Dieta mediterranea

modello nutrizionale
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La dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari che sono stati diffusi in alcuni Paesi del bacino mediterraneo, ed è da ciò che deriva il nome, ispirato alle abitudini alimentari di Spagna, Italia e Grecia negli anni '60.[2] La dieta venne riconosciuta dall'UNESCO come bene protetto e inserito nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell'umanità nel 2010.

 Patrimonio protetto dall'UNESCO
Dieta mediterranea
 Patrimonio immateriale dell'umanità
Alimenti della dieta mediterranea[1]
StatiBandiera di Cipro Cipro
Bandiera della Croazia Croazia
Bandiera della Grecia Grecia
Bandiera dell'Italia Italia
Bandiera del Marocco Marocco
Bandiera della Spagna Spagna
Bandiera del Portogallo Portogallo
Inserito nel2010
ListaLista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell'umanità
SettoreCognizioni e prassi sulla natura e l'universo
Scheda UNESCO(ENESFR) Mediterranean diet

Il regime alimentare si fonda su alimenti il cui consumo è abituale in Paesi del bacino mediterraneo, in una proporzione che privilegia cereali, frutta, verdura, semi, olio di oliva, rispetto ad un più raro uso di carni rosse e grassi animali (grassi saturi), mentre presenta un consumo moderato di pesce, carne bianca (pollame), legumi, uova, latticini, vino rosso e dolci[3].

Già alcuni dietologi medici - come il francese Paul Carton o lo svizzero Maximilian Bircher-Benner - avevano avanzato alcune ipotesi sugli effetti di un regime alimentare con limitato consumo di alimenti di origine animale come latticini, carne, uova. Il concetto di dieta mediterranea è stato introdotto e studiato inizialmente dal fisiologo statunitense Ancel Keys.

La dieta mediterranea è associata a una riduzione della mortalità per tutte le cause negli studi osservazionali.[4] La dieta mediterranea può aiutare, con la perdita di peso, le persone obese.[5][6]

Premessa

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Molti popoli risiedono sulle coste del Mediterraneo con grandi differenze etniche, culturali, religiose, economiche e politiche, le quali possono aver influito sulla quantità e sulla qualità dell'alimentazione. Per questo l'identificazione di elementi dietetici comuni ha rappresentato una sfida per gli studiosi. Data la grande varietà delle abitudini gastronomiche dei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo e le loro variazioni nel corso della storia, si è ritenuto di dover riservare il termine di Dieta Mediterranea, in senso stretto, alle abitudini alimentari associate a esiti più salutari in alcune località dell'isola di Creta e dell'Italia meridionale, quelle cioè studiate da Ancel Keys[7]. E poiché il principale apporto di grassi di quei gruppi sociali veniva dall'olio d'oliva, il modello dietetico è stato esteso a includere le diete consumate nei paesi mediterranei produttori di olive[8].

Le implicazioni storiche e antropologiche della Dieta mediterranea hanno portato l'UNESCO alla sua inclusione dal 2010 nella Lista dei patrimoni culturali immateriali dell'umanità di Italia, Marocco, Spagna e Grecia; dal 2013 tale riconoscimento è stato esteso anche a Cipro, Croazia e Portogallo.[9]. Attualmente la definizione di Dieta mediterranea si è estesa a molte varianti di quella originaria, soprattutto nel campo della pratica gastronomica di molti paesi che rivendicano la qualità della propria cucina, tanto da includere stili dietetici ampiamente eterogenei, per i quali non esistono altrettante evidenze scientifiche[10].

Accanto al significato dietologico del termine Dieta mediterranea, si è fatto quindi spazio sia l'allargamento del concetto a una vastissima gamma di gastronomie ad opera di una pubblicistica popolare, sia l'opinione critica di alcuni storici, che ne hanno evidenziato l'aspetto astratto o di nuova mitologia. Il significato che si attribuisce al termine Dieta mediterranea «si è plasmato nel tempo, acquisendo connotati non sempre documentati, nel rispetto della migliore “tradizione” generatrice di miti. Basti pensare a come l'attuale approccio riduzionistico appaia inadeguato per spiegare un fenomeno complesso come il “modello” alimentare mediterraneo. È infatti di modello o “mediterraneità” che si deve parlare, evitando di confinare l'argomento al pur importante aspetto dell'assunzione di cibi specifici (la dieta), come invece sembra fare la ricerca medica. «La dieta mediterranea non è solo dieta e non c'è una sola dieta mediterranea»[11].

Definizione

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Con il termine Dieta mediterranea si intende un modello nutrizionale ispirato alla tipica alimentazione delle popolazioni di Italia meridionale[12][13][14] Grecia e Spagna. La scelta di questa area geografica e di questo periodo storico si basa su alcune evidenze scientifiche ed epidemiologiche.[8]

Infatti i paesi che si affacciano sul bacino mediterraneo condividono tradizionalmente la disponibilità degli stessi alimenti, derivati dall'agricoltura, dalla pastorizia e dalla pesca. Inoltre alcuni studi, ampiamente accettati dalla comunità scientifica, hanno provato che in queste aree geografiche, nei primi anni sessanta, l'aspettativa di vita era tra le più alte del mondo; al contrario l'incidenza di malattie come la cardiopatia ischemica, alcuni tumori e altre malattie croniche correlate alla dieta era invece tra le più basse del mondo; questo avveniva nonostante l'elevata abitudine al fumo, il livello socio-economico basso e la scarsità di assistenza sanitaria in quei luoghi e in quel contesto storico[15].

In numerosi altri studi condotti in contesti geografici ed economici differenti, utilizzando una dieta con le stesse caratteristiche, è stata osservata ugualmente una minore frequenza di malattie croniche e una maggiore longevità.

La dieta mediterranea è una tra le più utilizzate e salutari. È significativo che la dieta mediterranea sia diffusa nelle aree che si affacciano sul mar Mediterraneo dove tradizionalmente vengono coltivati gli olivi, tanto che un'altra definizione accettata di questo pattern alimentare fa riferimento alla dieta praticata nelle zone mediterranee di crescita degli ulivi[16].

Esistono varianti della dieta mediterranea, meno definite e meno studiate, in altre parti dell'Italia e della Francia, in Libano, Marocco, Portogallo, Spagna, Siria, Tunisia, Turchia ecc. Infatti sul bacino mediterraneo si affacciano sedici nazioni: la dieta e le tradizioni gastronomiche di esse variano ampiamente a causa di differenze etniche, culturali, religiose, economiche e di produzione agricola[17].

Le sue caratteristiche

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Le caratteristiche sono: abbondanti alimenti di origine vegetale (frutta, verdura, ortaggi, pane e cereali, soprattutto integrali, patate, fagioli e altri legumi, noci, semi), freschi, al naturale, di stagione, di origine locale; frutta fresca come dessert giornaliero, dolci contenenti zuccheri raffinati o miele poche volte la settimana; olio di oliva come principale fonte di grassi; latticini (principalmente formaggi e yogurt) consumati giornalmente in modesta-moderata quantità; pesce e pollame consumato in quantità abbastanza bassa; da zero a quattro uova la settimana; carni rosse in minime quantità e vino consumato in quantità modesta-moderata, generalmente durante il pasto[18].

Questa dieta ha un contenuto basso in grassi saturi (inferiore al 7-8%), ed un contenuto totale di grassi da meno del 25% a meno del 35% a seconda delle zone. Inoltre originariamente era associata a regolare attività fisica lavorativa, ad esempio nei campi o in casa.

Il contenuto calorico della dieta mediterranea nelle indagini di popolazione non superava le 2500 Kcal per l'uomo e le 2000 Kcal per la donna, comunque l'introito calorico non andava oltre il consumo metabolico con l'attività fisica. In sostanza si trattava della dieta di una popolazione rurale, povera e frugale.[19]

Come dieta mediterranea di riferimento nel Seven Countries Study è stata considerata quella della città calabrese di Nicotera; i vari componenti di essa, espressi come percentuali dell'apporto calorico totale (in rilievi della durata di sette giorni in differenti stagioni del 1960) sono: cereali 50-59%, olio di oliva extravergine 13-17%, vegetali 2,2-3,6%, patate 2,3-3,6%, legumi 3-6%, frutta 2,6-3,6%, pesce 1,6-2%, vino rosso 1-6%, carne 2,6-5%, latticini 2-4%, uova e grassi animali molto scarsi.

I pionieri

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Cornelis De Langen (1887 – 1967)[20], medico olandese, visse in Indonesia nei primi anni del XX secolo; misurando la colesterolemia dei suoi connazionali immigrati e quella degli indonesiani, si accorse che gli indonesiani avevano valori molto più bassi. Egli mise in relazione ciò alla dieta prevalentemente vegetariana di essi. Notò anche che l'angina pectoris era una malattia quasi inesistente in Indonesia[21].

Isidore Snapper (1889 -1973), un altro medico olandese, allievo di De Langen, visse in Cina intorno al 1930. Registrando l'elettrocardiogramma notò che l'infarto miocardico era molto raro tra i Cinesi, mentre era molto più frequente tra gli Europei che vivevano in Cina. Anche lui mise in relazione questa osservazione con la dieta prevalentemente vegetariana dei Cinesi[22].

Haqvin Malmros, uno studioso svedese, mise in relazione la bassa mortalità per infarto in Svezia nel periodo della seconda guerra mondiale con le ristrettezze economiche ed alimentari di quel periodo[23].

Elizabeth David (1913 - 1992)[24], scrittrice inglese di gastronomia, negli anni trenta viaggiò col marito su un piccolo yacht in Italia, visse a Marsiglia, in Corsica, in Grecia, in Sicilia, fuggì dal fascismo in Egitto, al Cairo. Dopo la guerra tornò in Inghilterra; avvilita dal cibo inglese e dai razionamenti del dopoguerra, scrisse degli articoli sui cibi consumati sulle coste del Mediterraneo, che raccolse nel A Book of Mediterranean Food[25] pubblicato nel 1950. Il libro colpì l'immaginazione dei lettori inglesi; molti degli ingredienti citati non erano presenti nei mercati, neanche a Londra: basilico, melanzane, aglio, fichi, olio d'oliva, zafferano, vini italiani. La scrittrice contribuì alla conoscenza di piatti come paella, moussakà, ratatouille, pasta con salsa di pomodori freschi e al cambiamento dei gusti alimentari in Inghilterra. Si occupò di gastronomia, prevalendo l'interesse per il gusto e la cultura alimentare mediterranea rispetto agli effetti sulla salute. Nel 1954 pubblicò il libro Italian Food[26] con Renato Guttuso.

Ancel Keys

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Contadini nel sud dell'Italia nel 1943
 
Contadini nel sud dell'Italia nel 1943
 
Tonnara di Scopello, foto del 1947
 
Carico di fiaschi di vino
 
Luigi Villari, Italian life in town and country, (1902)

La dieta mediterranea è un moderno modello alimentare studiato, per la prima volta in maniera sistematica, dall'epidemiologo e fisiologo statunitense Ancel Keys in alcuni paesi del bacino mediterraneo negli anni cinquanta, in una situazione di severa difficoltà economica e di limitazione delle risorse a causa della Seconda guerra mondiale[27]. Queste condizioni, associate ad un basso livello di tecnologia, favorivano uno stile di vita fisicamente attivo e frugale, con una predominanza di prodotti vegetali e scarsità di prodotti di origine animale nella dieta[28].

«La situazione alimentare nelle classi non abbienti dell'Italia meridionale nel secondo dopoguerra era particolarmente precaria. Contadini e braccianti agricoli calabresi, intervistati da Vito Teti sulle loro abitudini alimentari..., hanno permesso di ricostruire alcune combinazioni di cibi che costituivano negli anni Quaranta e Cinquanta la dieta giornaliera delle categorie rurali. L'elemento principale era sempre il pane (in alcuni casi ancora sostituito da polenta), accompagnato da erbe di campo o olive o patate, cavoli o fagioli. Non ricorrevano piatti che richiedessero una elaborata fase di preparazione a meno che non si voglia considerare tale la cottura di minestra, baccalà, polenta e frittata. La memoria collettiva insiste su pane e companatico (cipolla, formaggio, olive, peperoni) e ancora su grossi piatti di verdura e fagioli. Una realtà insomma che non conosceva l'abbondanza o comunque dove l'abbondanza era, secondo gli schemi tradizionali, riservata a pochissime persone mentre tutti gli altri potevano soltanto immaginarla, sognarla in termini di "pasta e carne tutti i giorni"[29]»

Ancel Keys proveniva dall'Università del Minnesota, aveva una grande esperienza in molti campi della medicina, era stato l'ideatore della razione K, che era entrata in uso nelle Forze armate americane. Nei primi anni cinquanta, intuì la relazione tra alimentazione e stato di salute e arrivò a postulare l'importanza della dieta nella "teoria lipidica" delle malattie cardiovascolari[30]. Insieme alla moglie Margaret Haney (1909–2006), biologa, e a un altro medico americano, Paul D. White, cardiologo del Presidente Eisenhower, durante alcuni viaggi in molti paesi del mondo - Grecia, Finlandia, Giappone, Spagna, Sudafrica ed Italia - si accorse che valori bassi del colesterolo nel sangue si associavano a rarità di infarto miocardico, come gli segnalavano i medici locali. In particolare fu fruttuoso l'incontro, durante un convegno internazionale sull’alimentazione mondiale svoltosi a Roma nel 1951, con il fisiologo e nutrizionista salentino Gino Bergami dell'Università di Napoli, che lo invitò a compiere uno studio preliminare dosando la colesterolemia in persone di diverso livello sociale e ad incontrare i medici del luogo che descrivevano la rarità dell'infarto nelle classi meno abbienti.

«A Napoli la dieta comune era scarsa di carne e prodotti caseari, la pasta generalmente sostituiva la carne a cena. Nei mercati alimentari scoprii montagne di verdura e le buste della spesa delle donne erano cariche di verdura frondosa. Nello stesso tempo, i campioni di sangue degli uomini sotto controllo medico che noi stavamo visitando presentavano un basso livello di colesterolo. I pazienti con disturbi cardiaci alle coronarie erano rari negli ospedali e i medici locali ci dissero che gli attacchi di cuore alle coronarie non erano molto frequenti. I disturbi cardiaci alle coronarie erano ritenuti essere più comuni nelle classi benestanti dove la dieta era più ricca di carne e prodotti caseari. Mi convinsi che la dieta salutare era un motivo dell’assenza di disturbi cardiaci.[31]»

«Margaret ed io caricammo l'apparecchio per misurare il colesterolo nel siero sulla nostra piccola Hillman e partimmo per Napoli. A Napoli trovammo la conferma che Bergami aveva ragione riguardo alla rarità della malattia ischemica coronarica nella popolazione generale, ma in ospedali privati che ricoveravano persone ricche vi erano pazienti con infarto al miocardio. La dieta della popolazione generale era ovviamente molto povera in carne e formaggi, e Margaret trovò livelli di colesterolo sierico molto bassi in numerose centinaia di operai e impiegati presi in esame dal Dott. Flaminio Fidanza, un assistente di Bergami nell'Istituto di Fisiologia. Fui invitato a cena con i membri del Rotary Club. La pasta era condita con sugo di carne e tutti la ricoprivano con formaggio parmigiano. Un arrosto di carne era il secondo piatto. Il dessert era una scelta di gelato o ricchi dolci. Persuasi alcuni commensali a venire da me per essere esaminati, e Margaret trovò il loro livello di colesterolo molto più alto che negli operai (Arch Intern Med 1954; 94:328). Pochi mesi più tardi andai a Madrid, ospite del Professor Jimenez Diaz, il principale cardiologo spagnolo, e trovai un quadro simile in un'area povera di Madrid (Metabolism 1954; 3: 195). Il Professor Diaz era un ospite geniale, ma mi prese in giro quando suggerii che gli attacchi di cuore potevano essere in relazione alla dieta[32]»

Ancel Keys proseguì le sue osservazioni in Città del Capo, a Cagliari, a Ilomantsi in Finlandia, a Fukuoka in Giappone, a Honolulu, a Bologna. Nel 1957 Keys si rese conto che era necessario progettare uno studio pilota prospettico in piccoli centri e mettere insieme un gruppo internazionale di ricercatori che lavorassero in sperduti villaggi. Un collega di Flaminio Fidanza, Antonio Del Vecchio, suggerì di iniziare nel suo paese di nascita, Nicotera in Calabria.

«Non c'erano alloggi per il team a Nicotera, ma non lontano, a Gioia Tauro, c'era un nuovo Jolly Hotel adeguato come residenza. I dottori e i funzionari a Nicotera erano deliziati di avere un gruppo di lavoro internazionale nel loro villaggio. Fecero di tutto per aiutarci… Volli cercare informazioni sulla mortalità in Nicotera, e mi fu dato accesso alle certificazioni ufficiali di morte. Controllando i certificati dei due anni precedenti, non riuscivo a capire sei registrazioni di uomini la cui morte era attribuita a “gelosia”. Chiesi al medico del luogo di spiegarmelo. Egli pensò un poco e rispose che poteva essere chiamata intossicazione da piombo. Rapidamente afferrai; le pallottole erano fatte di piombo[33]»

Il lavoro proseguì con l'organizzazione di un altro gruppo internazionale a Creta, con base a Heraklion e attività in sei villaggi di montagna, collegati da strade malmesse e dove si parlava solo in greco. Nel 1957 Keys prese accordi con Ratko Bulina dell'Università di Zagabria per iniziare le ricerche anche in piccoli villaggi in Jugoslavia, sul modello di Creta. Furono scelti Makarska e Slavonia. A quel punto il Seven Countries Study era avviato.

Ancel Keys si stabilì in seguito in Italia, a Pioppi, un villaggio di pescatori del comune di Pollica, dove acquistò una casa. in una contrada isolata a nord del borgo, lungo la costa, la stessa in cui scelsero di stabilirsi vari altri protagonisti di quella stagione di ricerche, come Flaminio Fidanza, Martti Karvonen, Jeremiah Stamller. Ribattezzò quella località col nome di Minnelea, per rendere omaggio alla sua città di provenienza, Minneapolis, e alla vicina località della Magna Grecia, Elea, del Cilento, divenuta sua terra di adozione[34]. Morì poco prima di compiere 101 anni nel 2004 a Minneapolis.

Ancel Keys pubblicò anche tre libri divulgativi: nel 1959 Eat well & stay well[35], nel 1972 The Benevolent Bean[36], nel 2009 è stata pubblicata l'edizione italiana del best seller Mangiar bene e stare bene (con la dieta mediterranea)[37].

Il Seven Countries Study

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Basandosi su queste osservazioni Ancel Keys progettò un ambizioso ed originale studio epidemiologico su varie popolazioni nel mondo (multicentrico), seguite per molti anni, il Seven Countries Study, che negli anni seguenti divenne leggendario nel campo della medicina e della pubblicistica divulgativa.

 
Mercato della frutta e verdura a Corfù

L'indagine fu condotta su 16 gruppi (coorti) di uomini di età tra 40 e 59 anni in sette Paesi. Una coorte venne arruolata negli Stati Uniti, due in Finlandia, una in Olanda, tre in Italia (in tre comuni rurali del nord, centro e sud, Crevalcore in provincia di Bologna, Montegiorgio in provincia di Fermo e Nicotera in provincia di Vibo Valentia)[38], due in Jugoslavia (ora Croazia e Serbia)[39], due in Grecia (Corfù e Creta)[40] e due in Giappone, per un totale di oltre 12.000 individui. Inoltre venne incluso nello studio un campione di ferrovieri, nella zona di Roma, per rappresentare il gruppo di confronto europeo di un analogo campione di ferrovieri arruolato nel midwest e northwest degli Stati Uniti.

Lo scopo era di confrontare popolazioni con tradizioni alimentari, stili di vita e incidenza di malattie cardiovascolari molto lontane tra loro. Le aree di Crevalcore, Montegiorgio e il gruppo dei Ferrovieri di Roma furono utilizzate per lo studio dei cibi e nutrienti e seguite per 50 anni, mentre quella di Nicotera fu studiata solo all'inizio nel 1957; per la carenza degli stanziamenti non venne più seguita, ma, data la forte somiglianza con l'alimentazione in Dalmazia e Creta, fu considerata come la "dieta di riferimento" per la definizione di Dieta Mediterranea[41].

I diversi modelli alimentari identificati da Ancel Keys all'inizio dello studio mostravano, per quanto riguardava i nutrienti, un elevato consumo di grassi saturi nelle popolazioni del Nordamerica e del Nordeuropa, e un consumo molto più basso nel sud Europa, specie nelle aree Mediterranee ed in Giappone[42].

Per quanto riguarda gli alimenti i pattern erano molto diversi da nazione a nazione. In Finlandia e Olanda gli alimenti prevalenti erano latte, patate, grassi animali e dolci; negli Stati Uniti erano elevati i consumi di carne, frutta e dolci; in Italia erano alti i consumi di cereali (pane, pasta) e di vino; nell'ex Jugoslavia i consumi di pane, eccetto che a Belgrado, con molti vegetali e pesce in Dalmazia; in Grecia prevalevano i consumi di olio di oliva e frutta; in Giappone quelli di pesce, riso e prodotti derivati dalla soia.

Le popolazioni furono seguite con analisi ogni 5 anni per alcuni decenni. Venne dimostrato che il consumo di grassi saturi era fortemente correlato con la malattia delle coronarie; invece esisteva una relazione inversa tra rapporto grassi poli-insaturi/saturi e rapporto grassi mono-insaturi/saturi da un lato ed incidenza e mortalità per cardiopatia ischemica. L'apporto elevato di grassi monoinsaturi rifletteva un abbondante uso di olio di oliva, tipico delle aree Mediterranee. I risultati dello studio furono valutati nel corso degli anni da diversi gruppi di ricercatori e con vari e complessi metodi statistici[42]. In generale i gruppi di alimenti di origine animale e lo zucchero erano direttamente correlati con la mortalità coronarica, mentre quelli di origine vegetale, il pesce ed il consumo di alcool lo erano in forma inversa. Inoltre esisteva un rapporto diretto e significativo tra consumo di grassi saturi, colesterolemia media delle singole coorti e incidenza e mortalità coronarica. I risultati contrapponevano i gruppi di popolazione nordamericana e nordeuropea ai gruppi di popolazione del Sud Europa e Giappone (particolarmente nelle coorti più strettamente Mediterranee, situate a Creta, Corfù, in Dalmazia e a Montegiorgio in Italia). Un gruppo di studiosi italiani utilizzò una tecnica statistica a priori con la costruzione dell'"indice MAI" (Mediterranean Adequacy Index): fu identificato un pattern dietetico tipico mediterraneo di riferimento; l'indice numerico MAI era un punteggio che indicava lo scostamento delle abitudini alimentari di una popolazione da quel pattern ideale; il MAI è tanto maggiore quanto maggiore è la differenza rispetto al modello mediterraneo di riferimento. La dieta di riferimento era quella della coorte di Nicotera, la più coerente con quella di Grecia e Dalmazia, che aveva dimostrato i massimi vantaggi sulla salute. L'indice MAI poneva a confronto l'apporto di calorie da alimenti mediterranei (pane, cereali, legumi, patate, vegetali, frutta, pesce, vino e oli vegetali) con l'apporto di calorie derivanti da alimenti non tipici del Mediterraneo (latte, formaggio, carne, uova, grassi animali, margarina, dolci, zucchero, bevande dolci)[43].

L'OMS pubblicò nel 1990 uno studio parallelo al Seven Countries Study, che confermò i risultati sul rapporto tra dieta, nutrizione e prevenzione delle malattie croniche[44].

Una validazione del Seven Countries Study è venuta anche da ricerche basate su dati della FAO per i consumi alimentari e su quelli dell'OMS per la mortalità su 40 Paesi, pubblicate nel 1993; tra questi Paesi erano presenti tutti quelli considerati nel Seven Countries Study[45]. La correlazione tra alcuni gruppi di alimenti di originale animale e la mortalità coronarica risultò comparabile a quella osservata nel Seven Countries Study.

Gli alimenti secondo la piramide della dieta mediterranea del Seven Countries Study

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«Nella Dieta Mediterranea, l'enfasi era posta sulle piccole porzioni per cause di necessità; la quantità delle porzioni è il parametro più importante nella maggior parte delle diete[46]»

Nel 1999 un gruppo di studio del Ministero della Salute della Grecia, basandosi sugli studi epidemiologici effettuati (soprattutto il Seven Countries Study), che avevano dimostrato l'efficacia della dieta mediterranea sulla longevità, elaborò uno schema dietologico pubblicandolo col nome di "Piramide della Dieta Mediterranea greca per l'adulto"[47][48].

La piramide era già stata elaborata graficamente in un altro studio internazionale del 1980[8]. In quest'ultimo studio ci si basava sul pattern dietetico dell'isola di Creta e della Calabria nei primi anni sessanta, dove l'aspettativa di vita era tra le più alte del mondo e l'incidenza della malattia coronaria, di alcuni tumori e di altre malattie croniche correlate alla dieta, come il diabete e l'obesità, era ugualmente tra le più basse. Accanto alle abitudini in cucina lo studio includeva una regolare attività fisica giornaliera.

La piramide della dieta mediterranea comprende il consumo di circa 22-23 porzioni di alimenti al giorno, divise in 3 o 4 pasti. La frequenza con la quale consumare ogni componente è così stabilita[49]:

giornalmente cereali non raffinati (pane di grano integrale, pasta di grano integrale, riso bruno ecc.): 8 porzioni

frutti: 3 porzioni

vegetali (incluse verdure selvatiche): 6 porzioni

olio di oliva come principale grasso aggiunto

latte e prodotti del latte: 2 porzioni

vino con moderazione (3 porzioni nell'uomo, 1,5 per la donna), preferibilmente rosso e durante il pasto

acqua in quantità libera

sostituire il sale col condimento con spezie (es. origano, basilico, timo ecc).

settimanalmente pesce: 5-6 porzioni

pollame e carni bianche: 4 porzioni

olive, legumi, noci: 3-4 porzioni

patate: 3 porzioni

uova: 3 porzioni

dolci: 3 porzioni

mensilmente carni rosse: 4 porzioni

Questa dieta prevedeva un'ampia variabilità di cibi e permetteva di evitare carenze nutrizionali. La piramide era costruita indicando i cibi e non i nutrienti affinché il pubblico potesse adeguarsi con più facilità. Inoltre era seguito un criterio semiquantitativo: le quantità erano codificate come “porzioni” (servings) e non in peso. Le linee guida della piramide davano anche delle indicazioni per standardizzare la quantità di ciascuna porzione di ogni classe di alimento: ogni porzione veniva definita in prima approssimazione come la metà della porzione del Greek market regulations (circa metà della quantità servita in un ristorante greco). L'aspetto fondamentale della dieta mediterranea è la modesta quantità di ogni porzione. Queste le equivalenze per ogni porzione di alimento[50]:

  • una fetta di pane: 25 grammi
  • 100 grammi di patate
  • metà tazza (50-60 grammi) di pasta o riso
  • una tazza di ortaggi a foglia o mezza tazza di altri vegetali, cotti o tritati (circa 100 grammi della maggior parte dei vegetali)
  • una mela (80 grammi), una banana (60 grammi), un'arancia (100 grammi), 200 grammi di melone o anguria, 30 grammi di uva
  • una tazza di latte o di yogurt
  • 30 grammi di formaggio
  • circa 60 grammi di carne magra o pesce
  • una tazza (circa 100 grammi) di fagioli secchi cotti
  • porzione di vino rosso un bicchiere (circa 10 ml di alcool)

La dieta mediterranea deve essere considerata nella sua globalità, poiché le analisi multivariate effettuate dimostrano che gli effetti favorevoli sulla salute non derivano dall'assunzione di un singolo componente o nutriente; soltanto l'olio di oliva sembra avere un ruolo specifico proprio[51].

Nella piramide veniva aggiunto il consiglio di praticare attività fisica giornaliera in modo da tenere l'indice di massa corporea (BMI) al di sotto di 25 kg/m².

In seguito, alle modalità di produzione, selezione, trattamento e consumo dei cibi della dieta mediterranea sono state aggiunti altri elementi di tipo culturale riguardanti lo stile di vita: l'adozione del concetto di pasto principale, la frugalità e la moderazione per evitare il rischio di obesità, la convivialità, le pratiche culinarie, l'attività fisica ricreazionale, un riposo adeguato, la preservazione delle tradizioni.[52]

Nel 2015, lo studio condotto dal MedEatResearch diretto dall'antropologo Marino Niola, ha allargato la tradizionale piramide nutrizionale alla pratiche sociali, formulando la Piramide Universale della Dieta Mediterranea.[53]

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Indice di aderenza alla dieta mediterranea

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Il Mediterranean Diet Serving Score è stato elaborato per poter calcolare in maniera semplice e rapida, ma altrettanto corretta e validata, l'aderenza dell'alimentazione alle caratteristiche della dieta mediterranea, basata sulla piramide alimentare mediterranea[28]. L'indice va da 0 a 24 punti per un adulto e da 0 a 23 per un adolescente (il consumo di alcol è sconsigliato in questo gruppo di età). Maggiore è il punteggio totale maggiore è l'aderenza alla dieta mediterranea. Per ciascun elemento è dato un punteggio di 1, 2 o 3. Il punteggio 0 è dato se il numero di porzioni è più basso o più alto di quello raccomandato. Nell'adulto viene proposto 1 punto per l'assunzione di bevande fermentate (vino o birra) nella misura di un bicchiere per la donna e di due bicchieri per l'uomo. È considerato pasto principale la colazione, il pranzo e la cena.

Alimento Raccomandazioni punteggio
Frutta 1-2 porzioni per pasto principale 3
Vegetali ≥ 2 porzioni per pasto principale 3
cereali (pasta, cereali a colazione, pane, e riso) 1-2 porzioni per pasto principale 3
patate ≤ 3 porzioni a settimana 1
Olio d'oliva (su insalata, pane o frittura) 1 porzione per pasto principale 3
noci 1-2 porzioni al giorno 2
latte, yogurt, formaggio, gelato 2 porzioni al giorno 2
legumi ≥ 2 porzioni la settimana 1
uova 2-4 porzioni la settimana 1
pesce ≥ 2 porzioni la settimana 1
carne bianca (pollame) 2 porzioni la settimana 1
carni rosse (suina, ovina e bovina) < 2 porzioni la settimana 1
dolci (zucchero, canditi, paste, succhi di frutta zuccherati, bevande zuccherate) ≤ 2 porzioni la settimana 1
bevande fermentate (vino, birra) 1 (donna) o 2 bicchieri (uomo) al giorno 1
TOTALE 24

Controversie su alcuni alimenti della dieta mediterranea

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Origine degli alimenti

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Gli alimenti più caratterizzanti della dieta mediterranea sono i cereali integrali, l'olio d'oliva e il vino in modica quantità. Al contrario di questi, la cui presenza è documentata da alcuni millenni, altri alimenti oggi considerati "tradizionali" della dieta mediterranea sono stati adottati solo di recente nel bacino mediterraneo.

L'importazione delle spezie dall'oriente ha influenzato pochissimo l'alimentazione popolare mediterranea a causa del costo esorbitante di esse. Anche lo zucchero di canna (di origine indiana) non ha sostituito l'abitudine a dolcificare con il miele; lo zucchero rimaneva riservato ai ceti sociali più ricchi. Il , di origine cinese, venne conosciuto dagli europei in India e importato per la prima volta solo agli inizi del 1600. La sua diffusione nella comune alimentazione sulla coste del Mediterraneo riguarda quasi esclusivamente i popoli del nord Africa, dove viene aromatizzato con la menta. Tra i cereali, il riso, fondamentale nell'alimentazione degli abitanti dell'Asia orientale, si diffonde lentamente in Europa, dove le prime coltivazioni risalgono al XIII-XIV secolo nella Spagna meridionale (Andalusia) e nell'Italia settentrionale (Veneto); le tecniche di coltivazione vengono apprese dagli arabi. Tuttavia il riso diverrà un prodotto di successo nell'alimentazione europea solo a partire dal XVIII secolo. Con la colonizzazione europea delle Americhe vengono introdotti in Europa alimenti che diventeranno fondamentali per le popolazioni del Mediterraneo: essi entrano quindi a costituire la “tradizione” della dieta mediterranea solo in tempi relativamente recenti. Tra di essi la patata, il pomodoro, il mais, nuove varietà di fagiolo e di zucca, il peperoncino. Il mais ha subito una grande diffusione. La patata e il pomodoro invece stentano ad entrare nell'alimentazione popolare in Europa. Il pomodoro rimane una pianta ornamentale fino al XVIII secolo, di cui si discute addirittura la commestibilità: la sua ampia diffusione nelle regioni mediterranee parte dall'inizio del XIX secolo[54].

Gli agrumi originano in India, Cina ed Estremo Oriente. Le varie specie hanno raggiunto l'Europa in tempi diversi. Sembra che il primo sia stato il cedro, ben noto tra i Romani come “pomo di Persia”. È documentato che i Romani conoscevano già nel primo secolo pure il limone e l'arancio amaro, ma la loro coltivazione è stata introdotta nel Mediterraneo (Andalusia) solo nel decimo secolo dai Saraceni. La coltivazione dell'arancio dolce invece è stata introdotta dai Portoghesi nel secolo sedicesimo: i navigatori portoghesi hanno conosciuto le arance dolci nei porti della Cina, coltivate in quel luogo da tempo immemorabile, e si può supporre che nella prima metà del XVI secolo siano giunte nel porto di Lisbona. Dal Portogallo passano in Spagna e quindi in Italia. Quelle arance all'inizio furono chiamate “arance di Lisbona”. L'acquisizione del mandarino risale al secolo diciannovesimo[55].

L'olio d'oliva

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Olio di oliva

Ancel Keys racconta:

«Chiesi a Giorgio Arniotakis di informarsi presso i contadini sulla loro colazione, domandandomi se essi si comportassero come la maggioranza dei contadini nell'Italia meridionale, che non ne fanno. La maggioranza dei contadini greci rispose che non mangiavano nulla prima di andare al lavoro nei campi, ma qualcuno disse che beveva un bicchiere di olio d'oliva. Nei villaggi di Creta la cardiopatia coronarica era rara e la gente sembrava longeva. Ci è stato detto di contadini che andavano ancora al lavoro all'età di 100 anni, ma non abbiamo potuto controllare le registrazioni di morte perché erano scritte in greco a mano[56]»

Gli acidi grassi monoinsaturi (tipicamente l'acido oleico) possono derivare da altri oli vegetali della dieta, come l'olio di girasole o l'olio di colza, oppure da noci, arachidi, avocado, e da prodotti animali come carni e uova. In realtà è stato dimostrato che solo l'assunzione di grassi monoinsaturi con l'olio d'oliva è correlata a una significativa diminuzione di eventi e mortalità cardiovascolare, ictus e mortalità totale. Al contrario non vi è associazione degli effetti salutari con il contenuto di acidi grassi monoinsaturi (in compresenza di altri grassi e nutrienti) di altri alimenti sia di altra origine vegetale sia animale. Una metanalisi che prende in considerazione circa 840.000 soggetti porta alla conclusione che solo l'olio d'oliva sembra correlato alla riduzione del rischio[57].

I cereali integrali

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pane di frumento integrale

Vi sono ampie dimostrazioni del ruolo protettivo dei cereali integrali sui fattori di rischio della cardiopatia ischemica, come il diabete mellito di tipo 2, i livelli di colesterolo totale e LDL, l'ipertensione, l'obesità, il livello di infiammazione sistemica, e su alcuni tumori (tipicamente quello al colon-rettale). Non sembra che sia altrettanto protettiva l'alimentazione con cereali raffinati, che invece appaiono avere un effetto neutro o addirittura favorente le malattie croniche. Una revisione della letteratura porta a concludere che un consumo di oltre il 50% di cereali raffinati (senza aggiunta di grassi, sale o zucchero) non è associato al peggioramento del rischio di malattie croniche correlate alla dieta. Gli autori però consigliano che comunque non si dovrebbero assumere cereali raffinati più di un terzo o metà della quantità totale, per raggiungere gli effetti protettivi offerti dalle fibre vegetali[58]. Alcuni autori italiani hanno proposto di mantenere alla base della piramide alimentare mediterranea solo i cereali integrali ricchi di fibre e a basso indice glicemico, come pasta, pizza, couscous, pane integrali, riso bruno, e invece spostare all'apice della piramide i cereali privi di fibre, le patate e gli altri amidi ad elevato indice glicemico, come pasta e riso bianco[59].

Il vino

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Vino rosso, nel dipinto Bacco di Michelangelo Caravaggio

Gli autori che presentarono nel 1995 la piramide della dieta mediterranea conclusero con molta prudenza riguardo al consumo del vino.

«Dal punto di vista della salute pubblica il vino dovrebbe essere evitato ogni qual volta il suo consumo metta a rischio il singolo o gli altri, come durante la gravidanza e prima di guidare. Il vino è considerato opzionale nella Dieta mediterranea e ciascuno dovrebbe scegliere consapevolmente se bere vino basandosi su molte considerazioni, come la storia famigliare e altri fattori sanitari e sociali[8]»

Ad eccezione dei popoli di religione islamica che vivono sul Mediterraneo e che generalmente non bevono alcolici, è diffusa negli altri popoli da molti secoli l'abitudine comune di bere modiche quantità di vino durante i pasti principali in famiglia, a volte mescolato con l'acqua; spesso tradizionalmente le donne erano escluse da questa consuetudine. La quantità moderata è stata codificata nella Piramide della Dieta mediterranea come uno o due bicchieri al giorno (uno per il sesso femminile): questa sarebbe la quantità con effetti favorevoli sul rischio di cardiopatia ischemica[8]. Non tutti gli autori sono d'accordo su tali benefici, anzi viene sconsigliato universalmente di iniziare l'assunzione di vino in qualsiasi quantità in persone astemie per diminuire il rischio di malattia coronarica, perché è preferibile adottare altre misure per raggiungere questo fine. Ad esempio è noto l'aumento di incidenza, seppur piccolo, di cancro del seno nelle consumatrici di alcolici[60], così il rischio di cirrosi epatica, e di alcolismo in determinati contesti psico-sociali.

Le caratteristiche della Dieta mediterranea originarie sono state adattate a diverse popolazioni dei paesi industrializzati che d'abitudine non consumano vino, ma altri alcolici come birra e superalcolici (ottenuti con distillazione e non con fermentazione). Infatti in molti indici a punteggio (score) utilizzati negli studi epidemiologici non si fa distinzione sul tipo di bevanda, ma solo sulla quantità netta di alcool etilico. In realtà ci sono evidenze che il vino offre un maggior grado di protezione a confronto di altre bevande alcoliche. Ciò viene attribuito alla presenza di polifenoli[61].

Nel gennaio 2016 l'agenzia inglese UK Chief Medical Officers’ (CMOs) del Ministero della Salute ha pubblicato delle linee guida sul consumo di alcolici per la popolazione inglese, nelle quali sconsiglia fortemente l'assunzione di alcolici, sulla base delle evidenze scientifiche accumulate più di recente, data la dimostrazione che non esiste una soglia di consumo che escluda i rischi per la salute. Il rischio sanitario esiste per qualsiasi quantità di alcol assunto in modo abituale: a lungo termine aumenta l'incidenza anche delle malattie cardiovascolari, ictus, cancro, neuropatie ed epatopatie. Se si vuole mantenere il rischio a lungo termine (uno o due decenni) al di sotto dell'1% (equivalente a quello di guidare l'automobile) è necessario bere meno di 14 bicchieri di vino la settimana[62].

Il riconoscimento dell'UNESCO

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Il percorso per l'iscrizione della dieta mediterranea nella Lista dei patrimoni culturali immateriali dell'umanità è stato iniziato nel 2006 dall'allora ministro dell'agricoltura Paolo De Castro con la sottoscrizione, assieme alla Spagna, di una dichiarazione congiunta presentata all'UNESCO. Il 16 novembre 2010 a Nairobi, in Kenya, ad esito di un lungo e complesso negoziato durato 4 anni condotto dal professor Pier Luigi Petrillo, autore del dossier internazionale, il Comitato intergovernativo dell'Unesco ha inserito la Dieta Mediterranea nella Lista dei patrimoni culturali immateriali dell'Umanità, riconoscendo tale patrimonio appartenere a Italia, Marocco, Grecia e Spagna[63]. Nel novembre 2013 tale riconoscimento è stato esteso a Cipro, Croazia e Portogallo[64].

 
Il couscous (Marocco)

La delegazione italiana del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali era guidata dal professor Pier Luigi Petrillo che in precedenza aveva ottenuto l'iscrizione nell'Unesco delle Dolomiti, delle Isole Eolie, dell'albero della vite ad alberello, dei paesaggi vitivinicoli delle Langhe Roero e Monferrato e dell'arte dei pizzaiuoli napoletano[65].

Accanto al parere entusiasta di Italia, Grecia, Marocco e Spagna, un altro membro del comitato intergovernativo, l'Albania, intervenne duramente nei confronti della candidatura ritenendo che il riconoscimento potesse avere valore commerciale. In effetti in quegli anni le esportazioni nel mondo dei prodotti agroalimentari italiani tipici della dieta mediterranea erano aumentate significativamente (l'ISTAT registrava un aumento del 9% nei primi sette mesi del 2010)[66].

Le motivazioni dichiarate dall'UNESCO sono soprattutto di ordine antropologico e non danno una definizione precisa della dieta mediterranea in senso alimentare o sanitario.

«La Dieta mediterranea coinvolge una serie di abilità, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni concernenti le coltivazioni, i raccolti agricoli, la pesca, l'allevamento degli animali, la conservazione, la lavorazione, la cottura e particolarmente la condivisione e il consumo degli alimenti[67]»

L'UNESCO sottolinea che il riferimento geografico è ai paesi del bacino mediterraneo e alla loro identità e continuità culturale.

Il comportamento fondamentale è il "mangiare insieme", che enfatizza la rilevanza della famiglia, del gruppo e della comunità. A questo si accompagnano i valori dell'ospitalità, del rapporto di vicinato, del dialogo interculturale e del rispetto della diversità.

Esplicitamente viene sottolineato il ruolo della donna nel salvaguardare le tecniche della dieta mediterranea e la sua trasmissione alle generazioni future, il rispetto dei ritmi delle stagioni e delle tradizioni delle festività. Vengono anche richiamati altri aspetti connessi alla cultura della Dieta Mediterranea come l'artigianato e la produzione dei recipienti tradizionali per il trasporto, la conservazione e il consumo degli alimenti, ad esempio i piatti di ceramica e i bicchieri, ed anche il ruolo svolto dalle celebrazioni religiose e laiche, dalle feste e dai mercati.

La letteratura scientifica

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Marie Egner, frutta e fiasco di vino (1940)

Dopo i risultati favorevoli del Seven Countries Study[15], che è ancora in corso dopo più di sessant'anni dall'inizio, numerose altre ricerche sia nel campo dell'epidemiologia in ampie popolazioni, sia in campo fisiopatologico, tese a spiegare i meccanismi dell'efficacia della dieta mediterranea, si sono succedute fino al momento attuale. Esiste un corpus di evidenze scientifiche assai vasto che dimostra gli esiti positivi della dieta mediterranea (nell'accezione portata avanti da Ancel Keys) sia sulla longevità, sia sulle malattie cardiovascolari, sia su alcuni tumori, sia su malattie croniche, come il diabete e l'obesità[68].

Gli studi successivi al Seven Countries Study hanno introdotto delle varianti a questo tipo di dieta per poterla adattare in larga scala a popolazioni differenti da quelle mediterranee, come quella statunitense o anglosassone o nordeuropea. Sono stati elaborati diversi “score” o “indici a punteggio” per calcolare l'aderenza di queste varianti dietetiche alla originaria dieta mediterranea. Questi indici sono una misura dei fattori dietetici associati tra loro (possono essere gruppi di cibi, cibi, nutrienti, porzioni), a volte in combinazione con fattori non alimentari dello stile di vita. Sono stati utilizzati almeno 22 score differenti: le differenze riguardano il numero dei componenti alimentari considerati (da 7 a 28), il punteggio (nei vari indici può andare da 0 a 10 a partire dalla non aderenza all'aderenza totale alla dieta mediterranea), il range (da 0 a 100%), il sistema di punteggio (in mediane, terzili, numero di porzioni) e il tipo di componenti (cibi, gruppi di cibi, varie combinazioni tra essi, nutrienti).[10]

Al di là di questa forte eterogeneità di calcolo, tra i componenti positivi della dieta vi sono sempre frutta e vegetali, tra i negativi le carni. Ci sono anche sensibili variazioni riguardo ad alcuni componenti della dieta (ad esempio la definizione di moderato consumo di alcool).[10]

È stato provato che gli effetti favorevoli sulla salute si ottengono quanto più il regime dietetico (oltre allo stile di vita, che è un'altra variabile indipendente) si avvicina alla dieta mediterranea del Seven Countries Study.

I criteri degli indici a punteggio (score), elaborati nel tempo dai vari ricercatori, si discostano, a volte sensibilmente, dalle caratteristiche dell'alimentazione “del contadino povero dell'Italia meridionale degli anni cinquanta”. Per questo vi è una grande eterogeneità nella definizione stessa di dieta mediterranea, oltre che in campo scientifico, anche nel campo della cultura gastronomica; a cui hanno contribuito anche gli interessi commerciali dell'industria agroalimentare e i sentimenti localistici delle nazioni più o meno aggettanti sul Mediterraneo.

Riguardo agli indici a punteggio (score) di aderenza dell'alimentazione alla dieta mediterranea in senso stretto, utilizzati nelle ricerche epidemiologiche, alcuni studiosi hanno valutato che solo alcuni di questi score indicano effettivamente l'osservanza della dieta mediterranea originaria: il DS score[69], utilizzato nell'ATTICA study, e il MSDPS score[70], costruito sulla piramide alimentare greca e adattato ad una popolazione non mediterranea (la Framingham Offspring Cohort negli Stati Uniti); per ultimo l'MDSS (Mediterranean Diet Serving Score) pubblicato nel 2015 e realizzato da autori spagnoli con l'intento di fornire un indice aggiornato, semplice e validato[28].

In dettaglio le principali differenze tra le varianti della dieta mediterranea proposte via via nel tempo riguardano la sostituzione dei cereali integrali con cereali raffinati, la sostituzione dell'olio di oliva con altri grassi monoinsaturi, la mancata distinzione tra vino e altre bevande alcoliche, le quantità di latte e prodotti caseari e delle carni[48].

Una metanalisi di studi prospettici di coorte pubblicati dal 1966 al 2008 (in totale più di un milione e mezzo di soggetti seguiti da 3 a 18 anni) ha dimostrato che una stretta aderenza alla dieta mediterranea “è associata a un significativo miglioramento dello stato di salute, sia per la riduzione della mortalità complessiva (9%), sia della mortalità per malattie cardiovascolari (9%), sia dell'incidenza o mortalità per tumori (6%), sia per l'incidenza di malattia di Parkinson e di malattia di Alzheimer[71].

Gli studi scientifici sulla dieta mediterranea si sono succeduti numerosi negli ultimi cinquanta anni. Inizialmente i ricercatori hanno cominciato a provare gli effetti sfavorevoli sulla salute di alimenti diffusi nei paesi occidentali industrializzati, ma poco rappresentati nella dieta mediterranea, soprattutto quelli di origine animale[45] e quelli ricchi di grassi saturi[72]. In seguito le ricerche si sono concentrate sugli alimenti per i quali emergevano prove favorevoli nei confronti della salute: veniva enfatizzati i benefici dei cereali non raffinati, dei vegetali, frutta, ortaggi, olio di oliva, pesce, e di tutti i micronutrienti contenuti in essi, come gli antiossidanti, i complessi vitaminici, gli acidi grassi mono e polinsaturi, i polifenoli, le fibre ecc.

I risultati sono stati raccolti anche in pubblicazioni divulgative[73][74][75].

La rivista Science pubblicava nel 1994 un articolo che riassumeva le conoscenze accumulate fino a quel momento sui rapporti tra dieta e salute, riconoscendo l'efficacia di una dieta ricca di frutta e vegetali, e richiamando l'attenzione sulla longevità degli abitanti di Grecia, Italia del sud e Giappone. L'articolo confermava l'utilità nella prevenzione delle malattie della diffusione di questo modello alimentare negli Stati Uniti e in genere nel mondo industrializzato[76].

Sono stati dimostrati effetti preventivi della Dieta mediterranea complessivamente su tutti i tumori[77][78], in particolare sul tumore dello stomaco[79][80], sui tumori esofagei[81], sui tumori colon-rettali[82], sui tumori mammari[83].

Numerosi studi sono stati condotti sulla prevenzione delle malattie croniche. Effetti benefici della Dieta mediterranea sono stati provati sull'obesità[84][85], sulle malattie cardiovascolari e sull'infarto cardiaco[86][87], sul diabete mellito[88][89][90].

È stata dimostrata anche la diminuzione del rischio di broncopneumopatia cronica ostruttiva in soggetti che seguivano la Dieta mediterranea[91][92].

Una revisione sistematica della letteratura nel 2011 ha evidenziato che la Dieta mediterranea appare essere più efficace di una dieta a basso contenuto di grassi nel modificare a lungo termine i fattori di rischio cardiovascolari, come il colesterolo plasmatico e la pressione arteriosa[93].

Uno studio con follow up di quarant'anni, condotto nella popolazione rurale italiana del Seven Countries Study, che teneva in conto non solo l'abitudine alimentare, ma anche il fumo e l'attività fisica, ha dimostrato che i soggetti che seguivano una dieta non mediterranea, fumatori e sedentari, presentavano una speranza di vita inferiore di 4,8 anni (in 20 anni) e di 10,7 anni (in 40 anni) rispetto a coloro che adottavano una Dieta Mediterranea, erano non fumatori e svolgevano un'attività fisica vigorosa[94].

  1. ^ La dieta mediterranea è un bene transnazionale dell'UNESCO, che riconosce come patrimonio immateriale protetto solamente le cucine dei seguenti paesi: Italia, Grecia, Marocco, Spagna, Portogallo, Croazia e Cipro. Le cucine di altri paesi mediterranei non rientrano in questo bene immateriale riconosciuto dall'UNESCO come dieta mediterranea., su unesco.it. URL consultato il 28 agosto 2020 (archiviato dall'url originale il 27 dicembre 2019).
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