata, a cui aderirono il re Filippo II di Francia, il re Enrico II d'Inghilterra (cui subentrò poco dopo suo figlio Riccardo I d'Inghilterra) e l'imperatore Federico I del Sacro Romano Impero nel 1189.[6][7] Federico partì alla testa di un enorme esercito, sconfisse un contingente selgiuchide vicino a Philomelion e conquistò Iconio, ma poi affogò nel fiume Calicadno, vicino a Silifke, in Cilicia.[8]

Alla sua morte, l'esercito crociato tedesco, che ammontava ad un totale di poco meno di 20 000 tra cavalieri e fanti e forse 6 000 o 7 000 civili, si disperse.[9] Soltanto un contingente molto più piccolo guidato da uno dei figli del Barbarossa, Federico VI di Svevia, continuò a combattere in Terra Santa, dove si unì all'assedio di Acri e alle forze di Guido di Lusignano.[10] La crociata alla fine si concluse con la pace di Ramla del 1192, firmata dal sultano Saladino e dal re Riccardo I d'Inghilterra, che contrattò un armistizio di vari anni (forse tre anni e otto mesi) ai sensi del quale i musulmani mantenevano il controllo su Gerusalemme, mentre i crociati conservavano Acri, Giaffa e altre città chiave.[10]

Enrico VI, eletto re dei romani nel 1169, succedette a suo padre Federico e fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero da papa Celestino III nel 1191. Nella sua lotta con i grandi feudatari tedeschi per imporre la sua successione, la situazione cambiò in suo favore quando re Riccardo d'Inghilterra fu catturato in Austria e rilasciato solo dopo un giuramento di fedeltà e aver pagato un enorme riscatto.[11] Nel 1194, Enrico poté far valere le pretese ereditarie di sua moglie Costanza conquistando il regno di Sicilia e sperava di assicurare il suo impero al suo figlio in età infantile, Federico.[12] Proclamando una nuova crociata per riconquistare Gerusalemme, Enrico mirava a un accordo con papa Celestino III finalizzato a riconoscere il suo dominio sulla Sicilia.[13] Compiendo la spedizione, l'imperatore coltivava il sogno di accrescere il prestigio internazionale del suo impero.[14][15]

Riguardo allo schieramento musulmano, quando Saladino morì nel 1193 presto scoppiarono delle lotte intestine che coinvolsero i suoi ben diciassette figli. Alcuni tra questi costituirono dei principati più o meno indipendenti dall'autorità centrale (il caso più eclatante riguardò l'Egitto).[16] Sia nel 1194 sia nel 1195 al-Aziz, secondogenito di Saladino, cercò di togliere Damasco a suo fratello al-Afdal.[16] In ambedue i casi fu Safedino, fratello del defunto Saladino, a dover agire da intermediario in qualità di membro anziano della famiglia.[16] Tuttavia, nel 1196 escluse al-Afdal e si insediò a Damasco come luogotenente di al-Aziz.[16] Tra il 1196 e il 1198, furono vari i comandanti che si presentarono alle porte della moderna capitale siriana con la pretesa di subentrare al trono che prima era stato di Saladino.[17]

I preparativi modifica

 
Enrico VI di Svevia e papa Celestino III nel Liber ad honorem Augusti di Pietro d'Eboli, 1196

Enrico VI era consapevole della necessità di dover attraversare il territorio dell'impero bizantino, il cui sovrano dell'epoca Isacco II Angelo si era avvicinato diplomaticamente all'Europa occidentale.[12] Il papato era favorevole a questa scelta dei bizantini, poiché sperava così di limitare la crescente influenza imperiale.[12] Enrico decise di approfittare della debolezza dell'impero bizantino, colpito dalle ribellioni in Serbia e Bulgaria e dalle incursioni dei Selgiuchidi. L'imperatore Isacco II Angelo aveva altresì stretto saldi legami con l'usurpatore siciliano Tancredi di Lecce, che fu rovesciato nell'aprile del 1195 da suo fratello Alessio III Angelo.[18] Enrico colse l'occasione per estorcere un tributo ai bizantini e fece inviare una lettera all'imperatore bizantino per finanziare la crociata che stava pianificando.[18] Impaurito dalle minacce, Alessio si sottomise immediatamente alle richieste imperiali e impose tasse elevate ai suoi sudditi per pagare ai crociati l'elevatissima cifra di 5 000 libbre all'anno d'oro, poi ridotte a 1 000 soltanto a seguito di alcune negoziazioni.[19] Enrico aveva inoltre forgiato delle alleanze con il re Amalrico di Cipro e con il principe Leone di Cilicia.[20] A Gelnhausen aveva infatti accolto la proposta avanzata da Cipro di diventare un regno vassallo dell'impero.[3]

Durante la Settimana Santa del 1195, Enrico annunciò trionfalmente la crociata e in molti aderirono al suo appello a partecipare tra principi e grandi prelati.[3][21] Il duca Enrico I di Brabante e il cugino dell'imperatore Ermanno I, langravio di Turingia, manifestarono il proprio sostegno assieme a vari nobili che avevano partecipato alla dieta di Würzburg nel marzo del 1196.[nota 1][3][21] L'arcivescovo Corrado di Magonza, arcicancelliere di Germania, si pose a capo di una serie di crociati provenienti dalla Renania e dalla Franconia e si diresse in Puglia, da cui partì per Acri all'aprile del 1197.[21] I tedeschi del Nord, invece, erano partiti a bordo di proprie imbarcazioni formando una flotta di 44 cocche; a comandarli risultavano l'arcivescovo Arduico II di Brema, Enrico V del Reno e il duca del Brabante Enrico.[21] Durante il percorso si fermarono e attaccarono la città musulmana di Silves, in Portogallo, raggiungendo più tardi il porto di Messina.[2] Il contingente principale proveniente dalla Germania, a cui si erano uniti Federico d'Austria, Ludovico di Baviera, Adolfo III di Schaumburg, Volchero di Passau e Corrado di Ratisbona, raggiunsero Bari il 1º maggio e infine Messina, luogo in cui dovevano incontrare Enrico VI.[2]

L'imperatore aveva voluto che partecipassero alla spedizione esclusivamente i combattenti.[2] Si è calcolato che gli effettivi ammontassero a 4 000 cavalieri e almeno altri 12 000 uomini, mentre Enrico VI armava a proprie spese 1 500 cavalieri con altrettanti scudieri e sognava di coinvolgere anche 3 000 mercenari.[2][3] Ciò richiese l'impiego di circa 250 navi per il trasporto.[2] Secondo Arnoldo di Lubecca, autore dell'Arnoldi Chronica Slavorum, un potente esercito di 60 000 uomini si era preparato alla partenza.[1] Lo storico moderno Christopher Tyerman ha ritenuto che in realtà il loro numero esatto fosse un quarto o addirittura un quinto inferiore rispetto alla cifra fornita da Arnoldo, ma comunque si trattava di un esercito consistente.[1]

Nel marzo del 1197 Enrico si era recato nel regno di Sicilia, dove era stato costretto a far fronte all'irrequietezza dei suoi sudditi locali.[3] Mentre i crociati si imbarcarono alla volta di Acri, l'imperatore dovette infatti prima reprimere una rivolta armata a Catania. Una forza di 3 000 truppe sassoni e in 44 navi sotto il conte palatino del Reno Enrico V e l'arcivescovo Arduico di Brema salparono dalla Germania settentrionale e arrivarono a Messina nel mese di agosto, dove si unirono alle truppe dell'imperatore e salparono nel Mediterraneo orientale.[3] Sempre in Sicilia, in cerca di selvaggina nei pressi di Fiumedinisi ad agosto, l'imperatore Enrico si ammalò di brividi, probabilmente di malaria. Salpata il primo settembre, l'armata giunse in Siria all'inizio dell'autunno,[2] ma non Enrico, che morì il 28 settembre e che probabilmente aveva già da un po' abbandonato il sogno di guidare la spedizione in prima persona.[3] La notizia arrivò comunque diverso tempo dopo nell'Outremer.[22]

La crociata modifica

 
Federico I d'Austria, uno dei partecipanti della crociata del 1197, salpa per la Terra santa. Babenberger-Stammbaum, Abbazia di Klosterneuburg, 1490 circa

Il 22 settembre 1197 un folto esercito tedesco sotto il comando dell'arcicancelliere Corrado di Magonza e il maresciallo Enrico di Kalden sbarcò ad Acri. Quando l'esercito imperiale raggiunse il porto, il re di Gerusalemme Enrico II di Champagne «non li accolse con gioia», perché sapeva che il loro arrivo avrebbe sconvolto i fragili equilibri che resistevano nella regione.[23][24] La politica accorta di Enrico era stata caldamente suggerita da quelli che erano i suoi principali consiglieri, i discendenti della nobile casata degli Ibelin, i quali gli avevano suggerito di tessere dei legami diplomatici con i musulmani.[23] Anche la controparte si era dimostrata favorevole nel preservare la pace, malgrado le incursioni compiute da Usama, emiro di Beirut, che aveva reso la città un nido di predoni.[23][25] Quest'ultimo agiva nei fatti in maniera indipendente dalla città che, assieme a Sidone, separava il regno di Gerusalemme dalla contea di Tripoli.[23] Evitando il ricorso alle armi, la strategia diplomatica aveva portato i suoi frutti quando Stefania di Milly era riuscita a rientrare in possesso della città di Gibelletto «corrompendo l'emiro incaricato di custodirla».[23][25] Gibelletto e la sua ricostituita signoria passarono poi al figlio di Stefania, Guido I Embriaco.[23][25]

Non era però questo lo spirito animante i crociati stranieri, i quali presto si rivelarono bellicosi e attaccarono i musulmani in Galilea senza nemmeno consultare Enrico di Champagne.[2][23] Pare addirittura che, temendo disordini, il nobile Ugo di Tiberiade avesse inviato le donne e i bambini suoi sudditi presso le fortezze presidiate dai Templari e dai Cavalieri Ospitalieri, suggerendo ai tedeschi di accamparsi all'esterno delle città.[2] La notizia degli attacchi aveva frattanto suscitato l'ira dei saraceni, in particolare di Safedino, signore delle regioni colpite.[23] Adducendo come motivo la necessità di fronteggiare il pericoloso nemico, Safedino «intimò ai parenti di dimenticare le proprie dispute e di unirsi a lui».[23] I tedeschi stavano nuovamente attraversando i confini nemici, su iniziativa di Valerano III di Limburgo, quando seppero che Safedino stava organizzando un'offensiva con l'ausilio di rinforzi siriani e mesopotamici.[2] Radunatisi ad ʿAyn Jālūt, nei pressi di Nazareth, i musulmani sembravano pronti a colpire Acri, ma furono dissuasi dalle forze che in tutta fretta riuscirono a radunare Ugo di Tiberiade ed Enrico di Champagne.[2] Ciononostante Safedino non voleva vanificare gli sforzi compiuti per radunare il suo esercito, motivo per cui eseguì un efficace assalto che gli permise di impossessarsi di Giaffa.[26] La città cadde in maniera celere all'inizio del settembre del 1197, tanto da spingere Enrico a ritenere negligente il comportamento adottato da colui che era stato incaricato di difendere Giaffa, Rinaldo Barlais.[2]

Il 10 settembre Enrico di Champagne radunò le truppe e le incitò al combattimento ad Acri, ma precipitò dalla loggia aperta da cui aveva appena finito di parlare e morì.[26] Poiché la guerra era ancora in corso, non vi era tempo per compiangere il sovrano e i baroni dovettero nominare un successore del re.[27] A Isabella, che era rimasta vedova ed era madre di due figlie, non fu lasciata grande libertà di scegliere un nuovo marito, malgrado nemmeno gli aristocratici si dimostrarono capaci di trovare un candidato ideale.[28] Fu l'arcivescovo Corrado, un confidente dell'imperatore tedesco e per giunta amico del papa Innocenzo III, a individuare un successore nel re di Cipro, Amalrico di Lusignano.[25][28] Si trattava di una scelta che gettava alcuni dubbi su quella che sarebbe stata la sua politica, in quanto si temeva che si sarebbe comportato come suo fratello minore Guido, il quale aveva rivendicato anni prima il titolo di re di Gerusalemme jure uxoris in contrasto con Corrado del Monferrato.[28] Dal canto suo, Amalrico si chiedeva se accettare quel ruolo avrebbe finito per subordinarlo al sovrano del Sacro Romano Impero, considerata l'ingerenza dei tedeschi nella sua nomina.[28]

 
La riconquista di Beirut, Alexandre Hesse, 1842

Una volta fatto intendere che avrebbe preso del tempo per decidere, Amalrico fornì comunque supporto ai crociati tedeschi, che su iniziativa del duca di Brabante Enrico avevano attaccato Beirut e scacciato Usama e i suoi occupanti.[29] Avendo capito che non avrebbe ricevuto supporto da Safedino, l'emiro aveva deciso di smantellare la città e ritirarsi, ma le operazioni non erano avvenute così in fretta e avevano finito soltanto per agevolare la conquista nemica.[25][29] Anche Boemondo III d'Antiochia si unì ai crociati nell'attacco di Beirut e, durante il viaggio di ritorno, sperava di estendere i confini del principato di Antiochia impossessandosi di Laodicea e Gabala, ma dovette fare presto ritorno a casa per via di intricate questioni politiche.[30]

Soltanto Sidone era stata ridotta a un cumulo di rovine,[3] mentre Gibelletto era tornata come detto in mano cristiana grazie alle manovre politiche di Stefania di Milly.[29] In seguito i cristiani ripresero altresì possesso di Batrun e della costa siriana circostante, sia pur compiendo operazioni militari sconosciute agli studiosi.[25] Ciò ripristinò «la continuità dell'occupazione franca della costa, dalla zona a nord di Tripoli fino a sud di Acri».[25] I crociati perseguivano tuttavia un obiettivo ben più prestigioso e desideravano spingersi a Gerusalemme, motivo per cui respinsero la proposta di quella fetta di nobili siriani che desiderava giungere a un accordo con i musulmani e cedere la riconquistata Beirut con Giaffa.[29]

Si decise dunque di prendere di mira la fortezza di Toron nel novembre del 1197, la quale subì dei primi assalti così vigorosi che i difensori si offrirono di arrendersi.[3][29] Tuttavia, l'arcivescovo Corrado insisteva per una resa senza condizioni, circostanza che spronò alcuni baroni franchi[nota 2] a intervenire per scongiurare il rischio che la lotta scatenasse una grande e inarrestabile avanzata nemica.[29] Essi riferirono infatti a Safedino che i tedeschi non erano soliti risparmiare la vita ai prigionieri; ciò spinse il sultano a radunare immediatamente un vasto esercito per giungere in soccorso della fortezza assediata.[29] Mentre i saraceni raggiungevano la posizione, si diffuse la notizia che l'imperatore Enrico VI era morto e che al suo posto gli era subentrato il suo giovane figlio, Federico.[31] Ciò spinse diversi tedeschi a valutare l'ipotesi di abbandonare in gran segreto l'assedio e imbarcarsi per la patria.[3] Essi erano infatti preoccupati di perdere possesso dei propri feudi, considerate le lotte per il potere che erano scoppiate.[3][31] Lo scoramento tra i cristiani aumentò quando Toron continuò a resistere agli attacchi, motivo per cui i tedeschi persero gradualmente il proprio entusiasmo iniziale.[32]

Quando il 2 febbraio 1198 arrivò un esercito musulmano proveniente dall'Egitto, i cristiani rimasti avevano da poco saputo della partenza dei nobili e dei chierici che li avevano guidati.[32] Ciò li spinse a fuggire a Tiro e a imbarcarsi in tutta fretta verso la Germania.[32]

Conseguenze modifica

Moneta emessa nel 1201 a Damasco sotto Safedino

Amalrico aveva sciolto le riserve nel gennaio del 1198 e si era deciso ad accettare il ruolo di re di Gerusalemme.[28] Ventiquattro ore dopo il suo arrivo aveva sposato la regina Isabella e, qualche giorno più tardi, il patriarca cittadino li incoronò solennemente.[28] Amalrico, da allora divenuto noto come Amalrico II, si affrettò a precisare che le corone di Cipro e di Gerusalemme sarebbero state tenute distinte e che era stato soltanto costituito «un legame personale».[33] Benché si considerasse alla stregua di un reggente, nei fatti Amalrico governò con grande maestria e abilità, avendo modo di dimostrarla subito in occasione della fine della crociata tedesca.[33] Ricadeva infatti in capo a lui l'onere di negoziare una pace a seguito della turbolenta spedizione condotta dal Sacro Romano Impero.[34] Dall'altra parte, anche Safedino aveva intenzione di giungere a una tregua, poiché desiderava riunire tutti i possedimenti del suo defunto fratello Saladino.[32]

Il 1º luglio 1198 fu rinnovata per cinque anni e otto mesi la pace di Ramla stipulata nel 1192 da Saladino e Riccardo I d'Inghilterra.[3] Ribadendo la libertà di circolazione per i pellegrini, si riconosceva la cessione ai musulmani di Giaffa e la ripresa cristiana di Beirut.[3][35] Si introduceva tuttavia una clausola non prevista in precedenza, ossia il rispetto della tregua a patto che «nessun potente sovrano di recasse in Oriente» (nisi aliquis rex christianorum potens in partes illas veniret).[35] Si trattava di una previsione importante, poiché implicitamente si ammetteva che la sovranità del re di Gerusalemme era secondaria rispetto a figure provenienti dall'Europa.[35] Infine, Amalrico conferì la signoria di Beirut a Giovanni di Ibelin e la signoria di Sidone a Reginaldo de Grenier.

 
Vessillo dell'Ordine teutonico, il gruppo religioso cavalleresco nato sul finire del XII secolo ad Acri

Uno dei lasciti più importanti riguardò comunque l'Ordine teutonico, nato ufficialmente ad Acri nel 1191 sotto il patrocinio di Federico Barbarossa come ospedale destinato a malati e feriti tedeschi.[36] Fu il cancelliere Corrado a conferirgli un carattere militare e, nel 1198, papa Innocenzo III proclamò ufficialmente la costituzione di un nuovo ordine religioso cavalleresco, appunto quello dei Cavalieri teutonici.[32] A questi ultimi venne assegnato ciò che rimaneva dei vecchi domini rivendicati dal conte Joscelin III di Edessa, che sua figlia Beatrice di Courtenay e suo marito, Otto von Henneberg, avrebbero ceduto loro nel 1208, costituendo così un dominio vicinissimo ad Acri.[37] Esso rappresentò «il punto di partenza di tutti i futuri possedimenti territoriali» e, nel giro di qualche anno, l'Ordine fu in grado di rivaleggiare con i Cavalieri Ospitalieri, incidendo dunque sulla politica del regno latino.[37] In tal modo, l'ordine sarebbe stato in grado di rivaleggiare con quelli del Tempio e dell'Ospedale, e di influire, anch'esso, sulla politica del regno latino.[37] In seguito, nel XIII secolo, l'Ordine si concentrò invece nell'espansione verso est (Ostsiedlung) della Germania verso la Prussia e l'adiacente regione baltica nell'ambito delle crociate del nord.[38]

Giudizio storiografico modifica

Interrotta dalla morte di Enrico VI, la crociata non realizzò quanto era stato prefissato, limitandosi alla sola riconquista di Beirut e di qualche altro piccolo centro.[32][39] Al contempo, l'indebolimento dell'Impero bizantino persistette e costituì una base per la quarta crociata e il sacco di Costantinopoli nel 1204. Allo stesso tempo, la riconquista originariamente intesa di Gerusalemme fu abbandonata.[11]

Nelle parole dello storico Steven Runciman, «la crociata era stata un fiasco e non aveva contribuito affatto a rialzare il prestigio tedesco».[32] Jean Richard ha sottolineato come si trattò di un conflitto diverso rispetto alla terza crociata e a quelli precedenti, poiché entrarono in gioco dinamiche politiche dimostrate dall'ingerenza tedesca nella nomina del nuovo re di Gerusalemme e nella sottomissione formale del sovrano d'Armenia Leone a Enrico VI.[35] Desideroso di un maggiore riconoscimento internazionale, Leone avviò degli scambi epistolari con il papa e con l'imperatore tedesco già prima che partisse per la crociata del 1197.[37] Grazie alla loro intercessione, ottenne l'elevazione della sua "baronia" a regno d'Armenia, che entrò a far parte del complesso degli Stati franchi dal 1197 al 1199.[37] Sulla via del ritorno in Germania, l'arcivescovo Corrado di Magonza, nel gennaio 1198, incoronò il principe Leone re d'Armenia a Tarso.

Si segnala in ultimo il parere dello storico John Riley-Smith, secondo cui:

«La Terza Crociata e la crociata del 1197-98 dimostrano l’entusiasmo che il movimento poteva suscitare in Europa, quando in Oriente scoppiava una crisi, e l’entità delle forze che si potevano mettere in campo in simili casi. La quantità di uomini e materiali incanalati verso l'Oriente raggiunse in quegli anni punte notevoli. Dopo un avvio lento, i crociati conseguirono risultati di grande rilievo. Nel 1188 ai cristiani erano rimaste soltanto la città di Tiro e alcune fortezze isolate nell'interno; entro il 1198 essi controllavano quasi tutto il territorio della costa palestinese. Ma Gerusalemme li aveva elusi, il che aiuta a spiegare l'ossessivo interesse per le crociate, che seguitò a manifestarsi a tutti i livelli sociali.»

Note modifica

Esplicative modifica

  1. ^ Anche il duca di Boemia Bretislao III aveva accettato di unirsi alla crociata durante la dieta di Worms del dicembre 1195, ma non riuscì a partire, in quanto si ammalò e morì tra il 15 ed il 19 giugno 1197.
  2. ^ Col nome di Ifranj erano indistintamente chiamati in arabo i cristiani occidentali che si recavano per partecipare alle crociate in Terra santa.

Bibliografiche modifica

  1. ^ a b c d (EN) Christopher Tyerman, God's War: A New History of the Crusades, Penguin UK, 2007, ISBN 978-01-41-90431-3.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l Richard (1999), p. 373.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m n o Riley-Smith (2022), p. 166.
  4. ^ Bridge (2023), p. 213.
  5. ^ Runciman (2005), p. 678.
  6. ^ Runciman (2005), p. 691.
  7. ^ Bridge (2023), p. 216.
  8. ^ Runciman (2005), pp. 696-699.
  9. ^ Bridge (2023), p. 217.
  10. ^ a b Riley-Smith (2022), p. 160.
  11. ^ a b Bridge (2023), p. 241.
  12. ^ a b c Richard (1999), p. 371.
  13. ^ Riley-Smith (2022), pp. 160-161.
  14. ^ Riley-Smith (2022), p. 161.
  15. ^ Richard (1999), p. 370.
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  17. ^ Runciman (2005), pp. 754-755.
  18. ^ a b Ostrogorskij (2014), p. 370.
  19. ^ Richard (1999), pp. 371-372.
  20. ^ Richard (1999), p. 369.
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  28. ^ a b c d e f Runciman (2005), p. 766.
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  36. ^ Richard (1999), p. 377.
  37. ^ a b c d e Richard (1999), p. 378.
  38. ^ William Urban, I Cavalieri Teutonici: Storia militare delle Crociate del Nord, traduzione di Rossana Macuz Varrocchi, Libreria Editrice Goriziana, 2006, pp. 53, 99, ISBN 978-88-86-92899-1.
  39. ^ Grousset (1998), p. 147.

Bibliografia modifica

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